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Riportiamo dal FOGLIO di oggi,01/12/2011, a pag. III, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " A che punto è lo strike sull'Iran ", gli articoli titolati " I 'fanatici del berillio', l’élite atomica dell’Iran " e " I nuovi droni di Teheran spaventano Israele ". Daniele Raineri - " A che punto è lo strike sull'Iran "
Quando e se il programma nucleare dell’Iran sarà attaccato, non si tratterà di un bombardamento aereo convenzionale. Non sarà una copia delle operazioni fulminee che hanno avuto successo in passato, come il raid sul reattore nucleare di Saddam Hussein a sud-est di Baghdad nel 1981 o contro la base dell’Olp a Tunisi nel 1985. In entrambi i casi si trattò di bersagli facili: singoli, esposti all’aperto, con difese deboli e colte di sorpresa. Oggi in Iran la situazione è completamente differente, ci sono almeno 15 siti atomici, forse di più, nascosti tra le montagne e nel sottosuolo e protetti da un apparato militare che è determinato a mantenersi aggiornato e guardingo. Per questo, secondo Eli Lake, reporter al Pentagono per Newsweek e il sito Daily Beast specializzato in rapporti con il Pentagono e solitamente ben informato, l’operazione israeliana contro l’Iran sarà differente dal passato, un genere di attacco militare completamente nuovo. " I 'fanatici del berillio', l’élite atomica dell’Iran " Roma. Quando l’ayatollah Khomeini accettò il cessate il fuoco che mise fine alla guerra tra Iran e Iraq nel 1988, il regime iraniano avviò la fase più ambiziosa del suo programma segreto di armamento nucleare. In quell’anno, le Guardie della Rivoluzione crearono un programma atomico top secret, nome in codice “Grande piano”. Alcuni di quelli che ne hanno fatto parte sono stati uccisi in questi due anni, c’è chi dice dalla lunga mano d’Israele. Ne restano quattro al vertice del progetto. Sono i figli della militarizzazione del programma nucleare che ha subìto un’accelerazione dopo l’elezione alla presidenza di Ahmadinejad. Sono gli scienziati iraniani che hanno ricevuto dal regime il compito di triplicare l’arricchimento dell’uranio. Vengono tutti dall’Università Imam Hussein, una specie di scuola militare d’élite ideologica creata durante la guerra con l’Iraq e che prende il nome dal nipote di Maometto. Questi scienziati vivono oggi protetti dalla rete dei siti segreti per la fabbricazione di armi nucleari, progettata dal regime non soltanto per ampliare il programma, ma anche per garantirne la sopravvivenza in caso di attacco. Fanno parte del “markaz amadegi va fannavari novin pishrafteh defaee”, ovvero il Centro per la preparazione e la nuova tecnologia difensiva avanzata. Li chiamano i “fanatici del berillio”, il materiale che in virtù della sua leggerezza e del suo punto di fusione molto alto è impiegato nelle astronavi, nei satelliti, ma anche nella costruzione di reattori e missili nucleari. I dottor Stranamore versione mullah si conoscono fin da quando, nel 2004, gli oppositori del Mek (i mujaheddin del popolo) li svelarono all’Aiea. Gente come Mansoor Asgari e Majid Rezazadeh, allievi del “padre della bomba islamica”, Abdul Qadeer Khan, l’ingegnere di Islamabad che ha procurato all’Iran, come alla Corea del nord, le centrifughe P1 e P2 grazie alla sua rete mondiale di fornitori. Il numero uno è Mohsen Fakhrizadeh, un ufficiale dei Guardiani della Rivoluzione fin dagli esordi e soprattutto responsabile del “Programma 111”, ovvero di quella parte del piano nucleare dedicata alla costruzione di missili capaci di trasportare la bomba nucleare e di farla detonare. Al suo fianco lavora Fereydoon Abbasi Davani, pioniere della fisica e nuovo capo dell’Iran Atomic Energy Organization, l’agenzia che ha in mano i destini della bomba atomica degli ayatollah. Davani un anno fa è scampato per miracolo a un tentativo di assassinio, durante il quale