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Il Foglio Rassegna Stampa
08.08.2006 La guerra dei media nel conflitto tra Israele ed Hezbollah
le manipolazioni dei fatti e l'uso dei morti civili da parte del gruppo terroristico

Testata: Il Foglio
Data: 08 agosto 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Immagini asimmetriche»
Da Il FOGLIO dell'8 agosto 2006:

Roma. “Siamo in battaglia, e più della metà di questa battaglia si combatte nel campo dei media”, ripete il numero due di al Qaida, Ayman al Zawahiri, ai suoi fedeli in Iraq. La lezione si applica anche in Libano. C’è sempre una scarpetta di bambino abbandonata con sapienza sul bordo di un cratere, messa a bella posta per i fotografi che venderanno le immagini ai giornali occidentali. La seconda scarpetta servirà per un’altra occasione. Domenica la Reuters ha scaricato uno dei propri fotografi, Adnan Haji, dopo che una delle immagini che aveva distribuito ai giornali di tutto il mondo è risultata alterata. Con pochi e rozzi ritocchi al computer, Haji ha aggiunto altre colonne di fumo e altri palazzi distrutti a una foto dei raid su Beirut, in modo da far apparire l’azione militare più massiccia di quanto non fosse stata in realtà. Controllando a ritroso il suo lavoro ci s’imbatte in un’altra manipolazione. Alla foto di un caccia israeliano che lancia un missile sopra Nabatiye – il 2 agosto – sono stati aggiunti con lo stesso grossolano procedimento altri missili in partenza. L’informazione che arriva dal Libano è anche di questa pasta. Ieri il premier libanese, Fouad Siniora, in lacrime, ha annunciato l’ennesima strage di civili: 40 morti, “40 martiri”, ha detto, riferendosi all’attacco israeliano a Houla. Poi si è scoperto che la vittima era una, grazie a una salvifica intercapedine. I bombardamenti su Beirut sono stati molto concentrati, per distruggere bersagli strategici, come la pista dell’aeroporto e il quartiere meridionale sciita roccaforte di Hezbollah. L’area non è più estesa di tre ippodromi, ma le foto che arrivano dalla città mostrano un paesaggio di devastazione, moncherini spettrali di edifici che s’alzano a malapena dalle dune dei detriti. Hezbollah, che controlla il territorio colpito, obbliga i corrispondenti stranieri a tour attentamente sorvegliati, e a chi riprende l’edificio sbagliato è cancellata la cassetta, come racconta Charlie Moore, senior producer dell’americana Cnn. “E’ stato come un tour nella casa dei fantasmi. Leggermente spaventoso all’inizio, ridicolo alla fine. Eravamo intruppati con altri 40 giornalisti. Un giovane da un balcone ci fa il segno della vittoria. Mi giro e vedo la nostra guida che gli fa segno di alzare di più le mani, così la nostra telecamera può inquadrarlo. Andiamo a intervistare un gruppo di guidatori di ambulanze. Ma quelli, al segnale, partono tutti insieme a sirene spiegate davanti alle telecamere”. Hezbollah ha imparato a maneggiare perfettamente la sua materia, perché è costretto a fare affidamento su giornali e televisioni come su un diverso – ma non meno potente – arsenale per raggiungere i propri obiettivi. Controllare e manipolare l’informazione in uscita dal Libano è trasferire all’opinione pubblica mondiale il compito di arrestare la missione di Tsahal. Il leader Hassan Nasrallah aveva e ha ancora bisogno del cessate il fuoco, per riorganizzarsi e mettere in salvo il salvabile. Sarebbe necessario un evento mediatico della magnitudo di quella prima strage di Cana – un centinaio di vittime innocenti per un bombardamento sbagliato – che nel 1996 sospese l’operazione israeliana “Grapes of Wrath” sul Libano. Le anomalie dolose a Cana In questo senso, si comprendono le anomalie dolose sulla scena della strage di Qana di domenica scorsa. Una su tutte, il numero delle vittime. Il giorno stesso i morti erano 58, “di cui 37 bambini”. Tre giorni dopo, soltanto dopo una precisa richiesta dell’organizzazione indipendente Human Rights Watch, e quando ormai la notizia s’era impressa tra le cose avvenute, il bilancio è sceso a 28. Vale la pena notare che di solito, in casi terribili come questo, avviene il contrario. A un primo bilancio d’emergenza seguono purtroppo gli aggiornamenti che alzano il numero delle vittime. E vale la pena ricordare anche come, sul posto, le prime voci parlassero di “almeno 200 morti”. Fonti presenti, ma che preferiscono rimanere anonime, raccontano di body bag di plastica riempite con pezzi di mobili e detriti dai “soccorritori”, e non si vede come far passare altrimenti sotto il naso della Croce rossa un numero di vittime quasi doppio. E da dove esce il dato preciso “dei 37 bambini”, se le vittime erano soltanto 28? La ricostruzione fotografica dimostra pure che la corsa affannosa con i bambini in braccio è stata almeno in parte inscenata. Sono poveri corpicini estratti assieme, e poi fatti passare – ma uno alla volta – in braccio davanti ai fotografi, a ore di distanza l’uno dall’altro, per sfruttare al massimo la macabra photo opportunity. E poi, passata l’urgenza simulata, abbandonati pochi passi dopo, assieme, sulle barelle. Adnan Haji, il fotografo dal quale Reuters non comprerà più foto, era presente anche quel giorno. Anche una sola vittima è un evento tragico, però l’onestà dell’informazione è indispensabile perché in una guerra, soprattutto asimmetrica, anche l’immagine è un’arma.

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