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Il Foglio Rassegna Stampa
04.11.2003 Reazioni e risposte
al sondaggio Ue

Testata: Il Foglio
Data: 04 novembre 2003
Pagina: 2
Autore: Marina Valensise
Titolo: «Un sondaggio incredibile o un sondaggio a cui non credere?»
Riportiamo una serie di opinioni circa il sondaggio Ue raccolte da Marina Valensise e pubblicate sul Foglio di oggi, martedì 4 novembre 2003.
Roma. Il 59 per cento dei 7.515 cittadini europei che hanno risposto al sondaggio della Commissione europea pensa che Israele sia una minaccia per la pace del mondo superiore a quella della Corea del Nord, dell’Iran, dell’Iraq e dell’Afghanistan. Paura? Fastidio? Calo di tensione nella vigilanza contro l’antisemitismo? Insipienza delle classi dirigenti nel trattare un problema delicato come il sionismo, che certo è stata una violenza inferta a un’area
geopolitica, come tutti i movimenti rivoluzionari, legittimata però da una risoluzione dell’Onu e dalla storia? Cosa pensare di questo sondaggio?

Giorgio Israel insegna Storia della matematica alla Sapienza, ma è perplesso:
"7.500 intervistati su 400 milioni è un campione ridicolo. Se poi, come sembra, vanno suddivisi in parti eguali tra i 15 paesi dell’Ue, senza tener conto delle rispettive popolazioni è una cialtroneria. Ma ammettiamo pure che rifletta l’opinione della gente. Ognuno sa che l’opinione della gente non s’identifica col vero e col giusto dal punto di vista etico. La maggior parte dei tedeschi tra le due guerre sostennero il nazismo. Non per questo il nazismo era una scelta politica giusta e le camere a gas avevano qualche ragione. Il fatto che si possa far dire alla gente che Israele sia lo Stato più pericoloso del mondo significa che demonizzare Israele, come è successo negli ultimi anni in buona parte dei paesi europei, ha riattizzato sentimenti antisemiti covanti. Perciò, o questo sondaggio è una montatura, e allora la Commissione dovrebbe risponderne
con dimissioni in massa, a cominciare dal presidente Prodi. Oppure è attendibile, e a quel punto quello stesso organismo dovrebbe fare autocritica e correre ai ripari, per i guasti provocati dai governi europei, francesi in testa".

Angelo Pezzana, il libraio torinese che dirige l’Osservatorio dell’informazione corretta, non vuole sentire parlare di paura. "L’Europa ha massacrato sei milioni di ebrei. E oggi non gliene frega niente che altri sei milioni siano minacciati di morte e massacrati in Israele. Questa è la verità. Il premier della Malesia l’ha detto in modo brutale. E se ne sono accorti tutti. L’Europa
che condanna Israele e finanzia istituzioni compromesse col terrorismo sa bene che firmando accordi e dando soldi si soggiace a un ricatto, non si evita un pericolo. Il governo italiano paga da anni la delegazione diplomatica dell’Olp a Roma, quando Nemer Hammad non ne avrebbe alcun bisogno, visto che il suo padrone, Arafat, passa per uno dei personaggi pubblici più ricchi del mondo. L’Europa è un insieme di compromessi vili e ambigui dove è esploso finalmente il bubbone dell’antisemitismo. Questo sondaggio rivela che i giornali, l’alta
informazione, in Italia come in tutta Europa, è totalmente filopalestinese. E’ vero che il Corriere della Sera è un po’ cambiato, anche se continua ad avere inviati come Antonio Ferrari che raccontano la Siria con parole di miele; ma sul Sole 24ore, giornale della Confindustria, i servizi su Israele sembrano
quelli del Manifesto, tanto sono pregiudizialmente ostili allo Stato ebraico".

Cobi Benatoff, neoletto presidente del Congresso ebraico europeo, parla anche lui di "demonizzazione del governo Sharon" e "esaltazione del ruolo di Arafat" per spiegare cosa ha influito sulla "percezione" degli europei. Ricorda però l’inchiesta promossa da 175 europarlamentari sui fondi che la Commissione Ue trasferiva all’Autorità palestinese, utilizzati poi per altri scopi. E annuncia nuove manifestazoni: "Abbiamo già convocato un presidium coi rappresentanti delle maggiori comunità ebraiche dei paesi dell’Ue. Io stesso ho chiesto un incontro urgente con Silvio Berlusconi nella sua qualità di presidente del Consiglio europeo per evidenziare il malessere dei cittadini europei ebrei. E ci stiamo chiedendo se entro i prossimi dieci anni sarà possibile per gli ebrei vivere ancora in Europa". Ma quando si tratta di antisionismo non ha remore: "Non puoi dirti antisionista senza essere antisemita. Amos Oz nel suo
ultimo libro racconta dei genitori che negli anni 30 leggevano sui muri d’Europa ‘sporchi ebrei andatevene a casa vostra in Palestina’. Mentre oggi capita di leggere su quegli stessi muri ‘sporchi ebrei andatevene dalla Palestina’. L’Europa ha fatto nascere dalle ceneri della Shoah lo Stato di Israeele. Adesso nega agli ebrei il diritto di avere una patria, di difendersi e garantirsi un’esistenza normale. Per anni toccare gli ebrei non era politically correct. Ora però qualcuno dice ‘basta, non rompeteci più le scatole. State sempre a parlare di Shoah, ma Israele dovrebbe comportarsi in un altro modo’. Ho l’impressione che l’Europa stia riversando sul conflitto israelo-palestinese
un antiamericanismo diffuso. Come se per ritrovare un’identità debba per forza contrapporsi all’America. Per 1950 anni ci siamo ammazzati in guerre di religione, di Stato, persecuzioni, adesso stiamo lavorando al progetto politico più importante del XXI secolo e scadiamo di molto se vediamo l’Europa solo in funzione antiamericana".