è rimasto ucciso il suo collega, Majid Shahriari (quest’ultimo è diventato un “martire” della Rivoluzione). Al vertice del Walhalla nucleare c’è Davani, che nel 2004 le Nazioni Unite inserirono nella lista dei quattro scienziati di Teheran più importanti, accusandolo di essere coinvolto in “attività balistiche illecite”. Secondo oppositori del regime, Davani è “uno dei pochi specialisti in grado di separare gli isotopi”, processo cruciale nella produzione di combustibile nucleare. Abbasi non lascia mai il paese, tranne lo scorso agosto, quando è volato a Vienna per un incontro all’Aeia. Non lo si era mai visto fuori dall’Iran. " I nuovi droni di Teheran spaventano Israele " Roma. Il 23 novembre scorso un drone di produzione israeliana, l’Heron Machatz- 1, è inspiegabilmente precipitato nella regione meridionale del Libano, controllata da Hezbollah. Da tempo impegnati a decifrare il sistema di controllo degli aerei senza pilota di Tsahal, e convinti che la sorte avesse riservato loro un’inaspettata sorpresa, i miliziani libanesi hanno trasportato l’Heron all’interno della base di Siddiqin, dove il velivolo è però esploso causando la distruzione di un intero arsenale di munizioni.L’intelligence militare di Gerusalemme, Aman, si è intestata i meriti della “sofisticata azione di sabotaggio” ma, indipendentemente dalla veridicità dello spin israeliano, l’episodio segnala un aspetto poco noto dello scontro in atto tra Iran e occidente: quello della guerra dei droni. Iniziata al termine della guerra con l’Iraq, la produzione di droni da parte dell’autarchica industria bellica iraniana si è notevolmente intensificata negli ultimi anni grazie a un massiccio stanziamento di fondi statali. Il gap con i velivoli americani resta ampio, ma i progressi registrati preoccupano Israele. Il principale esempio di aereo senza pilota iraniano è l’Ababil (in farsi significa rondine): prodotto nel 1993 per compiti di ricognizione aerea, negli ultimi tempi si è prima trasformato nell’A-3 e poi nell’A-T, un drone dotato di testata altamente esplosiva. Entrambi i modelli sono già stati impiegati nel teatro di guerra. Venduto a Hezbollah durante il conflitto con Israele, nel 2006 un Ababil ha raggiunto il cielo di Haifa prima di essere abbattuto dagli israeliani, mentre nel 2009 due caccia americani ne hanno disintegrato uno che sorvolava l’Iraq dopo un’ora di pedinamento. Il drone di nuova generazione è invece il Karrar, il bombardiere. Sfornato nel 2010, “l’ambasciatore di morte” – com’è stato soprannominato dal presidente Mahmoud Ahmadinejad – è un velivolo di lunga distanza (copre circa mille chilometri) che può essere equipaggiato con bombe intelligenti da oltre 200 chilogrammi. Il vero punto di non ritorno sarebbe però progettare un drone in grado di volare per 1.700 chilometri – la distanza che separa il confine iraniano da quello israeliano – e di renderlo invisibile ai radar: un obiettivo a cui Teheran starebbe lavorando alacremente. Secondo la versione ufficiale del regime, in cantiere ci sarebbero il Sofreh Mahi (il raggio d’aquila), un mezzo stealth dalla forma di diamante che dovrebbe essere pronto nel giro di cinque anni, e lo Sharapah (la farfalla) che, elaborato dall’Università di Tabriz, dovrebbe volare ad un altezza di oltre quattromila metri. In attesa di produrre modelli dotati di tale autonomia, la Repubblica islamica cerca di supplire alla mancanza dotando Hezbollah dei suoi droni più avanzati. Dal 2004 i miliziani sciiti sono in possesso del rudimentale Mohajer (il migrante) e degli Ababil, e ora dovrebbero aver ricevuto anche i nuovi Karrar. “Ma senza capacità stealth – fanno notare da Gerusalemme – non potranno mai colpirci”. Gli iraniani prendono nota e lottano contro il tempo. Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante lettere@ilfoglio.it |
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