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Il Foglio Rassegna Stampa
23.10.2008 La guerra dei talebani contro la scuola
un articolo di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 23 ottobre 2008
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Il fuoco dei talebani brucia le scuole, ma non fermerà più gli studenti»
Da Il FOGLIO del 23 ottobre 2008, un articolo di Giulio Meotti sui crimini talebani in Afghanistan:

A fornire le cifre del massacro talebano contro la popolazione civile è Human Rights Watch, in un rapporto ignorato da quasi tutti i media occidentali. Nel 2006 i talebani, al Qaida e Hezb e-Islami, la milizia dell’inossidabile Hekmatyar, hanno lasciato dietro di sé 699 afghani civili. Nel 2007 le vitime dei talebani sono stati 959. E il 2008 conferma il trend terrificante. Ma questo è anche l’anno della guerra che gli islamisti hanno dichiarato alle scuole di tutto il paese: 300 mila bambine non potranno accedere all’istruzione a causa della violenza degli studenti di Allah. Le studentesse sono il pegno di ciò per cui si combatte in Afghanistan, il movimento nella storia che un realismo spento non sa prevedere o scongiura per pigrizia mentale. Al posto delle donne lapidate dai talebani oggi ci sono le ragazze che lavorano alla Loya Jirga e negli intervalli vanno a fumare nelle toilette. Ragazze che rappresentano la riscossa femminile che regnava a Kabul negli anni Settanta. Fu una giovane ragazza, Moqadasa Sidiqi, la prima elettrice del nuovo Afghanistan nel 2004. Il simbolo del sacrificio femminile è Safia Amajan. Era a capo dell’ufficio di Kandahar del ministero per gli Affari femminili dal 2002. Sotto i talebani aveva gestito una scuola segreta per ragazze che osavano sfidare il potere distruttivo dei talebani. A Kandahar aveva aperto sei scuole, insegnava a mille donne cultura di base ma anche cucito e cucina. E’ stata uccisa sulla porta di casa. Nei mesi scorsi si sono registrati decine di attentati a scuole. Come scrive il quotidiano Arman-e Melli, al sud i talebani stanno dando fuoco a tutte le scuole a tiro. Un insegnante che aveva fatto un discorso pubblico per condannare gli attentati suicidi è stato assassinato a Kunduz. Abdul Hadi aveva criticato gli attacchi suicidi come “contrari allo spirito dell’islam”. I talebani hanno dato fuoco alle scuole miste a Kabul e a Nad-e Ali altre sono state appena abbattute con i bulldozer. A un altro insegnante, Bismillah Khan, hanno tagliato le orecchie in moschea davanti a tutti. “Questa è la punizione per chi lavora con il governo”. A Paktia un insegnante di inglese è stato giustiziato perché insegnava la lingua degli “infedeli”. Nonostante l’iconoclastia scolastica, l’Afghanistan ha registrato un progresso incredibile. Quest’anno gli studenti, maschi e femmine, che sono entrati in classe sono sei milioni, contro il misero milione del 2000. Un record nella storia del paese. 3.500 scuole sono state costruite dal 2002, ma ben 600 sono state chiuse dai talebani, spesso trasformate in madrasse fondamentaliste. Un insegnante, Malim Abdul Habib, è stato decapitato davanti agli studenti. Il mullah Omar ha diffuso trenta regole da seguire. La numero ventiquattro identifica uno dei principali nemici nell’insegnamento: “Non è consentito lavorare per il regime fantoccio come insegnanti”. Che succede se si persiste? Lo dice la norma successiva: “Va picchiato, e se ancora si rifiuta deve essere ucciso. E le scuole dovrebbero essere bruciate, ma non prima di aver salvato i testi religiosi”. A decine hanno fatto questa fine. Secondo dati ufficiali, sono stati uccisi 230 operatori del settore educativo. Ciò malgrado, quest’anno in Afghanistan ci sono 800 mila studenti in più. E c’è nelle scuole un numero di ragazze superiore a quello di tutti gli studenti durante il governo islamico. Al posto del prete coranico che vietava alle bambine di studiare, c’è un presidente che dice di avere “una piccola superstizione: le mie giornate vanno meglio se la mattina incontro bambini che vanno a scuola”. Dopo la caduta di Kabul, i talebani diffusero un volantino: “Smettetela di mandare le vostre figlie a scuola, diffonde indecenza e volgarità”. Gli sharioti che vorrebbero ricominciare con le esecuzioni negli stadi hanno bisogno di una popolazione analfabeta. Il silenzio cali su Kabul. Ma né la canicola né la polvere che si respira a pieni polmoni impediscono a uomini e donne di riempire negozi e mercati, di studiare e di ricostruire ciò che decenni di guerra e islamismo hanno sistematicamente distrutto.

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