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Il Foglio Rassegna Stampa
21.05.2009 La fine dell'Olanda, ultima puntata
Giulio Meotti, i grandi giornali lo lodano, ma non hanno il coraggio di copiarlo

Testata: Il Foglio
Data: 21 maggio 2009
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Il Ground Zero dell’Olanda»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 21/05/2009, in prima pagina, l'ultima puntata dell'inchiesta sull'Olanda di Giulio Meotti dal titolo " Il Ground Zero dell’Olanda ". Ricordiamo ai lettori che le precedenti puntate sono state pubblicate nella rassegna di IC dei giorni 12, 14, 16 e 19 maggio. Ecco l'articolo:

Amsterdam. Linnaeusstraat si trova in un quartiere popolato in maggioranza da musulmani. E’ qui che Mohammed Bouyeri tese un’imboscata a Theo van Gogh il 2 novembre del 2004. Il regista si fermò a un attraversamento pedonale della pista ciclabile. L’islamista gli sparò un colpo con una pistola di fabbricazione croata. Theo cadde dalla bicicletta, riuscì a sollevarsi e a trascinarsi dall’altra parte della strada. Bouyeri lo seguì fino al cestino delle immondizie a cui Van Gogh si era aggrappato, esplose altri due colpi, davanti al caffè “L’Olandese”, mentre la vittima lo implorava di non farlo. Estrasse un coltello per decapitarlo, prima di appuntargli una lettera al petto con una lama più piccola, simile a un machete ricurvo. La lettera conteneva minacce di morte contro Geert Wilders e la parlamentare di origine somala Ayaan Hirsi Ali. Addosso all’assassino fu trovata anche una poesia: “Agli ipocriti dico: se non volete morire, tenete chiusa la bocca”. Sulla Linnaeusstraat oggi nulla ricorda la macellazione rituale del regista. Non esiste un Ground Zero olandese. E’ un’assenza che si avverte molto in un paese che monumentalizza tutto ed è ossessionato dal passato. La popolazione di Amsterdam alcuni mesi fa individuò nel “Ganoderma applanatum” l’incarnazione del male. E’ il fungo assassino che stava uccidendo l’ippocastano che Anna Frank vedeva ogni giorno dal suo nascondiglio. Il comune voleva abbatterlo, ma i bravi cittadini di Amsterdam si sono opposti in nome della tolleranza. Un paese dove il 4 di maggio ogni anno ci si ferma per due minuti, come in Israele, ricordando i caduti in guerra. Alle venti esatte la regina depone una corona di fiori in piazza Dam. Ogni anniversario dell’assassinio di Theo passa invece inosservato, senza cordoglio né retorica nazionale condivisa. Sulla pista ciclabile color rosso in Linnaeusstraat ci sono due piccole incisioni, gente del posto ci dice che sono i segni lasciati da due proiettili. E’ più facile che qualcuno vada a portare fiori sulla Pythagorasstraat, davanti all’ultima di una serie di villette di mattoni rossi tutte uguali, dove abitava Van Gogh. Il giorno della sua morte le bandiere rimasero a mezz’asta, un onore che per legge deve essere tributato solo alla regina. “Se avessero fatto di Theo un simbolo della libertà, i multiculturalisti avrebbero dovuto ammettere che aveva ragione”, racconta al Foglio Theodor Holman passeggiando per la Damrak, la squallida arteria di Amsterdam da cui partono i battelli turistici e dove si concentra gran parte della teppa giovanile. Holman è un cinquantenne grassoccio dall’aspetto spavaldo e trasandato, era il migliore amico del regista, nonché il suo storico sceneggiatore e l’editorialista del principale quotidiano di Amsterdam, Het Parool. “Se avessero fatto di Theo un simbolo, avrebbero dovuto cambiare politica, ma loro non vogliono cambiare. Theo non potrà diventare un eroe”. Con Holman andiamo negli studi della Column di Giys de Vestelaken, un fumatore incallito sulla cinquantina che guida auto d’epoca. Giys creò la Column dieci anni fa assieme a Van Gogh. E’ lui ad aver prodotto “Submission”, la pellicola sulla sottomissione della donna nell’islam che costò la vita a Theo. Lo studio si affaccia su