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Il Foglio Rassegna Stampa
29.06.2012 La nuova guerra contro Israele: il boicottaggio
analisi di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 29 giugno 2012
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «La nuova guerra contro Israele: il boicottaggio»

La nuova guerra contro Israele: il boicottaggio
di Giulio Meotti
(Traduzione dall'inglese di Yehudit Weisz)

http://www.jpost.com/Opinion/Op-EdContributors/Article.aspx?id=275338

I due volti dello stesso odio

 



Giulio Meotti

La guerra di boicottaggio contro Israele, che ha già avuto grande successo, ne avrà ancora di più.

Dopo che il Sud Africa aveva incaricato gli importatori commerciali a non usare l’etichetta  “Prodotto di Israele” per le merci prodotte nelle comunità ebraiche in Giudea e Samaria, anche il governo danese ha annunciato di avere adotttao la stessa politica. Si è poi  aggiunto il ministro degli esteri irlandese Eamon Gilmore, che ha proposto  all’Unione Europea  di vietare i prodotti provenienti dagli insediamenti. La mossa è successiva a una decisione britannica che consente ai rivenditori di distinguere se i prodotti sono “prodotti di insediamento israeliano” o “prodotti palestinesi”.

Se l’Europa etichetta le merci come “prodotti di insediamenti israeliani” diventerà impossibile per le compagnie israeliane raggiungere i punti vendita all’estero. Altri paesi europei adotteranno questa politica razzista, in base ad una decisione adottata nel 2010 dall’ Alta Corte UE: le “zone contese” non sono parte di Israele, così le merci israeliane prodotte lì, sono soggette  a tasse d’importazione della UE. La storica sentenza era nata da un caso tedesco presentato dalla Brita GmbH, una società tedesca che importa filtri per l’acqua frizzante da Soda Club, una compagnia israeliana con sede a Mishor Adumim, una delle aree industriali di Israele nella West Bank.

Durante la prima intifada, l’allora Ministro dell’Industria, del Commercio e del Lavoro, Ariel Sharon aveva detto che durante la violenta rivolta c’era stata una “drastica riduzione” del consumo di prodotti israeliani fatti nei territori, dopo che gli attivisti occidentali avevano intensificato la loro campagna di boicottaggio.

La vendita di prodotti agricoli israeliani era scesa di circa il 60 per cento tra il 1987 e il 1988 - da circa 68.000 a 31.000 tonnellate. Anche la produzione di altri beni provebnienti dai territori era diminuita, inclusi i prodotti tessili (un calo del 18%), gomma e plastica (11%), minerali non metalliferi (10%), abbigliamento (8%) e pietrisco da cava (8%).

Da allora, la campagna di boicottaggio prosegue in Occidente. Se ieri gli ordini provenivano da Damasco, dov’era la sede operativa della Lega Araba, oggi il virus del boicottaggio sta diffondendosi attraverso  fondi pensione europei, supermercati, società commerciali, sindacati, cooperative alimentari e industrie.


Agrexco, leader in Israele nell’esportazione di fiori, ha dichiarato bancarotta  a causa del boicottaggio dei suoi prodotti. Più di 20 organizzazioni di 13 paesi in Europa ha approvato il boicottaggio della compagnia, in parte di proprietà del governo israeliano e che ha gestito aziende agricole nella Valle del Giordano e in Tekoa, un insediamento alle porte del deserto della Giudea.


La Oil Fund della Norvegia ha ritirato il suo investimento da Africa-Israel Investments e da Danya Cebus,  adducendo il loro coinvolgimento nella “costruzione negli insediamenti”.

La Coop svedese ha interrotto gli acquisti dei sistemi di trattamento dell'acqua da Soda Club.


Il maggiore fondo pensionistico olandese, "Pensioenfonds Zorg en Welzijn", che ha investimenti complessivi per 97 miliardi di euro, ha svenduto quasi tutte le aziende israeliane del suo  portafoglio (banche, società di telecomunicazioni, imprese edili e Elbit Systems). La catena di supermercati britannica Co-Operative Group ha approvato il boicottaggio delle merci provenienti da Giudea e Samaria.  Anche un grande fondo pensione svedese ha disinvestito dalla Elbit perché quest’ultima era impegnata nella costruzione della barriera difensiva israeliana.

