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Il Foglio Rassegna Stampa
27.10.2010 Sinodo cristiano, ma arabo. Parlano i nemici di Israele invitati dal Papa
Articoli di Paolo Rodari, Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 27 ottobre 2010
Pagina: 1
Autore: Paolo Rodari-Giulio Meotti
Titolo: «Sinodo cristiano, ma Arabo»

A commento del Sinodo, il FOGLIO pubblica oggi, 27/10/2010, due articoli a pag.1.
Il primo, un'intervista a padre Pierbattista Pizzaballa, di Paolo Rodari. Le sue dichiarazioni confermano le critiche espresse da Israele e dal mondo ebraico. Giulio Meotti riporta poi  la scelta di Mons. Michel Sabbah da parte del Papa, altra chiarissima indicazione di come si svilupperà la politica vaticana sempre più schierata con i nemici di Israele.
Ecco il pezzo di Paolo Rodari:

"Sinodo cristiano, ma Arabo"


Padre Pierbattista Pizzaballa

Roma. Sulle feroci polemiche che hanno accompagnato la chiusura del Sinodo dei vescovi del medio oriente, “un’assise presa in ostaggio da una maggioranza anti israeliana”, hanno accusato da Israele, dice la sua padre Pierbattista Pizzaballa, 45 anni, francescano, dal 2004 Custode di Terrasanta e, dunque, l’uomo incaricato della potestà su tutti i maggiori luoghi sacri cristiani della regione. Dice: “Non credo che i padri sinodali siano stati presi in ostaggio da nessuno. Il Sinodo ha espresso la voce di personalità della chiesa che vivono in medio oriente. La maggior parte di queste personalità, direi il 90 per cento, è araba. Che il mondo arabo abbia poca simpatia per Israele è evidente. E, dunque, che questa poca simpatia sia stata in qualche modo presente nel Sinodo è cosa normale. Ma insieme si deve ricordare che il messaggio finale del Sinodo condanna l’antisemitismo e l’antigiudaismo. E ricorda l’importanza di studiare i due testamenti, il Nuovo ma anche l’Antico. Non è scontato che i padri sinodali del mondo mediorientale abbiano scritto queste parole”. Tante parole sono uscite dal Sinodo. Due giorni fa il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha detto che solo il messaggio finale fa testo. Dice Pizzaballa: “Il messaggio finale è quello ufficiale. Ma non è la voce del Vaticano e nemmeno della chiesa. E’ semplicemente la voce dei padri sinodali”. Se il messaggio fa testo ma non è la voce ufficiale del Vaticano, gli interventi dei singoli vescovi durante il Sinodo cosa sono? “Sono interventi personali. Vanno presi come punti di vista di singole persone e assolutamente non come la voce comune”. Quali novità porta il messaggio finale rispetto a Israele? “Poche, direi. Si condanna l’occupazione dei Territori e si dice che non si può usare il nome di Dio per compiere violenze. E’ una posizione già espressa in passato”. Già, però sotto sembra esserci una condanna teologica: il ritorno di Israele nella terra promessa e, dunque, la sua legittimità a esistere. Tutto sembra evidenziare un forte antisionismo. Risponde padre Pizzaballa: “Anzitutto vorrei dire una cosa sull’antisionismo. E’ una categoria occidentale. E’ un modo con cui l’occidente prova a descrivere una situazione”. Una situazione reale? “Che un certo antisionismo sia presente anche tra i cristiani del medio oriente è evidente. Ma questo antisionismo, se c’è, non ha fondamenti teologici. E’ più che altro un sentimento motivato dal conflitto israelo-palestinese. E’ una reazione a una situazione drammatica e nella quale non si vedono soluzioni immediate”. Tuttavia esiste una teologia che vuole negare agli ebrei la terra promessa… “Su questo devo ammettere che occorre maggiore dialogo tra cattolici ed ebrei. Abbiamo due modi diversi di leggere le scritture e questi due modi ci dividono. Non parlerei di teologie diverse ma di diversi modi di interpretare la scrittura. Noi siamo abituati a fare una lettura spirituale e allegorica delle scritture e non sempre questa nostra lettura combacia con quella degli ebrei”. Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006 parlò dell’islam e condannò l’uso del nome di Dio per giustificare la violenza. Oggi il Sinodo dice le stesse cose a Israele. La chiesa ha cambiato obiettivo? “Ripeto: non è la chiesa a parlare ma sono i vescovi mediorientali. C’è differenza. In secondo luogo devo dire che il Sinodo ha espresso anche diverse critiche a un certo modo di vivere l’islam. I vescovi dei paesi a maggioranza musulmana non sono stati teneri con chi usa l’islam con la spada. Le critiche, insomma, non sono state unilaterali. Anche se il Sinodo non aveva principalmente questi temi in agenda”. Di che cosa si è parlato principalmente? “E’ stato un evento di chiesa. Erano riunite a Roma tutte le realtà ecclesiali del mondo mediorientale. Tutte hanno presentato le proprie realtà. Si è parlato di laicità positiva nel mondo islamico e di piena cittadinanza. Per i giornali sono stati importanti alcuni accenti di alcuni interventi. E sono stati ignorati gli interventi per noi più significativi, quelli di carattere pastorale. E poi abbiamo parlato molto dei tanti cristiani occidentali che oggi vivono nel mondo arabo: una risorsa che servirà in futuro e della quale non si parla mai. Sono occidentali e sono di rito latino”. Come si fa a custodire i luoghi cari alla cristianità in una regione così contesa? “Vivo in solitudine. Una certa solitudine è necessaria qui. Certo, ho vicino i frati francescani che mi aiutano. E poi ci sentiamo molto anche con Roma, col nunzio e col Vaticano. Ci aiutiamo a decifrare questa terra così complessa”.