Warmoesstraat, vicino a piazza Dam, fra decine di darkrooms, locali di sesso dal vivo, coffeeshops e un bizzarro negozio che vende ogni tipo di condom, ce ne sono di colorati, profumati, di ogni dimensione e afrore erotico. Non lontano dagli studi di Theo van Gogh, una splendida mattina di sole di un anno fa sei ufficiali di polizia entravano in un piccolo appartamento. Erano lì per un vignettista con un crudo senso dell’umorismo, il preferito da Van Gogh. “Non mi sarei mai aspettato l’Inquisizione spagnola”, dice l’uomo che si firma Gregorius Nekschot e che tutela ossessivamente il proprio anonimato a causa delle minacce. Il 13 maggio 2008 il vignettista trascorse la notte in cella, mentre la polizia spulciava nel suo computer, accusandolo di violazione di un articolo della Costituzione olandese che proibisce la discriminazione. “La Danimarca protegge i vignettisti, noi li arrestiamo”, denuncia Geert Wilders, uno dei favoriti per le elezioni europee del prossimo 4 giugno con il suo “Partito per la libertà”. Il sito internet di Gregorius Nekschot, che in olandese significa “giustiziato alla nuca”, è preso ogni giorno d’assalto e le sue opere, spesso di pessimo gusto, sono esposte al Parlamento dell’Aia dove un politico liberale ha allestito uno “spazio dedicato alla libertà di pensiero”. Nekschot, che disegna per il settimanale HP/De Tijd, ha detto che l’arresto ricorda “i metodi dei fascisti e dei comunisti”. La sua vignetta più celebre ritrae la scritta “Islamsterdam” e un imam con un coltello fra i denti. Il caso Nekschot dimostra che l’Olanda è nel caos più totale di fronte alla campagna intimidatoria dichiarata contro giornalisti, studiosi, vignettisti, scrittori e cabarettisti in seguito all’assassinio del regista. Lo avevano promesso: “Questa da ora in poi sarà la tassa che dovrà pagare chiunque offenderà Allah”. Un anno fa alla pittrice olandese Ellen Vroegh sono stati ritirati i dipinti dalla galleria comunale di Huizen, perché “offensivi dell’islam”. Nei suoi quadri non c’erano imam con bombe in testa, ma donne nude. Quanto basta per far scattare la censura preventiva. Lo scettro di Van Gogh è oggi nelle mani del suo amico, Hans Teeuwen. Ma anche lui, guarda caso, ha scelto di non esibirsi più in Olanda per paura di fare la stessa fine di Theo. “E’ ancora difficile per me capire ciò che è successo”, spiega Nekschot al Foglio nella prima intervista a un quotidiano italiano. “Dopo un anno, c’è ancora un’inchiesta preliminare, sono vittima di un cinico gioco politico. Il ministro della Giustizia in Parlamento ha detto che, prima del mio arresto, c’erano stati sette incontri sul vignettista Nekshot. Il mio arresto è una specie di scambio: il governo dimostra di combattere i terroristi e arresta i vignettisti per placare i musulmani. In altre parole, ci sono importanti politici in Olanda disposti a sacrificare i nostri diritti costituzionali, come la libertà di parola, per mantenere la ‘pace’. La situazione oggi è molto pericolosa per accademici, scrittori, giornalisti, vignettisti. Una volta che mercanteggi la tua libertà di parola, sei finito”. Cosa sta diventando l’Olanda? “Il regno dell’autocensura”, dice il vignettista. Una settimana prima del nostro arrivo, l’apostata musulmano Mark Gabriel, docente di islamistica riparato negli Stati Uniti dopo anni di insegnamento all’università egiziana al Azhar, su sollecitazione del servizio segreto olandese ha dovuto abbandonare in fretta l’aeroporto di Amsterdam per il timore di attentati. La nostra inchiesta sull’Olanda multiculturale si chiude ad Amsterdam, Islamsterdam, la città dove tutto ha avuto inizio, sulle tracce di Theo van Gogh. Il grande rimosso. L’olandese dagli occhi azzurri, il bastian contrario e forsennato radicale, il columnist che non conosceva diplomazia, l’agitatore grassissimo che beveva molto e fumava Gauloises senza filtro. Con la sua gola squarciata e la lettera di invocazione