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Il Foglio Rassegna Stampa
26.10.2010 Il Sinodo ha sbagliato a schierarsi con l'islam contro Israele
L'intervento al Sinodo di Raboula Antoine Beylouni, commenti di Giulio Meotti, Sergio Minerbi, Giorgio Israel, Redazione del Foglio

Testata: Il Foglio
Data: 26 ottobre 2010
Pagina: 1
Autore: Raboula Antoine Beylouni - La redazione del Foglio - Giulio Meotti - Giorgio Israel
Titolo: «Il Corano con la spada - Il Silenziatore Romano - L’anti Ratisbona mediorientale - Perché al Sinodo è stato dato un calcio ad anni di dialogo con gli ebrei»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 26/10/2010, in prima pagina, l'intervento dell'Arcivescovo Raboula Antoine Beylouni al sinodo dal titolo " Il Corano con la spada ", il commento dal titolo " Il Silenziatore Romano ", l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " L’anti Ratisbona mediorientale ", con le dichiarazioni di Sergio Minerbi, a pag. 2, l'articolo di Giorgio Israel dal titolo "  Perché al Sinodo è stato dato un calcio ad anni di dialogo con gli ebrei".
Ecco i pezzi:

Raboula Antoine Beylouni - "  Il Corano con la spada"

In Libano abbiamo un comitato nazionale per il dialogo islamo-cristiano da diversi anni. Esisteva anche una commissione episcopale, istituita in seguito all’assemblea dei patriarchi e dei vescovi cattolici in Libano, incaricata del dialogo islamo-cristiano. E’ stata soppressa ultimamente per conferire maggiore importanza all’altro comitato; per di più non aveva ottenuto risultati tangibili. Talvolta vengono portati avanti, in diversi luoghi, vari dialoghi nei paesi arabi, come ad esempio quello del Qatar in cui l’emiro stesso invita, a sue spese, personalità di diversi paesi delle tre religioni: cristiana, musulmana ed ebraica. In Libano, alcuni canali televisivi come Télé Lumière e Noursat trasmettono programmi sul dialogo islamo-cristiano. Spesso viene scelto un tema e ogni parte lo spiega e lo interpreta secondo la sua religione. Queste trasmissioni sono di solito molto istruttive. Vorrei con questo intervento richiamare l’attenzione sui punti che rendono difficili e spesso inefficaci questi incontri o dialoghi. Ovviamente non si discute sui dogmi, ma anche gli altri temi d’ordine pratico e sociale sono difficilmente affrontabili quando sono inseriti nel Corano o nella Sunna. Ecco le difficoltà con cui ci confrontiamo. Il Corano inculca al musulmano l’orgoglio di possedere la sola religione vera e completa, religione insegnata dal più grande profeta, poiché è l’ultimo venuto. Il musulmano fa parte della nazione privilegiata e parla la lingua di Dio, la lingua del paradiso, l’arabo. Per questo affronta il dialogo con questa superiorità e con la certezza della vittoria. Il Corano, che si suppone scritto da Dio stesso da cima a fondo, dà lo stesso valore a tutto ciò che vi è scritto: il dogma come qualunque altra legge o pratica. Nel Corano non c’è uguaglianza tra uomo e donna, né nel matrimonio stesso in cui l’uomo può avere più donne e divorziare a suo piacimento, né nell’eredità in cui l’uomo ha diritto a una doppia parte, né nella testimonianza davanti ai giudici in cui la voce dell’uomo equivale a quella di due donne ecc. Il Corano permette al musulmano di nascondere la verità al cristiano e di parlare e agire in contrasto con ciò che pensa e crede. Nel Corano vi sono versetti contraddittori e versetti annullati da altri, cosa che permette al musulmano di usare l’uno o l’altro a suo vantaggio; così può considerare il cristiano umile, pio e credente in Dio ma può anche considerarlo empio, rinnegato e idolatra. Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con il jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. La storia delle invasioni lo testimonia. Per questo i musulmani non riconoscono la libertà religiosa, né per loro né per gli altri. Non stupisce vedere tutti i paesi arabi e musulmani rifiutarsi di applicare integralmente i “diritti umani” sanciti dalle Nazioni Unite. Di fronte a tutti questi divieti e simili argomenti dobbiamo eliminare il dialogo? No, sicuramente no. Ma occorre scegliere i temi da affrontare e gli interlocutori cristiani capaci e ben formati, coraggiosi e pii, saggi e prudenti, che dicano la verità con chiarezza e convinzione. Deploriamo talvolta alcuni dialoghi in televisione in cui l’interlocutore cristiano non è all’altezza del compito e non riesce a esprimere tutta la bellezza e la spiritualità della religione cristiana, cosa che scandalizza gli ascoltatori. Peggio ancora, talvolta ci sono interlocutori del clero che, nel dialogo, per guadagnarsi la simpatia del musulmano chiamano Maometto profeta e aggiungono la famosa invocazione musulmana spesso ripetuta “Salla lahou alayhi wa sallam” (“che la pace e la benedizione di Dio siano su di lui”). Per concludere suggerisco quanto segue. Dato che il Corano ha parlato bene della Vergine Maria, insistendo sulla verginità perpetua e sulla sua concezione miracolosa e unica, che ci ha dato Cristo, e dato che i musulmani la considerano molto e chiedono la sua intercessione, dobbiamo ricorrere a lei in ogni dialogo e in ogni incontro con i musulmani. Essendo la Madre di tutti, Ella ci guiderà nei nostri rapporti con i musulmani per mostrare loro il vero volto di suo figlio Gesù, Redentore del genere umano. Voglia Dio che la festa dell’Annunciazione, dichiarata in Libano festa nazionale per i cristiani e i musulmani, divenga festa nazionale anche negli altri paesi arabi.