Shumel Trigano dirige a Parigi l’Observatoire du monde juif e condivide la diagnosi: "L’opinione pubblica europea ne ha abbastanza della Shoah. Solo che adesso circola una nuova versione dell’antisemitismo molto subdola, che prende altre forme, come quella dell’ideologia ‘gauchiste’ e si fa strada con l’ambiguità dell’antisionismo. L’unico argine, visto che non possiamo mettere
sotto controllo i media, è di non cedere all’idea che l’antisionismo sia un’opinione legittima. C’è una bella differenza tra criticare un governo e la sua politica e mettere in discussione l’esistenza di uno Stato. I governi sono oggetto di legittima critica democratica a condizione che i criteri di tale critica non diventino specifici allo Stato di Israele. Quando si colpiscono i civili, Israele, come ogni altro Stato, ha il dovere della rappresaglia. Ma sostenere che l’esistenza stessa dello Stato di Israele sia amorale, fondata sull’apartheid, sull’ingiustizia verso il popolo palestinese, significa fare l’apologia della distruzione dello Stato ebraico, rifiutare al popolo ebreo il diritto all’autodeterminazione. Quanto al sionismo, non è stato una rivoluzione violenta. Le terre sono state comprate dai proprietari arabi e lo Stato d’Israele si fonda sulla risoluzione Onu del 1948. Violento semmai è il movimento palestinese. Il fatto è che sin dall’epoca dell’apostolo Paolo, l’esistenza del popolo ebreo è sentita come contraria al senso della storia. L’attuale antisionismo è una versione contemporanea del rifiuto di riconoscimento degli ebrei. Noi moderni siamo pronti ad accettare gli ebrei come individui, ma non come popolo storico. E la riconciliazione voluta da Giovanni Paolo II è certo importante. Anche se il cambiamento di opinione del Vaticano non si è tradotto in un diverso atteggiamento sul campo".

Gad Lerner parla di "una cosa imbarazzante" a dirsi, ma che sta nel cuore di molti pacifici europei. "E cioè il dubbio che questo Stato di Israele messo in mezzo agli arabi come un corpo estraneo sia un impiccio, un’insidia per la tranquillità in cui noi ricchi occidentali abbiamo vissuto fino all’11
settembre. Se non ci fosse stato Israele, forse i 19 shahid non avrebero avuto il pretesto per andarsi a schiantare contro le Twin Towers? E’ l’eterno ritorno del capro espiatorio. Nel primo ’900, davanti all’inflazione a tre cifre, alla disperazione dei reduci di guerra, gli europei hanno identificato un responsabile del disastro nell’insidiosa presenza ebraica. Oggi i termini sono diversi, ma il problema resta lo stesso. Si scambiano le cause per gli effetti. Io non sono d’accordo con Ostellino che vorrebbe proibire i sondaggi in cui si citano gli Stati Uniti e Israele tra le possibili minacce alla pace. Così come mi è del tutto estraneo il discorso schizofrenico di molti amici ebrei italiani
che mostrano disgusto per l’Europa, per la viltà dell’Europa, per gli inetti europei conigli, e pronti a sacrificare Israele. Sono tutte fesserie: quel sondaggio dice solo che, in assenza di consapevolezza sulle responsabilità della guerra in corso, l’istinto porta a semplificare e a indicare il fastidio più vicino come fonte d’inquietudini. Denota il vero limite dell’Europa nella consapevolezza sui pericoli che corre Israele, sulla minaccia alla sua esistenza, prima che alla sua sicurezza. La maggioranza di europei che hanno risposto al sondaggio non sono necessariamente antisionisti o antisemiti.
Semplicemente, non vogliono fastidi. Il vero non detto è che in fondo, questi ebrei sono talmente pochi che basterebbe prenderli e metterli da un’altra parte per evitare la minaccia di Osama e vivere in pace. Naturalmente, è un calcolo miope. Perché non è Israele, ma l’islamismo politico a minacciare gli equilibri internazionali, con le politiche sbagliate che lo alimentano".

Leone Paserman, presidente della comunità ebraica romana, si domanda: "Spostarli, e dove? Nel 1938 quando gli ebrei in fuga dalla Germania nazista cercarono rifugio nei paesi europei, l’allora Società delle Nazioni
convocò una conferenza a Evian per trovare una soluzione. Ma per mettersi d’accordo dovette togliere dall’ordine del giorno la parola ebrei, e parlare solo di rifugiati. Fu questa la risposta del mondo occidentale di allora alla vigilia della Shoah".

Riccardo Pacifici, portavoce della comunità ebraica di Roma conclude: "Israele oggi rappresenta l’ebreo collettivo rispetto agli ebrei che la propaganda nazista tra le due guerra considerava ‘la nazione ebraica rea di dominare il mondo e creare catastrofi mondiali’. Quell’idea ha partorito la Shoah. Oggi il nostro j’accuse va alla Francia, che con Chirac ha impedito la risposta dell’Unione europea alle esternazioni del presidente malese. Ma ci chiediamo, cosa dovrebbe fare Israele per ottenere la simpatia degli europei?"
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