ad Allah infilzata nel petto, Van Gogh avrebbe dovuto diventare un monito contro l’odio e l’intolleranza nella capitale mondiale della libertà. Ma ha ragione Daniel Schwammenthal quando sul Wall Street Journal scrive che “ogni senso dell’urgenza che gli olandesi possono aver provato dopo l’uccisione di Van Gogh è andato definitivamente perduto”. Quando venne ucciso anche un timoroso speaker del Parlamento, Josiah van Arisen, disse: “Il jihad è arrivato in Olanda”. Nella folla riunita a piazza Dam c’era anche l’allora consigliere municipale Ahmed Aboutaleb, oggi sindaco di Rotterdam dove la sharia è stata portata persino nei teatri comunali. Migliaia di olandesi alzarono cartelli con scritto: “No alla sottomissione al fontamentalismo” e “Lunga vita all’Olanda e al mondo libero”. Fu a casa di Theodor Holman che Van Gogh conobbe Ayaan Hirsi Ali, con la quale avrebbe lavorato a “Submission”, girato proprio negli studi della “Column”. “La morte di Theo è stata la fine della libertà di parola in Olanda”, ci dice Holman. “Le nostre strade erano così tolleranti fino ad allora e a un tratto ti accorgi che non puoi dire quello che vuoi. Da allora non è più possibile dire quello che vogliamo. Theo era un columnist molto duro e i politici hanno detto che era per la sua durezza che è stato ucciso. Dopo la sua morte tutti hanno pianto, ma cinque anni dopo si sente dire che Van Gogh era un provocatore e un pessimo regista. Gli intellettuali olandesi soffrono della sindrome di Stoccolma”. “Quasi che avesse chiesto di morire”, interviene il produttore Gys de Westelaken. “E lo stesso vale per Pim Fortuyn, si ripete che era gay, che aveva due cani etc… come se la sua eccentricità giustificasse la morte”. “In aula Bouyeri ha invece detto di aver ucciso Theo per motivi religiosi e non perché fosse un cattivo ragazzo”, dice Holman. “Fino ad allora ero stato molto orgoglioso della storia del mio paese, ci troviamo a cinquanta metri dalla casa di Spinoza, non lontano c’è quella di Cartesio. E’ in corso una guerra in città, la gente non ne può più di tutto ciò che sentono sui musulmani. Questo divide la città, la politica, il paese, il giornalismo. Molti scrittori e intellettuali oggi sono ancora politicamente corretti perché questo conviene alla loro carriera. Cinque anni dopo la morte di Theo la situazione è peggiorata e diventa sempre più oscura. Oggi c’è tanta paura, autocensura, continuano a dire ‘let’s debate’, dibattiamo, ho partecipato a una ventina di dibattiti dopo l’uccisione di Theo e non vedo soluzione. La correttezza politica sta crescendo, la gente è confusa, chi era di sinistra sinistra oggi è di destra. Io che sono di sinistra l’ultima volta ho votato i liberali di Hirsi Ali”. Chi era Theo? “Era prima di tutto uno scrittore, un regista, un columnist, giocava con le cose, era sempre tagliante, in un certo senso era un clown, diceva ‘chi vuole uccidere il pazzo del villaggio?’. Bouyeri ha scelto Theo per due motivi. Per ciò che aveva scritto nel libro ‘Allah knows better’, Bouyeri doveva ucciderlo perché Theo era un ‘kaffir’, un infedele. Theo poi era amico di Ayaan, il film lo abbiamo fatto qui in questo edificio, Theo era un simbolo della libertà di parola anche per i nostri nemici. Bouyeri ha detto di averlo ucciso per questo, non perché si sentiva offeso da Theo. Inoltre Theo e Bouyeri erano simili, erano due scrittori, Bouyeri era molto integrato, ottima istruzione, era nato qui e aveva avuto la possibilità di capire quel che voleva. L’islam divenne la sua ragione di vita. E una volta diventato fanatico, doveva trarne le conseguenze del suo fanatismo”. Al processo Bouyeri confessò di essere pronto a “rifare la stessa cosa” se avesse avuto una seconda occasione. In aula indossava una tunica araba e aveva una copia del Corano. Prese la parola dopo una preghiera islamica. “Voglio che sappiate che ho agito per convinzione e che non ho preso la