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Il Foglio Rassegna Stampa
01.06.2016 Iran: dove anche i 'riformisti' sono falchi. Ma l'Occidente non se ne accorge
Analisi di Paola Peduzzi

Testata: Il Foglio
Data: 01 giugno 2016
Pagina: 1
Autore: Paola Peduzzi
Titolo: «Il falco dei falchi»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 01/06/2016, a pag.1/III, con il titolo " Il falco dei falchi" l'analisi di Paola Peduzzi sull'Iran.
Rinviamo i lettori alla Cartolina di Ugo Volli di oggi, dal titolo "Persino Gratis" che analizza a fondo i legami tra la Repubblica dei Mullah iraniani e il sostegno alla loro politica da parte della sinistra occidentale, anche ebraica.
Ecco il link: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=62600


Paola Peduzzi    Ali Khamenei

 

Milano. Chi pensava che il deal con l’Iran avrebbe agevolato nel paese i “riformisti” contro i falchi sta iniziando a ricredersi, ha scritto l’Economist in un lungo articolo dedicato alla leadership iraniana in cui provava a rispondere alla domanda: chi comanda a Teheran? Nonostante i divieti, le intimidazioni, le liste cancellate, alle elezioni del febbraio scorso i “riformisti” che fanno capo al presidente, Hassan Rohani, avevano ottenuto un risultato importante: in quello che era stato vissuto come un referendum sulla decisione di Rohani di aprirsi al mondo e siglare l’accordo sul contenimento del programma nucleare, l’apertura aveva retto e non c’erano state conseguenze violente. Il popolo iraniano ha imparato col tempo a non fidarsi troppo delle buone notizie, e già a febbraio lo scetticismo era palpabile, ma il segnale elettorale era stato vissuto all’esterno dell’Iran in maniera oltremodo ottimista e rassicurante, tanto era forte la voglia di fidarsi, soprattutto da parte del mondo del business che scommette sul mercato iraniano senza agitarsi troppo per la proliferazione nucleare. Poi il tempo è passato, l’Iran ha continuato a testare i suoi missili in violazione degli accordi internazionali, ha ampliato il suo ruolo nella guerra in Siria e in Iraq (nonostante siano morti generali iraniani in quantità e in condizioni misteriosissime) e il palazzo si è ripiegato su se stesso. Il nuovo capo del Consiglio degli esperti è l’ultrafalco ayatollah quasi novantenne Ahmad Jannati e lo speaker del Parlamento è il solito conservatore realista Ali Larijani. Visco vs Bruxelles Bankitalia invoca la revisione del bail-in e spera nel ritorno di interventi pubblici “eccezionali” Roma. I tentativi da parte delle istituzioni europee di puntellare le crisi bancarie hanno aumentato la vulnerabilità del sistema finanziario continentale, secondo il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Nelle considerazioni finali, Visco è tornato a criticare – invocando modifiche sostanziali – le regole europee che da quest’anno in avanti, nei paesi dell’Unione europea e in Svizzera, fanno ricadere i costi dei salvataggi bancari sui privati investitori di una banca e non più sui contribuenti. Regole che al contempo precludono alle autorità statali l’attivazione di canali emergenziali, anche privati, per contenere il contagio o per istituire un veicolo di smaltimento dei crediti cattivi. “Si è pressoché annullata – ha detto Visco – la possibilità di utilizzare risorse pubbliche, nazionali o comuni, come strumento di prevenzione o gestione delle crisi. L’esperienza internazionale mostra che, a fronte di un fallimento di mercato, un intervento pubblico tempestivo può evitare una distruzione di ricchezza, senza necessariamente generare perdite per lo stato, anzi spesso producendo guadagni”, è successo nel caso del Monte dei Paschi con i Tremonti e i Monti bond. “Andrebbero recuperati più ampi margini per interventi di questo tipo, per quanto di natura eccezionale”, ha detto il governatore come a proporre una deroga al principio del bail-in, approvato in Italia a novembre 2015. Visco ha poi richiamato l’eccezionalismo italiano ma ha pure confermato che la proposta dei funzionari tricolore di ritardare la nuova norma è stata snobbata da