"  Il Silenziatore Romano"


Benedetto XVI

Roma. Il testo riportato qui sopra è l’intervento integrale che Raboula Antoine Beylouni, vescovo libanese di Antiochia dei Siri, ha consegnato “in scriptis” (solo per iscritto) alla segreteria generale del Sinodo dei vescovi del medio oriente giovedì scorso, tre giorni prima che Benedetto XVI chiudesse i lavori con una messa solenne nella basilica vaticana. Il testo originale, in francese, è stato riportato sul bollettino ufficiale del Sinodo diffuso dalla sala stampa vaticana il 21 ottobre. Due giorni dopo, il 23 ottobre, l’Osservatore Romano ha pubblicato l’intervento epurandolo di diverse parti in accordo con le indicazioni provenienti dalla segreteria di stato vaticana. Le parti purgate sono le più accese e forti. Beylouni, riprendendo diversi concetti espressi già da Papa Ratzinger a Ratisbona nella contestata lectio del settembre del 2006, riserva pesanti bordate all’islam politico e agli stati teocratici musulmani. Dice: “Il Corano inculca al musulmano l’orgoglio di possedere la sola religione vera e completa… Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada”. Inoltre il giornale vaticano ha purgato la parte in cui Beylouni accusa coloro che nella chiesa cattolica conducono il dialogo con l’islam senza esserne “all’altezza”. Nelle ore in cui il Vaticano è accusato di aver convocato un Sinodo diffamatorio verso gli ebrei e lo stato d’Israele, l’epurazione che il testo di Beylouni ha subìto da parte del giornale vaticano dà spago a coloro che ritengono che da tempo le gerarchie della chiesa cattolica preferiscano una politica di appeasement nei confronti dei fondamentalisti islamici sperando in questo modo di guadagnare l’immunità per i cittadini cristiani presenti nelle regioni medio orientali. Ieri il portavoce vaticano padre Federico Lombardi si è affrettato a dichiarare che solo “il messaggio” conclusivo del Sinodo “è l’unico testo scritto comune approvato”. Ma allora perché il bisogno di purgare Beylouni?

Giulio Meotti - "  L’anti Ratisbona mediorientale"


Giulio Meotti

Roma. Al sinodo sul medio oriente che ha definito Israele “trapianto non assimilabile” e “corpo estraneo che corrode”, fino a mettere in discussione il concetto di “Terra promessa”, ha risposto duramente il governo Netanyahu, definendolo “ostaggio di una maggioranza anti israeliana” e bollandone il documento conclusivo come un “libello contro il popolo ebraico”. Ne parliamo con lo storico decano dei rapporti fra Israele e Santa Sede, Sergio Yitzhak Minerbi, già ambasciatore d’Israele e docente all’Università di Gerusalemme. “E’ un punto bassissimo dei rapporti fra Israele e Vaticano. Ma quando mai sono stati alti? Più che di chiesa in generale, sull’antiebraismo parlerei di vescovi mediorientali, a cui va aggiunta la responsabilità vaticana sull’antisionismo. La politica della Santa Sede è da sempre anti israeliana. Durante la guerra a Gaza, il Papa intervenne cinque volte contro Israele in una settimana. Un record. Il solo conflitto mediorientale messo in evidenza nello Instrumentum laboris è quello fra Israele e i palestinesi. Quando palestinesi armati penetrarono nella basilica della Natività a Betlemme, il Vaticano scatenò una violenta campagna contro Israele”. Minerbi legge il sinodo come l’effetto di una anti Ratisbona. “Se la Santa Sede applicasse la teoria di Ratisbona, dove il Papa fu per la prima volta chiaro e duro sull’islam, Roma potrebbe cambiare le chiese mediorientali. Ma Ratzinger fu costretto a mutare rotta, prosternandosi nella moschea di Istanbul. Ratisbona durò poche settimane. Il Vaticano con l’appeasement verso gli islamisti spera di comprarsi l’immunità, pagando con moneta israeliana. Pie illusioni”. Secondo Minerbi, l’attacco più grave è sulla Bibbia: “Come se gli ebrei non avessero il diritto di chiosare la Bibbia come meglio credono. Fino a che prevarrà in Vaticano la politica filo islamica non si potrà sperare in relazioni normali con Israele. La chiesa faccia un calcolo di convenienza. Per salvare quel che resta della cristianità orientale, deve sputargli in faccia o riconoscere Israele, unico baluardo di libertà religiosa in medio oriente?”.

