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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
19.02.2008 Se vogliono essere amati si facciano uccidere
si può sintetizzare così il messaggio di Luisa Morgantini agli israeliani

Testata:
Autore: Luisa Morgantini
Titolo: «Palestina, le punizioni collettive di Tel Aviv»

Luisa Morgantini descrive, sulla base di testimonianze non verificate (una caratteristica dell'articolo, nel quale si legge anche di una presunta uccisione a sangue freddo a un check point israeliano: è noto che Israele ha punito, quando si sono verificati, gli abusi dei suoi soldati),  l'"assedio" israeliano della città cisgiordana di Beit Ummar, a pochi chilometri da Hebron.

Le operazioni militari israeliane in Cisgiordania sono determinate dalla necessità di contrastare il terrorismo, sempre attivo, come prova il recente attentato di Dimona, portato a termine da attentatori che provenivano proprio dalla zona di Hebron.

Ma l'onorevole Morgantini questo, ovviamente, non lo ricorda. Come non ricorda chi fosse in realtà il terrorista antisemita Imad Mughniyeh. La  morte del quale è da lei attribuita con ingiustificata certezza a Israele,  per poter
 condannare "l'assassinio extraterritoriale compiuto contro il dirigente di Hezbollah" che sarebbe una prova di  come il governo israeliano "voglia continuare a tenere il medio Oriente in conflitto permanente".

Il piccolo particolare che è Hezbollah a voler distruggere Israele non interessa allla Morgantini, che formula a chiare lettere la sua dichiarazione d'odio per "il governo e l'esercito israeliani" (in realtà: per tutti gli israeliani che non rinunciano a difendersi, non essendo disposti a farsi massacrare inermi dai loro nemici): "Uccidono, distruggono e sono convinti di dover essere capiti e amati".

Ecco il testo completo:

