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Il Foglio Rassegna Stampa
05.06.2010 Israele Vs Terrore: Pacifisti, brutta razza. Ma anche certi giornali...
Israele e il rischio Obama, di Giorgio Israel

Testata: Il Foglio
Data: 05 giugno 2010
Pagina: 1
Autore: Editoriale-Giorgio Israel
Titolo: «Pacifisti, brutta razza- Israele, qualcosa che non va»

Un editoriale del FOGLIO, oggi 05/06/2010, che spiega a REPUBBLICA e al suo proprietario chi sono i cosidetti " pacifisti ", che sul suo giornale godono di così buona stampa. Sempre in prima pagine segue l'analisi di Giorgio Israel sul rischio che Israele si obamizzi.
Ecco i pezzi:

Editoriale: "Pacifisti, brutta razza "

Ezio Mauro direttore, Carlo De Benedetti padrone

 

Roma. Chissà se l’Ingegner Carlo De Benedetti sapeva chi fosse la pacifista italiana di ritorno da Gaza che ieri, sulla prima pagina di Repubblica, ha firmato un lungo racconto della sua detenzione in Israele. Angela Lano ha fatto parte del gruppo di italiani saliti a bordo della “Mavi Marmara” assaltata dai commandos israeliani. Lano è una collaboratrice di TerraSanta- Libera, uno dei principali portali dell’antisemitismo italiano monitorato anche dal Parlamento. Un sito web in cui lo stesso Carlo De Benedetti viene definito senza giri di parole “ebreo sionista”, oppure semplicemente “l’ebreo De Benedetti”. Terra- SantaLibera è una sorta di ricettacolo di tutti gli stereotipi antiebraici, sia di matrice laica sia religiosa, in nome della “solidarietà e supporto alla Palestina”. Vi si possono scaricare persino “I Protocolli dei Savi di Sion”, il falso che oggi fa bella mostra di sé nelle librerie del mondo arabo islamico. Su TerraSantaLibera i “così detti” Protocolli sono definiti “redatti con lungimirante lucidità”. Un sito negazionista dell’Olocausto che ripropone interviste e testi di negazionisti italiani e stranieri come Roger Garaudy o Robert Faurisson. Oltre a inviti a “investigare sull’11 settembre”. Garaudy è noto per aver sostenuto che “non c’è stato alcun genocidio durante la Seconda guerra mondiale, gli ebrei hanno sostanzialmente inventato l’Olocausto per il loro tornaconto politico ed economico”. Faurisson nega le camere a gas. Il veterano di Infopal: “Sono antisemiti” E’ allora facile da capire perché l’anziano leader della onlus Italia-Palestina, Mariano Mingarelli, padrino della militanza filopalestinese in Italia, abbia rotto con l’agenzia di stampa Infopal di Angela Lano. Al Corriere fiorentino, Mingarelli ha detto: “Non voglio certi nomi accanto al mio”. Mingarelli si è dimesso dall’agenzia di stampa di cui è direttrice la pacifista Lano per la presenza di intellettuali affiancati al suo nome che, secondo Mingarelli, hanno atteggiamenti antisemiti e negazionisti. “Al suo interno ci sono alcuni intellettuali, chiamiamoli così, con posizioni antisemite o comunque che non mi trovano d’accordo”, dice Mingarelli. Contro l’agenzia di Angela Lano si sono schierati anche i militanti antisionisti della rete “Ebrei Contro l’Occupazione”. Il merito di aver messo in luce la propaganda d’odio di questi portali è del ricercatore Stefano Gatti del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano. Ma di questo sfacciato negazionismo, a cui si abbeverano gli italiani in rotta su Gaza, si è occupato anche il Parlamento con il comitato per l’indagine sull’antisemitismo. Dal sito TerraSantaLibera, a cui collaboranomilitanti italiani tra cui Giuseppe Fallisi, si possono scaricare gratuitamente i saggi negazionisti dei francesi Serge Thion e Paul Rassinier. Il primo fu licenziato dal Cnrs (equivalente del Cnr italiano) per attività antisemite, per aver assicurato a Teheran “totale sostegno” e approvato il comportamento coraggioso del presidente Ahmadinejad, da lui considerato “un conforto” per i negazionisti. I lettori possono godersi anche lo statuto di Hamas, in cui si dice che “di fronte all’usurpazione della Palestina da parte degli ebrei dobbiamo innalzare la bandiera del jihad”. Angela Lano ha firmato un appello di Claudio Moffa, noto per aver invitato in Italia il negazionista Faurisson, in cui la Shoah viene definita “cosiddetto olocausto”. Nel comitato di redazione di Infopal c’è Enrico Galoppini, che pubblica per le Edizioni all’Insegna del veltro, la casa editrice di Claudio Mutti che ha in catalogo molti testi antiebraici e negazionisti. Angela Lano a Torino ha in programma una conferenza assieme a Mutti. Nel comitato dei consulenti di Infopal c’è anche Hamza Piccardo, già portavoce dell’Ucoii e curatore di un’edizione del Corano di ispirazione islamista e con note di matrice antiebraica, antioccidentale e anticristiana. Angela Lano collabora anche con la radio di stato iraniana Irib, principale strumento di propaganda di Ahmadinejad in Italia. La stessa radio il cui corrispondente iscritto alla Stampa estera di Roma, Hamid Masumi Nejad, è stato arrestato e incriminato per traffico d’armi dall’Italia verso la Repubblica islamica dell’Iran. Del comitato Infopal fa parte poi l’ex senatore comunista Fernando Rossi, quello che il premier di Hamas Ismail Haniyeh ha incaricato di “lavorare affinché delegazioni del governo palestinese di Gaza possano uscire dalla Striscia per incontrare ufficialmente i leader europei”. Fra gli italiani coinvolti nella spedizione su Gaza compare infine l’attivista palestinese Mohammad Hannoun, che vive da anni in Italia e la cui voce Angela Lano ospita spesso su Infopal. Hannoun è il presidente dell’Associazione “benefica” di solidarietà con il popolo palestinese, con sede a Genova, che ha raccolto aiuti umanitari per centomila euro caricati nelle stive della flottiglia della discordia. Hannoun e la sua onlus sono i capofila degli aiuti italiani della flottiglia pro Hamas. Solo pochi giorni fa la procura di Genova ha archiviato un’inchiesta nei suoi confronti per associazione con finalità di terrorismo. L’Abspp raccoglie fondi che arrivano anche alle famiglie dei terroristi suicidi. E’ stato lo stesso Hannoun ad averlo ammesso alla magistratura: “Fra i nostri assistiti ci sono figli di kamikaze”.