Nel frattempo, il Consiglio Etico di quattro fondi pensione svedesi aveva chiesto a  Motorola “a tirarsi fuori dai territori occupati da Israele in Cisgiordania” o avrebbero disinvestito. Il fondo pensionistico governativo norvegese e la tedesca Deutsche Bank hanno disinvestito da Elbit.  Dopo anni di proteste la società israeliana Ahava ha dovuto chiudere il suo fiore all’occhiello, il negozio di Londra a Covent Garden.

La produzione britannica e olandese di alimenti  di proprietà della multinazionale Unilever  si è ritirata da Ariel, il più grande insediamento di Israele. La Unilever, che produce prodotti per la casa, come lo shampoo Sunsilk e la Vaselina, ha venduto il suo pacchetto azionario del 51% che aveva impegnato nelle fattorie degli insediamenti di Beigel.

Anche nel passato la propaganda  araba al boicottaggio aveva avuto successo.

Nel 1999,  stati e gruppi arabo-musulmani, decisero di promuovere un boicottaggio della catena Burger King per protestare contro l’apertura di un ristorante nella colonia israeliana Ma’aleh Adumim, ai margini di Gerusalemme. Poche settimane dopo, la Burger King Corp annunciò  di aver cancellato quel progetto nei territori.

I prodotti degli insediamenti sono etichettati non solo perché assurgono a simboli politici, ma anche perché le imprese in Yesha e nel Golan sono una parte importante dell’economia israeliana con aziende come Oppenheimer, Super Class e Shamir Salads, Golan Heights Dairies, Ahava e Hlavin, Beitili e Barkan Brackets.

La maggior parte delle imprese dei coloni sono concentrate a Barkan (Ariel), Mishor Adumim (a est di Gerusalemme), Atarot (a nord di Gerusalemme) e Ma’aleh Efraim (nella Valle del Giordano).

Nonostante che oggi Barkan sia una zona industriale completamente integrata con l’economia di Gush Dan, diverse aziende, come la società svedese Assa Abloy e le Cantine vinicole Barkan, in parte di proprietà olandese, si sono già ritirate da Ariel. Molte altre aziende stanno cercando di spostarsi entro i confini della Linea verde.

Gli insediamenti sono però solo un pretesto per distruggere la vita economica di Israele in quanto tale.  La campagna di boicottaggio non mira a una parte di  Israele – ma piuttosto alla sua stessa esistenza. L’elenco dei prodotti israeliani obiettivi del boicottaggio a livello mondiale, rivela l’odio per l’esistenza dello Stato ebraico indipendentemente dalle sue  frontiere. Il movimento di boicottaggio mira anche alla Teva, una società con sede a Gerusalemme 47 anni prima della sua riconquista da parte di Israele, solo perché oggi è una delle più grandi società farmaceutiche del mondo.

I boicottatori vogliono colpire anche  Delta Galil Industries, che si trova in Israele da prima del 1967, solo perché Delta Galil è il maggiore produttore tessile di Israele. Loro obiettivo è Sabra, solo perché  la seconda società alimentare di Israele è quella che fornisce i pasti anche all’IDF. Prendono di mira Intel, perché il suo primo centro di sviluppo fuori dagli Stati Uniti è stato in Israele e dà lavoro a migliaia di israeliani.

Il defunto, grande storico Raul Hilberg ha spiegato che il boicottaggio economico degli ebrei nel mondo degli affari e del lavoro  era stato il primo passo verso la Shoah. Lo stesso boicottaggio “Raus mit Uns” (fuori con noi)  sta dissanguando lo Stato di Israele. L’appello nazista “Kauft nicht bei Juden” (Non comprate dagli ebrei) è tornato.

Giulio Meotti è l'autore di " Non smetteremo di danzare " (Lindau Ed.) pubblicato in inglese con il titolo " A New Shoah", scrive per Yediot Aharonot, Wall Street Journal, Arutz Sheva, FrontPage Mag,The Jerusalem Post, Il Foglio. E' in preparazione il suo nuovo libro su Israele e Vaticano.


lettere@ilfoglio.it

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