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Il Foglio Rassegna Stampa
22.10.2008 Storia di Mohammed Moumou o Abu Qaswarah, numero due di Al Qaeda in Iraq
per comprendere la guerra contro il fronte jihadista

Testata: Il Foglio
Data: 22 ottobre 2008
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti -la redazione
Titolo: «Il segreto della guerra in Iraq è negli occhi blu di Moumou “lo svedese” - Perché l’Iraq»

Su Il FOGLIO del 22 ottobre 2008, un articolo di Giulio Moetti e un editoriale riflettono sulla storia del terrorista Abu Qaswarah, esemplare per comprendere la natura e le ragioni del conflitto iracheno.

Ecco il testo dell'articolo di Meotti:

La sua storia racchiude il segreto della guerra in Iraq. Il numero due di al Qaida in Iraq, Mohammed Moumou, noto con il nom de guerre di Abu Qaswarah, era il perfetto cittadino svedese. Sebbene fosse marocchino, lo chiamavano “il terrorista dagli occhi blu”. Era “al Skani”, in arabo “lo svedese”. Quando la scorsa settimana gli americani lo hanno intercettato a Mosul, la “città dei morti” nel nord dell’Iraq, Moumou si è fatto saltare in aria di fronte a tre bambini. La sua ferocia leggendaria e la cronaca glaciale dei suoi crimini, dovuta alla fama di fucilatore dei giovani arabi che si rifiutavano di farsi saltare in aria fra gli iracheni, disvelano l’islamizzazione di una provincia lontana e austera come la Scandinavia, che riguarda da vicino molti stati europei. Abu Qaswarah era diventato l’emiro di al Qaida un anno fa ed era il numero due della linea di comando della cellula qaedista irachena, secondo soltanto al leader Abu Ayyub al Masri, l’egiziano. Abu Qaswara era vicinissimo al fondatore Abu Musab al Zarqawi, e ai massimi esponenti di al Qaida in Afghanistan e Pakistan. Veniva da Stoccolma, la città tappezzata da una singolare t-shirt di moda fra i giovani musulmani: “2030 – Poi prendiamo il controllo”. La stampa svedese ha scoperto che Moumou, proprietario di una azienda di import- export, sposato a una svedese doc convertita all’islam, padre di sei bambini e direttore dell’ospuscolo islamico Al Ansar, era leader del centro musulmano di Brandbergen, il più grande di Stoccolma. Insomma, un cittadino perfettamente integrato dai primi anni Novanta. Dalla cellula irachena di Moumou sono partite le minacce di morte al vignettista svedese Lars Vilks. Moumou era passato dal campo afghano di Khalden, base di almeno tre fra gli attentatori dell’11 settembre, come del bombarolo delle scarpe Richard Reid. La stampa svedese rivela che i suoi legami arrivavano fino in Italia, tramite i contatti tunisini con Mourad Trabelsi, l’ex imam di Cremona. A Stoccolma Moumou si era legato ad Ansar al Islam, il movimento jihadista con ramificazioni milanesi e che dopo l’invasione americana dell’Iraq cambiò nome in Ansar al Sunna. Il maestro spirituale di Moumou è il mullah Krekar, protetto dalla sinistra scandinava. Nel 1994 inaugurò Islamic Vision, per la quale riceve 35 mila dollari dal welfare norvegese. Grazie all’Onu,Krekar ottenne lo status di rifugiato, di cui gode per benedire il terrorismo in Iraq. Nel gennaio 2003 il New York Times scoprì in una base di al Qaida in Afghanistan documenti sulla “Brigata islamica del Kurdistan”, con una serie di nomi di località, compresa Biyara, sede del califfato di Krekar, che ha perso un fratello nella zona di comando di Moumou. Mentre l’organizzazione da lui fondata bombarda l’Onu, Krekar incassa cinquemila euro di indennizzo da una corte di giustizia olandese. Con la guerra irachena, Krekar ottiene il sostegno di SOS Racism e dell’Antiracism Center. Intellettuali scandinavi rinomati, come lo storico Lin Siljie Nielsen e la studiosa Jeanette Sky, lo appoggiano nella richiesta di legalizzazione della sharia nel nord Europa. Lui intanto in un’intervista alla Bbc dice di “pregare per i nostri martiri”, i terroristi decapitatori, e definisce Osama bin Laden “il gioiello nella corona dell’islam”. Krekar aveva creato nel nord dell’Iraq, lì dove un giorno Moumou avrebbe dominato senza pietà, una sorta di emirato talebano, vi erano bandite parabole, musica e foto femminili dai prodotti importati. “Bisogna ammazzarne trenta alla volta”, diceva degli infedeli. “Puliremo ’Iraq, poi Europa e Stati Uniti. Vivremo in un mondo abitato solo da musulmani”. Siglarono così l’uccisione dei dodici nepalesi. “Venuti dal loro paese lontano nel nome del loro dio Buddha al servizio di cristiani ed ebrei, nipoti di scimmie e maiali”. Ansar al Sunna fu la prima a lanciare una fatwa contro la polizia irachena, devastando l’Accademia Zubair, simbolo della presenza britannica. A colpi di mortaio colpisce la mensa della base americana di Mosul, quando all’ora di pranzo centinaia di soldati e civili sono in fila. “E’ vicino il giorno in cui gli eserciti dell’islam distruggeranno le mura di Roma”, recita il comunicato contro il Benedetto XVI (“stupido maiale”) di Ratisbona. Moumou è il quarto svedese caduto in Iraq. “Vogliamo informare la ummah che l’esercito di Ansar al Sunna in Svezia difenderà i nostri paesi sacri con l’aiuto di Allah” aveva annunciato il suo gruppo. Beffa finale, un mese fa Krekar presso la Corte europea dei diritti umani ha fatto causa alla Norvegia per “trattamento disumano”. Paradossi del “folkhemmet”, la mitologia del welfare scandinavo che ha protetto gli occhi glaciali di Abu Qaswarah.

