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Il Foglio Rassegna Stampa
16.05.2009 La più grave malattia dell’Europa è il relativismo culturale di fronte all’islam
L'analisi di Geert Wilders - intervistato da Giulio Meotti - e quella discordante di Aart Heering

Testata: Il Foglio
Data: 16 maggio 2009
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti - Aart Heering
Titolo: «Parla Wilders,l’uomo più odiato e più amato d’Olanda - Ma l’Olanda non va verso la catastrofe interculturale.Ecco perché»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 16/05/2009, in prima pagina, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Parla Wilders,l’uomo più odiato e più amato d’Olanda " e quello di Aart Heering dal titolo " Ma l’Olanda non va verso la catastrofe interculturale. Ecco perché ". Notiamo che l'articolo di Heering oppone all'ipotesi della "catastrofe interculturale" soltanto dati sui successi professionali degli immigrati musulmani e sulla mancanza di discriminazione verso di loro, oltre che una sottovalutazione davvero imprudente del rischio terroristico: non c'è bisogno di organizzazioni di "professionisti" del terrore per distuggere la libertà di opinione con omicidi come quelli di Fortuyn e Van Gogh . In esso non vi è dunque nulla che possa cambiare il quadro tracciato da Wilders nell'intervista. Ecco gli articoli:

Giulio Meotti : " Parla Wilders,l’uomo più odiato e più amato d’Olanda "

L’Aia. Quando Geert Wilders si alza in piedi, con la testa riesce quasi a toccare il soffitto angusto dell’ufficio. Piccolissimo e senza finestre, si trova nel punto più alto del Parlamento olandese. Non è stato scelto a caso. Gli assassini possono arrivarci da una sola direzione, rendendo più facile l’intervento della scorta. Di tanto in tanto il Parlamento deve ricollocarlo all’interno dell’aula in un punto non visibile al pubblico, per meglio tutelarlo. Non sono ammessi visitatori nel suo ufficio se non dopo una trafila lunghissima, persino le penne vengono setacciate, in cerca di ordigni. La compagnia aerea olandese Klm ha rifiutato d’imbarcarlo su un volo per Mosca, per problemi di sicurezza. Il suo entourage è perlopiù anonimo. Quando il livello d’allerta sale, Wilders non sa dove passa la notte, lo portano via e basta. Non usa il telefono e per mesi ha visto la moglie due volte la settimana, in un appartamento sicuro e quando lo decideva la polizia. Prima di questa intervista al Foglio, le sue assistenti ci hanno annullato due incontri. Per ragioni di sicurezza. Il punto più basso Wilders lo ha toccato quando è stato costretto a vivere in una prigione di stato, il campo Zeist, nella cella accanto a quella dei terroristi dell’aereo abbattuto nel cielo scozzese di Lockerbie. “In carcere avevo una stanza per dormire e vestirmi e una per mangiare”, ci dice Wilders. “L’Olanda dopo la morte di Van Gogh non era preparata. Ho perso la mia libertà, da sei anni vivo 24 ore su 24 sotto la protezione della polizia, ovunque vada ci sono con me molti poliziotti, devo dare loro la mia agenda, privata e professionale, con largo anticipo. Potrei andare al ristorante con mia moglie, ma la polizia dovrebbe prima evacuarlo. Quando andiamo al cinema, entriamo dalla porta di dietro, arriviamo dopo che il film è iniziato e andiamo via prima che finisca. Sono sotto scorta permanente, grazie a coloro che preferiscono la violenza al dialogo. Sono grato a chi mi protegge, fiero di vivere in una società che tutela chi viene minacciato, ma è terribile quello che sta accadendo”. Wilders è il grande scandalo che agita oggi i Paesi Bassi. Il suo atteggiamento è spesso sopra le righe, appositamente provocatorio e verbalmente incendiario. Osa irridere anche la regina Beatrice, figura sopra i partiti e amata dal popolo olandese. L’atteggiamento di Wilders