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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
30.07.2009 Gli Hezbollah sono considerati dall'occidente dei terroristi o lo sono?
Fulvio Scaglione propende per la prima opzione

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 30 luglio 2009
Pagina: 20
Autore: Fulvio Scaglione
Titolo: «Un’alba di pace?”.»

Riportiamo da FAMIGLIA CRISTIANA n°31, l'articolo di Fulvio Scaglione dal titolo " Un'alba di pace? ".
Le elezioni politiche, vinte dalla coalizione guidata dal filo-occidentale Saad Hariri, e il boom economico stanno ridando fiato al Paese. Scaglione, tuttavia non perde l’occasione per precisare che gli Hezbollah vengono considerati in Occidente dei “terroristi” e “bande di tagliagole”. Sono forse qualcosa di diverso? Inoltre si fa riferimento alla guerra con Israele del 2006, senza ricordare da chi fu provocata e, per finire, si afferma che l’esito delle elezioni è positivo e vantaggioso in quanto avere un partito al governo “gradito agli Usa ….evita atti ostili da parte di Israele”.
Ecco l'articolo:

 Hezbollah

Alla buona sorte ci si abitua in fretta. Ha fatto poco rumore, quindi, l’evento di un’elezione politica libera e pacifica come quella del 7 giugno, di un risultato che ha sorpreso tanti nel mondo islamico (il presidente iraniano Ahmadinejad aveva già annunciato la vittoria di Hezbollah) mentre era stato auspicato dagli Usa, dell’accettazione della sconfitta da parte di partiti che molti, in Occidente, considerano bande di tagliagole e di terroristi. Quasi fosse la norma in un Paese come il Libano, che negli ultimi quattro anni ha vissuto il ritiro delle truppe della Siria, una lunga serie di assassinii politici, una guerra con Israele (2006), l’insurrezione (2007) e le recentissime trame (luglio 2009) dei guerriglieri islamici di Fatah al Islam, una paralisi istituzionale durata un anno e mezzo e un accenno di guerra civile a Beirut nel 2008. Eppure la coalizione "14 Marzo", filooccidentale e guidata da Saad Hariri, figlio dell’ex premier ucciso da un’autobomba nel 2005, ha ottenuto 71 seggi, la coalizione "8 Marzo", formata dai musulmani sciiti di Hezbollah e di Amal e dal Libero movimento patriottico del generale cristiano Aoun, si è fermata a 58 e ora si tratta, come in qualunque altro Paese. Come altrove finirà con un compromesso: Governo di unità nazionale, qualche ministro anche all’opposizione ma senza diritto di veto. Il Libano delle 18 comunità religiose ufficialmente riconosciute, delle cariche istituzionali ripartite con il bilancino (presidente della Repubblica cristiano, primo ministro musulmano sunnita, presidente del Parlamento musulmano sciita), dei cristiani sempre chiamati a fare da collante, in teoria non dovrebbe stare in piedi. E invece ci sta, affermando ogni giorno di più un fragile e bizzarro modello di democrazia inclusiva in un Medio Oriente che vive di esclusioni. Molti dicono che, in realtà, Hezbollah e i suoi alleati abbiano accolto l’esito delle elezioni con un sospiro di sollievo. Avere alla testa del Governo un leader gradito agli Usa è un vantaggio per tutti e renderà più difficile da un lato eventuali atti ostili da parte di Israele e dall’altro un eventuale isolamento internazionale. Il tempo, inoltre, consentirebbe a Hezbollah di procedere sulla via della lenta ma costante evoluzione politica che l’ha portato dalla situazione dei primi anni Novanta (quando, per partecipare per la prima volta alle elezioni, ebbe bisogno di un editto religioso e presentò come candidati solo religiosi) a quella di oggi, di potenziale maggioranza di governo. A ben vedere, però, le elezioni del giugno 2009 sono state decise nel 2008. Non dai calcoli dei politici o dalle ingerenze delle grandi potenze ma dagli investimenti di migliaia di libanesi che vivono all’estero. Il Libano, infatti, ha 6 milioni di abitanti e 10 milioni di emigrati, i quali, l’anno scorso, hanno spedito in patria rimesse per oltre 6 miliardi di dollari. Scelta sentimentale, amore per la terra natale? Forse. Ma non sono stati gli unici: i grandi investitori dei Paesi petroliferi del Golfo Persico (Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi per primi), alle prese con il calo del prezzo del greggio e la depressione delle Borse occidentali, hanno scelto il Paese dei cedri per una parte dei loro investimenti. Due spinte che hanno fatto decollare l’economia libanese: il Pil (Prodotto interno lordo) è cresciuto dell’8,5 per cento, i consumi del 40 per cento, le vendite di automobili del 79 per cento. I profitti netti delle 58 (ma quelle davvero importanti sono 5 o 6) banche nazionali sono cresciuti, nel complesso, del 25 per cento, i depositi bancari sono aumentati del 15,6 per cento e le riserve in valuta della Banca centrale hanno sfondato quota 78 miliardi di dollari. Così i prestiti concessi dalle banche alle imprese private sono arrivati a 25 miliardi di dollari, cioè più 23 per cento. Con quei prestiti le imprese hanno lavorato e dato lavoro, in un boom di cui, proprio grazie alla particolare struttura politica e sociale del Libano, basata sulla ripartizione comunitaria, alla fine beneficiano tutti: i musulmani sunniti, da sempre protagonisti nel commercio e nell’edilizia, ma anche i cristiani ortodossi, la vera élite della finanza e del denaro, e gli sciiti, da anni impegnati con successo a rimontare posizioni nel piccolo e medio commercio. Il Libano non è certo nuovo a periodi di fortuna (gli anni Sessanta furono leggendari, in quel senso) ma questa volta può innescarsi un circolo virtuoso che ha come sbocco non solo il benessere, ma anche la pace. La vera differenza, rispetto al passato, è che oggi nessuna comunità è più totalmente esclusa dai benefìci. Ecco, dunque, spiegata la scelta elettorale, una scelta di continuità e di stabilità. Nessuno aveva interesse a rischiare di mandare in frantumi un equilibrio che, al momento, sembra portare solamente vantaggi.

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