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Il Foglio Rassegna Stampa
11.05.2008 I soldati del Faraone non hanno passato il mar rosso, per la seconda volta
è fallito il corteo anti-Israele a Torino

Testata: Il Foglio
Data: 11 maggio 2008
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Il corteo contro Israele»
Dal FOGLIO  dell'11 maggio 2008

Torino. Millequattro, milleseicento con i giornalisti al seguito. Sfilacciati, comprensibilmente depressi, poche kefiah perché fa troppo caldo. Parlare di flop per la grande e minacciosa manifestazione nazionale di Free Palestine per il boicottaggio di Israele e della Fiera del libro, è ancora poco. C’è qualcosa di più imbarazzante, già a guardare il concentramento lento e loffio in corso Marconi, a vederli sfilare a ranghi larghi giù da via Madama Cristina, con l’abusivo delle birre al seguito (quattro euro), fino a largo Filzi, tenuti a debita distanza dal Lingotto dalle forze dell’ordine, e a infinita distanza culturale dalla Fiera del libro e dalle decine di migliaia di visitatori che affollano tutti gli stand, compreso quello di Israele. Tranne quello di Manifestolibri, raccontano i pettegoli bene informati del Lingotto: l’unico a lamentare scarse vendite. Chissà, forse lo boicottano, forse è un segnale ulteriore di ciò che genera imbarazzo vero in questo corteo: l’aria di resa dei conti a sinistra. Già dalle prime urla del deejay ufficiale della manifestazione, che sembra un corista delle Vibrazioni e fa subito la lista dei cattivi: i padroni della Fiera e i poteri forti, ovviamente. Ma anche “giornali come il Manifesto e Liberazione che hanno brillato per indecenza”. Nel senso che si sono sfilati dal boicottaggio e più ancora dal corteo. L’armamentario, quello consueto. Più bandiere rosse che palestinesi; lo striscione con scritto “il sionismo è razzismo”. Slogan contro i “sessant’anni di crimini di Israele”, contro l’imperialismo e per la “Palestina rossa”. Persino “Venceremos”, non sapendo probabilmente come dirlo in arabo. “Resistiamo a quelli che con l’invito a Israele volevano chiudere il cerchio della rimozione storica”. Ci sono le sigle più marginali, il Partito di alternativa comunista, il Pdci, il Partito comunista dei lavoratori. Arriva l’elegante drappello delle Donne in nero di Torino, venti femministe over quaranta che manifestano per la pace “ogni ultimo venerdì del mese”. Ci sono i centri sociali locali, qualche volantino del Gramigna di Padova (quello che chiedeva la liberazione dei brigatisti), la bandiera del Vittoria. Nel jukebox del disprezzo, il deejay infila tutti: gli “scrittori conformisti come Yehoshoua”, ma soprattutto “i politici come Bertinotti”. Paradossalmente, pochi slogan antiamericani. A ogni frase, cresce il senso di frustrazione e di isolamento politico e culturale di questa sinistra accattona e violenta anche rispetto agli alleati di ieri. Sembra quasi che sfili al solo scopo di mostrare quanto ha perso il contatto con la realtà. Slogan tipo “il terrorismo è il sionismo”, una pletora di luoghi comuni. Fino all’insulto sul filo del vilipendio, scandito chiaro e forte, contro il nuovo gran nemico di giornata: “Crediamo che il presidente Giorgio Napolitano sia un razzista”. Una vecchia vignetta di Altan mostrava un cronista in ambasce al telefono: “Capo, qui non succede nulla”. “Perfetto, vai e titola: tragico vuoto”. Difficilmente i giornali potranno raccontare la giornata di ieri diversamente da come è andata (tranne il sito di Repubblica, che parla di cinquemila persone), come una contestazione importante che ha creato tensione in città e disturbato il Lingotto. E’ stato il legittimo dissenso di un’infima minoranza. Ma forse la sopravvalutazione dei dissenzienti, il credito politico e morale che è stato loro generosamente elargito a fronte di affermazioni come quelle sul “genocidio dei palestinesi”, il silenzio minimizzante concesso a chi chiama alla “mobilitazione delle masse arabe contro Israele” o brucia bandiere (ancora ieri Erri De Luca è riuscito a dire che “una bandiera bruciata è solo un pezzo di stoffa”) sono atteggiamenti che il mondo dell’informazione dovrebbe rivedere. Almeno per senso della notizia. Se lo scopo era boicottare Israele, il fallimento non potrebbe essere stato più totale. Se era una resa dei conti interna a una sinistra che incomincia a chiedersi in quale maledetto cul de sac si sia ficcata, l’impressione è che ai centri sociali antisemiti “abbiano inchiodato il coperchio sulla bara”. Resta il vecchio adagio della politica mediorientale: i peggiori nemici della causa palestinese sono sempre i suoi presunti amici.

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