E quello dell'editoriale:

Quando i fraudolenti vi raccontano che la guerra in Iraq è stata un raptus di neocolonialismo americano fuori tempo massimo, raccontate loro la storia di Abu Qaswarah al Skani. Al Skani, “lo svedese”, era il numero due di al Qaida in Iraq. Come il resto della leadership estremista operativa laggiù, neanche lui era iracheno. L’attuale numero uno in clandestinità è al Masri, “l’egiziano”; il suo predecessore era al Zarqawi “l’uomo di Zarqa” (città della Giordania); il comandante militare era Abu Osama al Tunisi, “il tunisino”, che vagava sull’Iraq centrale come una nuvola distruttrice alla testa di un esercito personale di ottocento stranieri. Abu Qaswarah è nato in Marocco, ma è diventato estremista in Svezia, nella pancia accogliente dell’Europa. Per lui sarebbe stato molto più arduo compiere lo stesso percorso in patria, una di quelle democrazie arabe dove la polizia segreta è occhiuta e ubiqua sui casi di estremismo religioso e dove le carceri sono indietro sulla funzione rieducativa della pena ma sono pronte su quella punitiva. Dalla placida Brandbergen Qaswarah si è poi gettato in guerra. L’Iraq non contava – non ne accettava nemmeno il nome moderno: era campo da gioco, fronte da sfruttare, sfogatoio per l’odio ideologico contro americani e sciiti. Quando i soldati hanno provato ad arrestarlo, domenica 5 ottobre a Mosul, con la stessa indifferenza lo svedese si è fatto saltare in aria – indossava una cintura esplosiva – ammazzando tre donne e tre bambini. Chi viene per uccidere e chi viene per fermare i killer. Questa è – è stata – la guerra in Iraq.

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