Bruxelles. Comprendere le dinamiche interne al palazzo iraniano è lavoro complicato e carico di pregiudizi, ma l’ayatollah Jannati semplifica parecchio il lavoro. Il Wall Street Journal ha messo in fila qualche frase celebre del nuovo leader del Consiglio degli Esperti, che deciderà il successore della Guida suprema Ali Khamenei: Jannati dice che gli americani sono “i più grandi sponsor del terrorismo internazionale”, che gli ebrei “hanno sembianze umane ma in realtà hanno i modi dei maiali e dei predatori”, che “la caduta di Israele è vicina”. Sugli oppositori del regime, Jannati ha detto che “non c’è spazio alcuno per la misericordia”, e infatti era a capo di quel Consiglio dei guardiani che legittimò i brogli delle elezioni del 2009 e la repressione di piazza. Il “falco dei falchi”, come lo chiamano in molti, ha ottenuto il 57 per cento dei consensi degli Esperti – tra i quali ci sono anche il presidente Rohani e l’ex presidente Hassan Rafsanjani, che oggi viene annoverato tra i cosiddetti riformisti, relativamente parlando s’intende – ma la sorpresa è stata tutta e soltanto internazionale. Jannati stava quasi per non entrare nemmeno nel Consiglio alle elezioni di febbraio, si dice che ci siano stati brogli dell’ultimo momento per integrarlo in un’istituzione che lui voleva assolutamente guidare, ma è difficile trovare qualcuno che sappia davvero opporsi al “falco dei falchi” (chissà se qualcuno lo vuole, poi). In Parlamento, i “riformisti” speravano di ottenere qualcosa di più, ma lunedì, tra defezioni e poco consenso, è stato riconfermato come speaker Larijani, che ricopre questo ruolo da parecchi anni: Larijani è un confidente della Guida suprema, un conservatore realista che prova a far dialogare le due anime del potere iraniano, contando sul fatto che queste due anime condividono un progetto rivoluzionario comune e non intaccano certo le linee guida del regime. Larijani non è un radicale estremo, ma entusiasmarsi per la sua conferma non è possibile, se non rifugiandosi nel pessimismo più autentico del poteva-pure-andare-peggio. Il popolo iraniano che avrebbe dovuto essere il principale beneficiario della fine dell’isolamento della Repubblica islamica – è questo l’unico elemento decisivo di un accordo altrimenti volatile e pericoloso – oggi non ha nulla da celebrare, anzi. La ripartenza economica ancora non c’è stata, molti businessman evitano di lasciare i loro biglietti da visita a Teheran per paura di ritorsioni, qualche giorno fa, ha raccontato il New York Times, un gruppo di ragazzi è stato frustato (99 frustate a persona), in una città a nord di Teheran, per aver partecipato a una festa di laurea in cui femmine e maschi hanno osato stare nella stessa stanza, e le femmine erano “mezze nude”, cioè non portavano il velo. I processi democratici sono lenti, si dirà, ma le premesse sembrano segnalare più che altro l’assenza di una volontà riformatrice, ed è su questa ipocrisia che i falchi operano quasi indisturbati nel mantenimento del regime. Così se il deal sul nucleare non porta alcun beneficio al popolo iraniano, anche sul piano internazionale il coinvolgimento dell’Iran sembra non dare risultati positivi. All’interno del negoziato di pace sulla Siria a Ginevra, che è collassato due giorni fa un’altra volta con l’abbandono del capo dell’opposizione al regime siriano, Damasco aveva acconsentito a lanciare aiuti umanitari con gli elicotteri del suo alleato iraniano nelle zone del nord sotto assedio: gli aiuti avrebbero dovuto arrivare entro lunedì, ma non è andata così. I report di intelligence rivelano che le brigate iraniane sono sempre più presenti sul territorio siriano, in quella che pare un’Opa espansionistica ormai inarrestabile, e il capo delle forze al Quds Qassem Suleimani si è fatto fotografare nella war room iraniana da cui è stato sferrato l’attacco contro lo Stato islamico a Falluja. I sauditi sono arrabbiati, gli americani sono preoccupati, gli effetti del coinvolgimento iraniano sembrano il contrario di una stabilizzazione.

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