e quello di Giulio Meotti:

"Contro Israele, il nemico comune"

 
Michel Sabbah                Cyrille Salim Butros

Roma. Benedetto XVI ha scelto il patriarca emerito di Gerusalemme, Michel Sabbah, per rappresentare i “cristiani di Terra Santa” nel Consiglio speciale per il medio oriente che dovrà attuare le linee emerse nel dibattito sul Sinodo di questi giorni. L’organismo aiuterà il Papa anche nella stesura dell’Esortazione Apostolica ed è composto da undici membri, tre dei quali nominati appunto da Benedetto XVI. In questo speciale consiglio ci sarà anche monsignor Cyrille Salim Bustros, l’arcivescovo greco melchita autore del più radicale e teologico attacco a Israele e alla nozione ebraica. Bustros è stato l’arcivescovo della piccola comunità greco cattolica del Libano e nel 2005 fu chiamato da Benedetto XVI a fare da consulente in Vaticano. Nessuno forse sa che il 27 aprile del 1996 Bustros venne intervistato dal quotidiano americano Baltimore Sun a proposito della guerriglia di confine condotta da Hezbollah contro Israele prima del suo ritiro. “Quando parlo con loro, rivendico il sostegno alla liberazione del Libano da Israele”, disse Bustros. “Abbiamo un nemico comune”. Così parlava l’arcivescovo che ha appena chiuso i lavori del Sinodo vaticano. Il patriarca Michel Sabbah è sempre stato un acceso patriota palestinese, fino a prendere le difese di Hamas (“ci protegge”, ha detto appena lo scorso aprile). E l’ha dimostrato in ogni circostanza, specialmente nell’occasione del discorso di Natale del 1993, quando celebrò una messa gloriosa per accogliere Yasser Arafat. Coltissimo e con un dottorato all’Università Sorbona di Parigi, Sabbah parla arabo, inglese, francese e italiano. Fu chiamato da Giovanni Paolo II a rappresentare i cattolici nella regione, primo palestinese dopo una lunga filiera di rappresentanti italiani. Nel 1999, durante una visita a Betlemme, Sabbah rese omaggio ai “martiri” palestinesi, terroristi uccisi armi in pugno da Israele. Parlando al quotidiano al Quds, Sabbah disse che “il jihad non è debolezza”. E nel 2002, l’annus horribilis per le stragi di civili in Israele, Sabbah giustificò persino gli attentatori suicidi: “La nostra è terra occupata, per questo la nostra gente si fa esplodere. Solo la violenza fa muovere le persone, e non solo qui. Ogni paese è nato nel sangue”. Il patriarca Michel Sabbah è stato il promotore di una sorta di teologia della liberazione palestinese: “Sono un palestinese che porta il messaggio di Gesù, che visse come un rifugiato in una grotta. Gesù venne ucciso da coloro per i quali era venuto a dare una nuova vita. Così i rifugiati devono lottare per i propri diritti”. Un’ideologia violenta in linea con il “Kairos Palestine”, lo scandaloso documento teologico presentato da Sabbah proprio al Sinodo vaticano sul medio oriente dei giorni scorsi. Vi si afferma che “l’occupazione militare è un peccato contro Dio e contro l’uomo”, si paragona all’apartheid la barriera di difesa israeliana che ha bloccato il terrorismo, si cancella concettualmente lo stato ebraico immaginandolo misto islamico, cristiano e forse anche un po’ ebraico, vi si legittima il terrorismo quando si dice dei “migliaia di prigionieri” che “fanno parte della nostra realtà”. Il documento attesta infine come “la resistenza al male dell’occupazione è un diritto e un dovere per un cristiano”. Durante una messa nel 1995 con il leader dell’Anp Arafat, Sabbah elevò a esempio la figura del patriarca bizantino Sofronio, per aver cercato di convincere il califfo Umar Ibn al Khattab a negare agli ebrei la libertà di culto a Gerusalemme, otto anni dopo che Sofronio aveva istigato un pogrom antiebraico. “Alla fine li cacceremo come fecero i crociati”, scandì Sabbah. Nel 1988, appoggiando la prima Intifada, Sabbah disse che “la storia dimostra che i diritti non sono mai acquisiti se non tramite la violenza”. Uri Mor, che durante l’Intifada al Aqsa si occupava di vicende cristiane per il ministero degli Affari religiosi di Israele, ha detto che Sabbah combatte una “guerra religiosa”. Nel 2002 il patriarca latino si incontrò addirittura a Gaza con il fondatore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin. Il suo lignaggio antiebraico risale addirittura ai tempi di Saddam Hussein, elogiato da Sabbah perché “porta in cuore la causa palestinese”. Un affetto scandito dal fiume di denaro inviato ai kamikaze assassini.

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