 

Giorgio Israel: " Israele, qualcosa che non va "

Obama in keffia,               Giorgio Israel

 Che sia stato il Sudan a chiedere un’inchiesta internazionale sul comportamento di Israele nella vicenda della nave di “pacifisti”, la dice lunga sul clima di colossale ipocrisia in cui vive la comunità internazionale. Molti dimenticano che sul capo del presidente del Sudan pende un mandato di cattura del Tribunale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità. In un mondo in cui la Cina tiene sotto il tallone il Tibet, la Russia regola i conti con la Cecenia a suon di morti a migliaia, la Turchia, che ha sulla coscienza un milione e mezzo di armeni, si può permettere di accusare Israele di terrorismo di stato. Israele è il male dell’umanità, il bersaglio su cui scaricare la propria cattiva coscienza. Ne è emblema il rapporto di Richard Goldstone, un giudice sudafricano che, nel periodo dell’apartheid, fece fustigare dei neri e ad altri comminò condanne a morte poi revocate da Nelson Mandela, e che ora si difende dicendo che all’epoca fece il proprio dovere – l’argomento classico dei gerarchi nazisti. Bene. Tutte queste cose vanno dette, assieme a molte altre. E “noi” dobbiamo dirle e ripeterle perché se decidessimo che è inutile diffondere la verità dei fatti e convincere le persone in buona fede, tanto varrebbe ritirarsi in un deserto, se ve ne sono ancora. Ma questo riguarda “noi”, che viviamo in occidente. Vi è però un altro punto di vista: quello di Israele, che può legittimamente nutrire – come ha sempre fatto – scetticismo circa l’utilità di modulare le proprie scelte non in funzione dei propri interessi ma in funzione dell’immagine che proietta all’esterno. E’ difficile negare che, per l’Onu e per organismi che esprimono il concentrato del cinismo morale, come la commissione dei Diritti umani dell’Onu, Israele sarà sempre un paese criminale, qualsiasi cosa faccia. Per questo, è ragionevole che, nella scala delle priorità di un paese la cui esistenza è sempre più messa in discussione, venga prima l’efficacia delle proprie azioni e poi la convenienza in termini di immagine e di propaganda. Israele ha sempre agito in questa ottica ed è per questo che ha superato prove terribili. Ma occorre che le azioni siano davvero efficaci, altrimenti il danno è superiore a quello che si otterrebbe non facendo nulla. Difatti, per quanto possa essere difficile difendere un’azione di apparenza brutale, è impossibile farlo se il suo senso è inafferrabile o inesistente. Nel caso della “flottiglia” di Gaza è certamente possibile smascherare la malafede dei “pacifisti”, svelare che si trattava di un trappola micidiale, in cui vi è responsabilità di un governo turco alla ricerca di ogni pretesto per schierarsi con l’islam integralista. Ma è difficile spiegare perché Israele sia caduto così ingenuamente nella trappola. E’ impossibile giustificare il fatto che un reparto militare, anzi un’unità speciale, si sia fatta umiliare cadendo in mezzo a una scarica di bastonate. Il problema è che da qualche tempo Israele persegue la tradizionale linea di priorità – prima gli interessi poi l’immagine – senza riuscire più a ottenere risultati efficaci. Il primo evento clamoroso in questa direzione è stato il fallimento della guerra del Libano del 2006 in cui il danno d’immagine non fu compensato da risultati apprezzabili. Anzi oggi il Libano rigurgita più di allora di missili puntati su Israele. Mi scuso per l’autocitazione, ma su questo giornale pubblicai un’analisi (“La crisi della deterrenza e dell’esercito di Israele spiegata con la teoria dei giochi”, 18 gennaio 2007) che mi sento di riproporre tal quale. Richiamavo la tematica allora sollevata dalla stampa israeliana, e cioè il trasformarsi di una società sempre più “avviluppata da uno scoraggiante edonismo”. Ma