è quello di chi sa di non avere alternative. Come quando ci dice: “Non lascerò scrivere la mia agenda a un mullah iraniano. Sono l’unico olandese più al sicuro in Israele, il mio amato Israele, che nel mio paese”. Il quarantaquattrenne Wilders leader del “Partito per la Libertà”, ha fatto breccia nei rancori europei sullo scontro di civiltà. All’esordio elettorale, nel 2006, conquistò nove seggi. Se si votasse oggi, sarebbe il primo partito. “La più grave malattia dell’Olanda e dell’Europa è il relativismo culturale”, dice. “L’idea che tutte le culture siano uguali, ecco il punto. L’umanesimo europeo, costruito su basi cristiane e giudaiche, è migliore della cultura islamica, anche se una secolarizzazione estrema sta distruggendo gran parte di quel patrimonio. Il multiculturalismo funziona se sei forte abbastanza per dire che la tua cultura è migliore e dominante. Ma quando il multiculturalismo si coniuga al relativismo culturale, è suicidio. Da quando i nostri padri fondatori trasformarono questa palude, l’Olanda, in un’oasi di tolleranza, il nostro stendardo merita di essere librato in aria e in libertà. La correttezza politica ci impedisce di farlo, si ha paura di essere chiamati ‘estremisti’. L’islamizzazione ha successo nella mancanza di coraggio. Siamo diventati come tanti Chamberlain, anziché Churchill, i politici non conoscono la storia del proprio paese, non hanno identità, non sanno chi rappresentano. Non hanno più la volontà di battersi per i propri valori”. La migliore definizione di Wilders l’ha data James Taranto intervistandolo per il Wall Street Journal: “Campione della libertà o provocatore antislamico? Entrambe”. Per i suoi estimatori, il grande braccato Wilders, con il suo convoglio di automobili simile a quello che aveva Pervez Musharraf, è un pegno intorno al quale si consuma il destino del nostro continente, assieme a una caterva di opere d’arte, libri, pellicole e articoli. Per i suoi critici, è un populista aggressivo. Wilders ci spiega che non può visitare un paese straniero con l’assicurazione che non verrà arrestato e processato. In tutto il mondo, da Amman a Londra, non si contano più le azioni legali contro di lui. Le sue idee sull’islam sono molto problematiche. Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti, a cominciare da Bush, hanno dibattuto a lungo su come definire il nemico. Per Wilders, l’islam è più ideologia che religione. “Una ideologia come lo fu il comunismo, l’islam non vuole competere con le altre fedi, non vuole cambiare la vita dei singoli esseri umani, ma l’intera società. A differenza del giudaismo, non vuole integrarsi nelle democrazia occidentale, l’islam vuole dominarla, sottometterla”. Una delle ultime minacce che gli hanno recapitato diceva: “Oh infedele! Non pensare di essere al sicuro. Il tuo sangue scorrerà sulle strade olandesi”. Dalla parte del suo allarmismo ci sono i dati più recenti forniti dalla polizia olandese. Nel 2008 ben 428 minacce di morte da parte di gruppi o individui di matrice islamista. Nel 2007 erano state 264. “La giusta risposta della sharia è tagliargli la testa e fargli fare lo stesso destino del suo predecessore, Van Gogh, spedendolo all’inferno”, recita il forum al Ekhlaas su Wilders. C’era lui in cima alla lista dei “bersagli” inchiodata al petto di Theo van Gogh, il regista ucciso da un fanatico islamista per il cortometraggio “Submission”. Il suo nome è stato trovato persino fra alcune carte a Hebron e in Iraq. Alcuni siti in arabo offrono laute ricompense per chi riuscirà a ucciderlo. Gli analisti ritengono che fin dall’inizio il vero obiettivo fosse lui. Molto prima dell’uccisione di Van Gogh, Wilders riceve un video: l’invocazione ad Allah, un mappamondo coperto da un Corano su cui si erge un kalashnikov. E il suo nome. “Nemico dell’islam – recita una scritta in olandese – Condannato alla decapitazione. Chi eseguirà la pena salirà in paradiso”. La polizia ha arrestato un diciassettenne in possesso di una bomba carica di chiodi, sul modello di quelle di Londra del 7 luglio 2005, che intendeva usare contro Wilders. L’ironia, dice Wilders, è che chi lo minaccia è liberissimo di andarsene in giro, mentre lui, eletto dal popolo, non può neppure annunciare i suoi comizi. “La libertà di parola è il più grande tesoro dell’occidente”, dice Wilders. “Se vogliamo rimanere liberi, se vogliamo che lo siano i nostri figli e nipoti, dobbiamo difendere la critica dell’islam come il nostro bene più prezioso. E’ il fondamento della democrazia. Ma stiamo andando nella direzione opposta. Dobbiamo riacquistare il senso dell’urgenza, è una battaglia esistenziale, chi siamo e cosa saremo nel futuro”. Qualcuno lo ha ribattezzato “l’uomo invisibile”. Guai ad accusarlo di essere simile a Le Pen o Haider, “sono un conservatore tocquevilliano ripeteWilders. Lui è fiero di essere invitato a parlare all’American Enterprise Institute, lo stesso pensatoio di Washington per il quale lavora Ayaan Hirsi Ali. E alla benemerita Freedom House, che non accoglie certo xenofobi e fanatici di destra. Molti lo accusano di usare il giudeocristianesimo a fini elettorali. “Io non sono un cristiano praticante, sono ateo, ma amo la cristianità come insieme di principi, è ciò che siamo, quello da cui proveniamo”, dice. “Se perdiamo tutto questo, qualcun altro riempirà il vuoto che lasciamo. I cristiani e gli ebrei sono le prime vittime quando facciamo appeasement nei confronti dell’islam. La cristianità ha dovuto imparare la tolleranza, ma oggi è di gran lunga superiore all’islam. Penso alla separazione di stato e chiesa, il rispetto per le donne, i diversi, gli apostati, i gay. Potrei darle 500 esempi di come la nostra cultura è superiore”. Sui giornali e le televisioni olandesi non passa giorno senza che non si auspichi un “cordone sanitario” intorno a lui. “Non mi sento offeso quando mi chiamano Haider o Le Pen, è semplicemente ridicolo, offendono chi mi vota, la maggioranza degli olandesi. Se domani ci fossero le elezioni, saremmo il primo partito. Abbiamo paura che le nostre scuole, le nostre strade, le nostre città, tutto cambi velocemente. Verso il peggio. Non c’è via di mezzo: mi odiano o mi amano. Ieri ho ricevuto una minaccia di morte dall’Arabia Saudita, mi dicevano che sarei stato assassinato nel momento in cui meno me lo sarei aspettato. Ci sono tante ragioni per essere pessimisti, l’Europa sta perdendo se stessa. Spero che non sia troppo tardi. Voglio che i valori di Roma, di Atene e di Gerusalemme restino i nostri valori, e non quelli della Mecca, di Rabat o di Teheran”. Un record, a parte le minacce di morte, Wilders lo ha già conquistato. E’ l’unico parlamentare di un paese europeo bandito dal Regno Unito. “All’aeroporto di Heathrow mi hanno negato l’ingresso, mentre ogni giorno nelle strade di Londra si manifesta a favore di Hamas e per la distruzione di Israele. Ero stato invitato da un parlamentare inglese e questo bando mi ha soltanto dimostrato a che punto siamo arrivati. Se avessi criticato la cristianità o il giudaismo, non mi avrebbero bandito. Ma l’islam è intoccabile. Ho commesso quel che George Orwell avrebbe definito ‘reato di pensiero’. Per la generazione dei miei genitori la parola ‘Londra’ era sinonimo di speranza. Quando il mio paese era occupato dai nazisti, milioni di miei connazionali ascoltavano la Bbc illegalmente. Le parole ‘Questa è Londra’ erano il simbolo di un mondo migliore. Cosa sarà trasmesso tra quarant’anni? ‘Questa è Londra’ sarà ancora un simbolo di speranza o dei valori di Medina? Che cosa offrirà l’Inghilterra, sottomissione o perseveranza? Libertà o schiavitù?”.