Giorgio Israel - "  Perché al Sinodo è stato dato un calcio ad anni di dialogo con gli ebrei"


Giorgio Israel

Per misurare la gravità di quanto è accaduto nel Sinodo dei Vescovi sul medio oriente è sufficiente un parallelismo storico. Come si comportò la “chiesa del silenzio” sotto i regimi comunisti che praticavano l’ateismo di stato e reprimevano la libertà religiosa? Tentò di ingraziarseli emettendo proclami “anti-imperialisti” nella speranza di ottenere temporanei vantaggi? Non lo fece, si comportò in modo dignitoso e moralmente ineccepibile. Oggi, i vescovi cristiani dei paesi islamici hanno taciuto della tragica realtà in cui vivono i loro fedeli, sottoposti a persecuzioni, in drammatica diminuzione numerica e privi di libertà religiosa. Hanno trovato forza solo per condannare Israele. Soltanto il vescovo libanese Rabula Antoine Beyluni ha osato dire la verità. Ma la triste immagine di una chiesa che tace delle persecuzioni cui è soggetta non dice tutto delle conclusioni del Sinodo. Colpisce l’elenco puntiglioso delle colpe di Israele senza alcun riferimento a quelle altrui; senza neppure trovare il coraggio di chiedere la liberazione di Gilad Shalit, un gesto umanitario che sarebbe stato il minimo per dei religiosi. Colpisce il calore con cui ci si è rivolti ai “fratelli” musulmani, da cui soltanto qualche “squilibrio” e “malinteso” divide, e la freddezza riservata agli ebrei, con cui esiste un “conflitto politico”. Sì, è vero, si è richiamata la “Nostra Aetate” e il dialogo, ma per concludere con una pesante sentenza: “Non è permesso ricorrere a posizioni teologiche bibliche per farne strumento a giustificazione delle ingiustizie”. Grossolana gaffe invero, perché il più famoso ricorso a posizioni teologiche bibliche per giustificare secoli di persecuzioni fu l’accusa di deicidio e l’arsenale dell’antigiudaismo cristiano. Un arsenale che gli ultimi due Papi hanno tentato di smantellare. Con scarso successo, a quanto pare, vista l’interpretazione che della frase ha dato l’arcivescovo greco-melkita Cyrille Salim Bustros: “Per noi cristiani non si può più parlare di Terra Promessa al popolo giudeo”. Difatti, “la Terra Promessa è stata abolita dalla presenza di Cristo che ha stabilito il regno di Dio”, il Nuovo Testamento ha sostituito il “Vecchio” e “non vi è più un popolo scelto”. La svolta che ha segnato, dopo secoli, un nuovo rapporto tra ebrei e cattolici è stato proprio l’abbandono della “teologia della sostituzione” – che era il fondamento dell’antigiudaismo cristiano – secondo cui l’elezione di Israele è stata revocata e sostituita con quella conferita all’Ecclesia cristiana. Giovanni Paolo II disse che “chi incontra Gesù, incontra l’ebraismo”. Benedetto XVI ricordò, circa l’elezione ebraica, che “i doni di Dio sono irrevocabili”. Significa che il cristiano ha il diritto di affermare la verità e anche la superiorità della propria fede, ma deve considerarla come parte di un’unica rivelazione. Si dirà che quel vescovo esprimeva un parere personale. Ma, trattandosi del presidente della commissione che ha redatto le conclusioni, non era uno che passava di là per caso e le sue tesi hanno avuto larga eco in un dibattito disseminato di parole spiacevoli. Quindi, la mancanza di una messa a punto è molto grave. Costui ha anche affermato che “sono stati portati 4,5 milioni di ebrei e si sono cacciati 3-4 milioni di palestinesi dalle loro terre in cui avevano vissuto per 1400-1600 anni”. A parte la menzogna storica, lascia attoniti la sfrontatezza morale: mentre si rinnovano i fasti della teologia che giustificò la reclusione degli ebrei nella “mura” dei ghetti e la “pulizia” della Spagna con la “cacciata” degli ebrei nel 1492, si osa parlare di “cacciate”, di “muri”, di “reclusione” e di “pulizia etnica”. In questi anni difficili c’è chi ha lavorato per avvelenare i rapporti ebraicocristiani. Altri hanno tentato in tutti i modi di svilupparli positivamente a dispetto di tanti ostacoli. Oggi hanno vinto i primi. E’ da augurarsi che in questa vicenda non abbia giocato una stima del debole peso dell’ebraismo, una piuma di fronte all’islam. Un simile calcolo sarebbe oltre che cinico, irragionevole. Un cattolico dovrebbe chiedersi se un calcio ai rapporti ebraico-cristiani valga il piatto di lenticchie di un’improbabile benevolenza. Ma soprattutto dovrebbe meditare sulle parole di Ratzinger: “Un congedo dei cristiani dall’Antico Testamento avrebbe come conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo”.

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