sua vita perché era olandese o perché io sono marocchino e mi sono sentito insultato”. E rivolto alla madre di Van Gogh, Anneke: “Non odiavo suo figlio, non era un ipocrita e non mi sono sentito offeso da lui. Non sento il suo dolore in quanto lei è un’infedele”. “Ero seduto accanto alla mamma di Theo quando Bouyeri, in aula, le disse che non odiava suo figlio, ma che era un simbolo, che era orgoglioso di quello che aveva fatto e che se fosse uscito lo avrebbe fatto ancora e ancora”, prosegue Holman. “Dopo la morte di Theo abbiamo dovuto ritirare il film, ci sono state minacce di morte”, riprende De Westelaken. “La gente può vederlo su Internet, ma la smocking gun è stata rimossa dal pubblico. E’ un film proibito, in senso drammatico. All’epoca non ero orgoglioso di produrre ‘Submission’, era un film come un altro, anche molto facile, Theo diceva ‘non è il mio miglior film’. Potremmo trasmetterlo in televisione, ma c’è una regola non scritta che lo proibisce. Guarda cosa è successo al film di Wilders, ‘Fitna’, è così facile sedersi al computer e minacciare di morte qualcuno e non c’è più bisogno nemmeno di essere legati ad al Qaida. Nessuno immaginava cosa sarebbe successo con questa pellicola. Non è il film in sé che conta, è come le vignette danesi sul Profeta, è ciò che rappresentano e l’atmosfera che si crea attorno a queste opere. A me manca moltissimo l’energia e l’ironia di Theo, quando piombava nel mio ufficio e buttava all’aria tutto. Dopo Theo il servizio segreto ci proteggeva, chiunque fosse coinvolto era sotto tiro. Guarda quel che è successo al traduttore giapponese di Salman Rushdie, è stato accoltellato a morte”. Il giorno in cui è stato ammazzato Van Gogh stava andando a lavorare al suo film su Pim Fortuyn. “Theo e Pim erano amici, si vedevano, parlavano di politica, Theo ha scritto alcuni discorsi di Pim”, spiega Holman. “Fortuyn si diceva che fosse ‘pericoloso’ e un ‘fascista’, ma era tutto il contrario. Non aveva l’aspetto di un uomo di destra, era omosessuale, aveva un coiffeur personale, una macchina sportiva, aveva tanto humour, era pro libertà di parola contro l’islamismo. Il suo assassino lo ha ucciso perché Pim disturbava l’ordine olandese, dicono che era un ‘fascista’ perché non rientrava negli schemi. Theo e Pim, la loro morte, sono accomunata dal fatto che per primi sollevarono il tema dell’islam. Pim diceva sempre, ‘non ho niente contro i musulmani, possono anche succhiarmi il cazzo, ma l’islam vuole uccidere gli omosessuali, io sono un omosessuale e devo difendere la nostra cultura’. Era fatto così. Theo diceva lo stesso, aveva girato film con giovani marocchini, ma sapeva che lo consideravano un ‘infedele’”. Hans Jansen insegna Pensiero islamico all’Università di Utrecht ed è un’istituzione in Olanda. Ha conosciuto Theo mentre girava “Najib and Julia”, la storia di una ragazza olandese che si fidanza con un marocchino. “Theo voleva essere sicuro che i suoi attori parlassero un arabo corretto, un dialetto vero. Mi chiese una consulenza e fui felice di lavorare con lui. Amava i dettagli e ci lavorammo sopra. La sua morte ha reso la gente impaurita, molti hanno smesso di parlare di islam. Theo era un eccentrico e molte persone non hanno maturato l’interesse nella libertà di espressione perché hanno pensato che ‘i musulmani hanno ucciso un folle’, ma si sbagliano. C’è grande paura fra giornalisti, scrittori e artisti. In molti hanno smesso di parlare, soprattutto chi ha figli ha preferito una vita quieta. Le uniche novità di rilievo sono ‘Fitna’ e l’ascesa di Wilders”. Jansen rigetta gli studi fino ad ora condotti sull’assassino di Van Gogh. “C’è la tentazione di spiegare Mohammed Bouyeri attraverso canoni materialisti e sociologistici. Io ho sempre pensato che il caso di Mohammed fosse tipico dell’odio che chi riceve un dono matura verso chi glielo ha donato. Abbiamo dato tutto agli immigrati musulmani, ma loro