Aart Heering : " Ma l’Olanda non va verso la catastrofe interculturale.Ecco perché "

Rotterdam. A sentir certe voci, l’Olanda sta andando verso una catastrofe interculturale. Ed è vero che ormai esiste una minoranza di (figli di) immigrati senza prospettive economiche che non si sente parte della società olandese e che quindi tende verso l’illegalità e l’estremismo. Ma ci sono anche parecchi segni positivi. Per esempio, il pericolo del terrorismo islamico si è rivelato meno grave di quanto potesse sembrare dopo l’assassinio di Theo van Gogh. Polizia e servizi segreti stanno all’erta, ma i “complotti” finora scoperti sono stati poco più che fantasie lunatiche di poche decine di dilettanti esaltati. E’ in vigore da qualche anno una nuova severa legge sull’immigrazione. Chi vuole entrare in Olanda, anche se parente di un immigrato, deve superare prima nel proprio paese un esame di lingua e cultura olandese e poi in Olanda seguire un corso di adattamento alle abitudini olandesi. In più deve spendere alcune centinaia di euro per i permessi. Il risultato è che gli uomini della seconda generazione non possono più “importare” giovani dal paese d’origine per poi poter tenerle segregate in casa. Ma il segno più positivo è la crescente partecipazione di immigrati di prima e (soprattutto) seconda generazione alla vita della società olandese di cui si sentono parte. “Quando ci occupiamo di immigrati, scriviamo sempre di quel gruppo di adolescenti che rompe le palle e che perciò è un problema reale. Ma non si scrive mai del negoziante che lavora dalla mattina alla sera e che si rompe i coglioni esattamente come il suo collega nato a Rotterdam”, dice Abdel Ilah Rubio. Il 40enne giornalista del Rotterdams Dagblad, il quotidiano di Rotterdam, è lui stesso un esempio di un immigrato integrato. “La società olandese offre delle grandi possibilità – sostiene – Mio padre è venuto dal Rif marocchino e per una vita ha pulito serbatoi di petrolio alla Shell. E ora suo figlio fa il giornalista e intervista sindaci e ministri. E non è di sicuro l’unico”. A Rotterdam ci sono molti esempi di integrazione riuscita. Circa la metà della popolazione non è olandese d’origine, come anche 13 dei 40 consiglieri comunali. Il sindaco stesso, Ahmed Aboutaleb, è di origine marocchina, mentre l’assessore all’Edilizia, Hamid Karakus, è nato in Turchia. E mentre la crisi colpisce duramente questa città portuale, circa la metà delle imprese sono gestite da immigrati. L’Olanda conta un gran numero di politici, presentatrici tv e sportivi di origine straniera e di fede musulmana. Così Slotervaart, quartiere periferico di Amsterdam, tre anni fa ha eletto come sindaco il 40enne Achmed Markouch, un ex poliziotto arrivato dal Marocco all’età di 10 anni. Questo musulmano praticante è stato attaccato pubblicamente da un imam radicale dopo aver proposto l’espulsione immediata di chiunque venga in Olanda a predicare l’odio religioso. Due mesi fa, i cittadini di Rotterdam hanno scelto il Miglior Libro della città. Ha vinto “Il fantasma”, romanzo di Najoua Bijjir, 32enne scrittrice locale di origine marocchina. Altri noti scrittori si chiamano Abdelkader Benali e Kader Abdollah. L’anno scorso, la cantante di origine marocchina Hind rappresentò l’Olanda all’Eurofestival. Nel calcio, giovani olandesi marocchini come Afellay (PSV) Aissati (Ajax) e il capocannoniere Mounir El Hamdoui (AZ) hanno preso il posto degli immigrati di una volta come Gullit, Rijkaard e Winter. “I problemi ci sono, certo, ma credo che in 30-40 anni noi immigrati ne abbiamo fatta di strada”, dice Rubio, che non crede alle previsioni pessimistische di un intellettuale come Hans Jansen, secondo cui gli islamici non saranno mai davvero integrati nella società occidentale. “Jansen è un arabista, un teorico. Altri veri specialisti dell’integrazione, come Han Ensinger e Anton Zijderveld, sono meno pessimisti. Ma loro sono sociologi e guardano non i sacri testi, ma la pratica della vita quotidiana. Per me e per la maggioranza dei musulmani qui ciò significa semplicemente che siamo cittadini di Rotterdam che nel tempo libero non vanno in chiesa ma in moschea”. Secondo Rubio, “il problema principale non è il conflitto tra etnie e religioni, ma i politici che ne abusano, alimentando qualsiasi fuocherello”

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