osservavo soprattutto che, per troppi aspetti, Israele stava assimilando i peggiori difetti dei paesi occidentali: una classe politica attaccata al potere e che faceva scelte in funzione dei sondaggi elettorali, ministri della Difesa nominati per motivi di equilibrio partitico, capi militari nominati per ragioni di vicinanza politica. Degenerazioni siffatte possono essere relativamente poco dannose in un paese europeo, ma sono disastrose per un paese a rischio di sopravvivenza. Tutto questo è cambiato a distanza di tre anni? Purtroppo, non di molto. Anche un ministro come Ehud Barak evoca soltanto il pallido ricordo dell’eroe di Entebbe, e proietta piuttosto l’immagine di un politico la cui massima preoccupazione è il futuro elettorale e governativo. Vi era una seconda più complessa ragione della crisi che evocavo in quell’articolo il profondo cambiamento della visione militare israeliana, sempre meno attenta alla motivazione soggettiva del combattente e sempre più centrata su un approccio scientifico-tecnologico. Siamo abituati a un’idea della strategia militare israeliana associata al “blitz”, all’intervento veloce, audace e inatteso, basato sull’azione di combattenti altamente motivati. Chi non ricorda l’immagine di Ariel Sharon con la testa bendata mentre consulta le carte durante l’audacissimo accerchiamento dell’esercito egiziano al di là del Canale di Suez? La recente operazione a Gaza offre un’immagine opposta: un esercito che avanza lentamente, con operazioni annunciate e prevedibili, con dispendio di mezzi, che non previene con la velocità i blocchi della diplomazia. L’operazione di Gaza è stata un insuccesso non minore di quella del Libano, anche se meno costosa in vite per l’esercito israeliano. Le guerre si fanno per vincerle, altrimenti meglio non farle. Il risultato politico-strategico è stato nullo: Hamas controlla Gaza come ieri. Il rapporto Goldstone sarebbe stato compensato dall’acquisizione di un vantaggio, ma così non è stato e il bilancio è totalmente negativo. Tutto ciò non è stato soltanto il cattivo frutto della politica politicante, ma anche di un cambiamento di concezione militare che si potrebbe descrivere come un’“americanizzazione” dell’esercito israeliano. Assenza di fantasia strategica, scarsa fiducia negli uomini, troppa fiducia nelle macchine. L’esercito di Israele è stato sempre qualcosa di diverso. Oggi appare come un esercito sempre meno fiducioso nelle persone e sempre più nella tecnologia. Poi, certo, nella vicenda della “flottiglia” c’è stato di peggio: carenza di “intelligence”, superficialità nelle decisioni operative, assenza di valutazione politica. Tutte queste sono critiche di chi è profondamente preoccupato dal futuro. Perché oggi Israele, nel declino impressionante della potenza americana, accelerato dagli atti e dall’inazione del Chamberlain contemporaneo, è molto più solo e i suoi compiti sono terribilmente più complicati e difficili. Sono compiti ineludibili perché coincidono con l’esigenza di sopravvivere. E coincidono anche con il destino dell’occidente. L’ansia per questa situazione è apparsa in modo impressionante nel rapporto tenuto dal capo del Mossad davanti alla Knesset pochi giorni fa. Oggi più che mai Israele è l’avamposto di un occidente in crisi e spetta a chi comprende questa crisi stargli vicino e aiutarlo a trovare tutte le energie morali necessarie, che sono la risorsa primaria in una situazione tanto difficile. Ha detto bene Angelo Panebianco: Israele è una realtà fragile e molti aspettano la sua distruzione per brindare. Vanno sottoscritte le sue parole: sarebbe una tragedia che “anticiperebbe o accompagnerebbe una grande sconfitta occidentale: la vittoria di concezioni, modi di vita, istituzioni, antitetici ai nostri e a noi ostili”.

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