Dopo tre giorni consecutivi di assedio e coprifuoco israeliano a Beit Ummar, un piccolo villaggio palestinese di 10mila abitanti a pochi km da Hebron nel sud della Cisgiordania, venerdì scorso i carri armati se ne sono andati e l'acqua e la luce sono state ripristinate. Qui i tank israeliani e gli agenti dello Shin Bet -secondo testimoni locali almeno 30 veicoli e bulldozer- sono entrati nel villaggio all'una di notte circa di mercoledì 13 febbraio, portando avanti rastrellamenti di casa in casa, prelevando i civili di sesso maschile dai 18 ai 25 anni e distruggendo abitazioni, infrastrutture, negozi, come anche testimoniato dai Christian Pacemaker Teams (CPT) che a Maan news hanno confermato la brutalità dell'invasione: «I soldati hanno circondato la moschea, impedito qualsiasi movimento nel villaggio per persone, automobili ma anche medicinali e ambulanze».
«Una vera e propria punizione collettiva è stata inflitta ai ragazzi e agli uomini del villaggio, sequestrati e condotti nel campo di calcio di un cortile di una scuola dove sono stati picchiati ripetutamente e almeno in 85 trattenuti per ore al freddo di temperature sotto lo zero», ha raccontato al telefono, con disperazione ed impotenza, Ali Abu Awwad, palestinese di 35 anni e pacifista gandhiano che insieme ad Elik El Hanan, israeliano, raccontano al mondo il loro bisogno di pace e giustizia. Entrambi hanno sofferto sulla propria pelle un lutto famigliare a causa del conflitto: Ali ha perso un fratello, ucciso a freddo da un soldato israeliano ad un check point, Elik, una sorella, rimasta vittima di un attentato kamikaze nel 1997. Oggi insieme sono attivisti del Parents Circle -Forum di oltre 500 famiglie israeliane e palestinesi che hanno perso i propri cari ma che da più di 12 anni diffondono un messaggio forte: «Se noi che abbiamo pagato il prezzo più alto possiamo continuare a parlare, allora tutti potrebbero farlo» dice Ali a chiusura di "Madri", documentario di Barbara Cupisti (Rai Cinema) sulle testimonianze di 15 mamme israeliane e palestinesi che hanno avuto i propri figli uccisi, presentato lo scorso settembre al Festival di Venezia.
Al telefono Ali, che è anche fondatore di Al Tariq "la via" -movimento di diverse associazioni palestinesi che ogni giorno lottano per il diritto ad uno stato libero, per la fine dell'occupazione, contro la logica del nemico e ogni violenza- ha detto che dei volantini con la scritta «Non siete stati capaci di educare i vostri figli a non tirare le pietre. Ora lo faremo noi» sono stati lasciati a Beit Ummar dai soldati israeliani che hanno occupato alcune case del villaggio per farne il loro quartier generale.
Durante l'invasione, inoltre, le forze di occupazione israeliana hanno demolito con bulldozer case e negozi del centro del villaggio, distrutto gli impianti e le tubature per l'acqua e le fogne, confiscato computer, documenti, telefoni cellulari, senza motivare le ragioni di queste operazioni, e sequestrato 25 persone, tuttora in stato di arresto e rinchiuse nelle carceri israeliane, ma ancora non si sa dove: tra queste anche minori come Muntaser Fakhri Ikhlayel, 15 anni e suo cugino Adam Hasan Ikhalyel di 16, arrestati a Beit Ummar mercoledì notte, e come anche Youssef Hassan Abarneh, manager locale di Fatah e cofondatore di Al Tariq, che si vanno ad aggiungere agli oltre 11mila prigionieri politici palestinesi tuttora nelle prigioni israeliane in Israele e nei Territori Occupati.
Nelle ultime settimane Beit Ummar era stato lo scenario di varie manifestazioni da parte della cittadinanza che protestava contro l'amministrazione del villaggio da parte di Hamas. Non sarà un caso che tra i 25 arrestati delle ultime ore vi siano, oltre a Youssef Hassan Abarneh, anche altri dirigenti locali di Fatah a cui l'amministrazione di Hamas aveva consegnato le chiavi del Consiglio municipale in segno di distensione con la piazza.
Intanto le chiusure, i raid e le invasioni israeliani si succedono in tutta la Cisgiordania e a Gaza: nella sola giornata di mercoledì scorso almeno 60 persone sono state sequestrate in West Bank dall'esercito Israeliano ed è del 15 febbraio la notizia della morte di Fawzia Abdel Fattah, un'anziana palestinese malata di cuore che non è riuscita a raggiungere in tempo l'ospedale perché respinta al checkpoint dai soldati israeliani nei pressi di Tulkarem, mentre era accompagnata dal marito 71enne Mahmoud Yussef Qab.
Secondo Palestine Monitor, dal 28 novembre, data della Conferenza di pace di Annapolis, gli attacchi israeliani, circa 880 in Cisgiordania e a Gaza, sono cresciuti del 220%, 178 palestinesi sono stati uccisi, tra cui 3 bambini, e circa 617 feriti.Tutto questo senza una protesta da parte della Comunità Internazionale e da Beit Ummar non si tirano neppure i Kassam.
Sembra chiaro che il governo israeliano non sappia e non voglia uscire da una politica militarista, coloniale e di conquista di terre come dimostra ampiamente la politica di espansione di colonie nei territori palestinesi e voglia continuare a tenere il medio Oriente in conflitto permanente, basta vedere l'assassinio extraterritoriale compiuto contro il dirigente di Hezbollah Imad Mughniyeh- a Damasco. Uccidono, distruggono e sono convinti di dover essere capiti e amati, ma per essere amati bisogna saper amare e rispettare. Non mi sembra sia il caso del governo e dell'esercito israeliano. Però non disperiamo, perchè tante sono le voci in Israele come quelle di Elik che difendono il futuro del loro paese manifestando con tanti palestinesi davanti il muro di Bi'lin o al valico di Eretz a Gaza denunciando con forza che la politica di occupazione militare e di espansione coloniale serve solo a rafforzare nell'uno e nell' altro campo forze estremiste e fondamentaliste.

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