hanno maturato odio per la democrazia. Sono pessimista sull’Olanda, non abbiamo l’energia per resistere. La popolazione islamica qui è del tutto immune dalle forze del liberalismo, della scuola, persino della lingua olandese. Il fallimento del multiculturalismo è una tragedia disarmante, c’è un grande disorientamento nell’educazione, nell’esercito, nella società. Siamo prossimi alla barbarie”. Jansen è legato anche alla sceneggiatrice somala di “Submission”. “Ayaan Hirsi Ali ha parlato agli olandesi come se fossero suoi pari. Ma questa élite olandese pensa che gli immigrati non siano uguali a noi, ma gente da accudire, il mio paese non ha mai capito i musulmani. Ayaan ripeteva che se gli apostati dell’islam non fossero stati difesi dalla democrazia olandese, l’Olanda si sarebbe avviata in una brutta direzione. Ed è quello che è successo, il destino di Ayaan è un esempio tragico per gli altri immigrati, sanno adesso che se parlano olandese e si comportano come dei secolaristi, non saranno difesi dagli olandesi e attaccati dai propri simili”. A Jansen chiedamo se ritiene oggi possibile un altro caso Van Gogh. “Non ho mai voluto rispondere a questa domanda, non voglio neanche pensarci”. Van de Westelaken interrompe la discussione: “Ayaan è stata cacciata dal paese”. Lo dice come se quel che è successo sia stato un momento di non ritorno. “L’Olanda è un paese piccolissimo senza Ayaan, da un punto di vista intellettuale”, dice Holman. “Una donna, una donna nera, ex musulmana, senza clitoride, che nasce a sinistra e passa con i liberali, odiatissima dalle donne olandesi, Ayaan era troppo bella per la politica. Un diamante nero, parlava tante lingue, Theo adorava Ayaan, li ho fatti incontrare io nella mia casa. Ayaan disse subito: ‘Voglio fare un film con te’. Qui tutti pensavano che le cose potessero cambiare, avevamo un omosessuale cattolico come Pim, poi Ayaan, era strano averli in Olanda tutti e due, due persone così intelligenti e con una visione internazionale dei problemi. E’ un paese molto più piccolo senza di loro”. “L’omicidio di Theo è stato molto efficace”, dice Holman prima di concludere l’intervista. E’ come se uccidendo quel ragazzone che amava provocare, che era orgoglioso di avere uno zio ucciso dai nazisti e che si sentiva come investito di una missione sulla libera parola, l’islamismo sia riuscito a congelare l’anima dell’Olanda. “E’ stata una bomba intelligente”, dice Van de Westelaken porgendoci una copia di “Interview”, uno dei film di Theo di cui il celebre attore americano Steve Buscemi ha appena realizzato il remake. “Quell’omicidio ha cambiato la vita delle persone. La bomba di Madrid non ha avuto questo effetto, perché il giorno dopo, nonostante tutti quei morti, la gente doveva continuare a prendere il treno. Con Theo hanno ucciso una sola persona e la sua libertà di parola. Ma con lui molti altri hanno chiuso la bocca”. Due settimane prima di morire, Theo van Gogh doveva andare negli Stati Uniti. Aveva una paura matta di volare e a Holman diede disposizioni per il suo funerale. “Voglio tanta vodka, tutti devono fumare Gauloises, le donne devono indossare i tailleur e una collana di splendide perle bianche”. Aveva preparato anche il suo ultimo capolavoro. Al centro della sala rotonda del teatro, dove la sera dell’omicidio si runirono gli amici e la famiglia, c’era la bara del regista, il suo cellulare, l’agenda e la bicicletta nera su cui pedalava anche il giorno della morte. “Piangemmo e ridemmo tutta la notte, come quando muore un amico”, dice Holman. Accanto alla bara anche una bottiglia di champagne. Sulla pancia di Theo una rosa bianca e un foglio con scritto “Maarty”. Una delle sue tante fidanzate. A mezzanotte, sotto le note di “A perfect day” di Lou Reed, una limousine entrò nella sala e se lo portò via. E’ stato il primo martirio multiculturale in Europa.

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