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Il Foglio Rassegna Stampa
31.08.2011 Israele si prepara a difendersi dopo l'autoproclamazione dello Stato palestinese
cronaca di Ariel David

Testata: Il Foglio
Data: 31 agosto 2011
Pagina: 5
Autore: Ariel David
Titolo: «Il settembre del disastro per Israele comincia il 20 con il voto Onu sullo stato palestinese, ecco il piano dell’esercito»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 31/08/2011, a pag. I, l'articolo di Ariel David dal titolo "Il settembre del disastro per Israele comincia il 20 con il voto Onu sullo stato palestinese, ecco il piano dell’esercito".


Abu Mazen

Gerusalemme. Lacrimogeni distribuiti ai coloni e soldati schierati a difendere gli insediamenti in Cisgiordania: questi sono i piani per fronteggiare i “disordini di massa” che Israele si attende a settembre in concomitanza con il voto alle Nazioni Unite sul riconoscimento di uno stato palestinese. Secondo un dossier dell’esercito ottenuto dal quotidiano Haaretz, Tsahal avrebbe individuato per ogni centro abitato della West Bank una “linea rossa”, oltrepassata la quale ai soldati sarà ordinato di sparare alle gambe dei manifestanti. I preparativi di Gerusalemme per l’operazione “Semi d’estate” includerebbero anche l’addestramento del personale di sicurezza degli insediamenti all’uso di gas lacrimogeni, granate stordenti e altre armi non letali. In tutti gli insediamenti sono stati esaminati i punti deboli del perimetro e sono state stabilite varie linee oltre le quali si potranno utilizzare contro i manifestanti gas lacrimogeni e infine, come ultima risorsa, munizioni vere.
Secondo il documento, ci si aspettano marce verso gli insediamenti e blocchi stradali in cui potrebbero facilmente infiltrarsi militanti per sparare dai cortei o compiere attacchi terroristici.
Un portavoce spiega al Foglio che “l’esercito è in contatto continuo” con le comunità della West Bank e “sta dedicando ingenti sforzi all’addestramento delle forze di sicurezza locali per prepararle a ogni possible scenario”. Il governo israeliano prevede un settembre di fuoco dal 20 del mese, quando il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen chiederà al segretario generale Ban Ki-moon di riconoscere la Palestina come membro dell’Onu. Per evitare un probabile veto americano nel Consiglio di sicurezza, i palestinesi dovrebbero limitarsi a chiedere un voto all’Assemblea generale, dove la vittoria sarebbe assicurata, anche se poco più che simbolica. Secondo un altro rapporto, svelato anch’esso da Haaretz, dell’ambasciatore israeliano presso l’Onu Ron Prosor, lo stato ebraico “non ha alcuna possibilità di bloccare la risoluzione dell’Assemblea”.
Solo cinque paesi occidentali, fra cui Stati Uniti, Italia e Germania, hanno promesso di votare contro e “al massimo possiamo sperare in qualche astensione in più” ha spiegato Prosor. Fonti dell’ufficio di Benjamin Netanyahu riferiscono che il premier medita di disertare la sessione dell’Assemblea generale e lasciare al presidente Shimon Peres il compito di difendere le ragioni israeliane.
Abu Mazen, che rifiuta di negoziare con Netanyahu, spera che il riconoscimento internazionale permetta alla Palestina di agire contro lo stato ebraico in sede Onu e alla Corte penale internazionale. Allo stesso tempo, la leadership di Ramallah cerca una rivolta popolare sul modello delle rivoluzioni contro i regimi arabi.
Le prove generali ci sono già state a maggio e giugno, quando per ricordare gli anniversari della creazione d’Israele e della Guerra dei sei giorni, migliaia di manifestanti si sono scontrati con l’esercito ai confini con la Siria, il Libano e ai checkpoint nei territori palestinesi. La maggior parte dei palestinesi sembra pronta a seguire Abu Mazen sulla via dell’Onu e poi in una possibile terza Intifada.
Secondo un sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research, il 65 per cento dei palestinesi appoggia la ricerca del riconoscimento internazionale all’Onu. Il 52 per cento si dice pronto a partecipare a manifestazioni non violente dopo il voto, ma per circa un terzo degli intervistati la lotta armata rimane una scelta imprescindibile. Se la risposta israeliana sul campo sembra pronta, più vaga rimane la reazione politica, su cui Netanyahu continua a non sbottonarsi. Fra le varie ipotesi c’è anche la proposta del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, che punta a rompere ogni rapporto politico, economico e di sicurezza tra Israele e l’Anp.

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