lunedi` 06 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
19.01.2009 I soliti pregiudizi sul settimanale cattolico
che non vede le responsabilità di Hamas

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 19 gennaio 2009
Pagina: 0
Autore: Fulvio Scaglione e Charlie Abou Saada
Titolo: «Così si rafforza Hamas»

FAMIGLIA CRISTIANA pubblica nel numero in edicola domenica 18 gennaio un articolo a firma Fulvio Scaglione e Charlie Abou Saada del quale il giornalista del settimanale cattolico spiega la sua appartenenza e il suo impegno nel dialogo ecumenico.

L’articolo intitolato “Così si rafforza Hamas” è l’ennesimo esempio di informazione pregiudiziale nei confronti di Israele, dove lo Stato ebraico emerge come l’unico responsabile della guerra, della disoccupazione degli abitanti di Gaza, della violenza e dei morti. Gli appelli “per fermare la violenza” dei patriarchi e dei vescovi sono a senso unico. Nessuno chiede a Hamas di interrompere il lancio dei razzi, di riconoscere lo Stato d’Israele condizione ineludibile per giungere ad un accordo di pace. Anzi  secondo quanto riportato in questo articolo Hamas “ne uscirà rafforzata” dal conflitto in corso.

 Si ribadisce che “i cristiani di Palestina stanno come sempre pagando un caro prezzo per questa guerra odiosa” ma non si ha il coraggio di affermare che la presa di potere di Hamas della Striscia di Gaza, manu militari nel giugno 2007, la continua violenza perpetrata nei confronti dei palestinesi di Fatah e il quotidiano lancio di razzi sulle città israeliane (da oltre otto anni) sono il vero “muro” che impedisce la pace e genera la sofferenza dei palestinesi di Gaza.

Ho conosciuto Charlie a Betlemme il giorno del mio cinquantesimo compleanno. Lo ricordo bene, però, soprattutto per l’aria di calma e l’ottimismo in cui sembrava immerso anche se l’atmosfera, intorno, era fitta di nevrosi. Anche se lui, giovane padre di due figli, era costretto a dire: «In otto anni da che ho finito di studiare, non ho fatto per tre mesi consecutivi lo stesso lavoro».

Figlio del parroco cattolico melkita di Betlemme e nipote di uno dei vescovi più noti della Palestina, Charlie Abou Saada era ed è molto impegnato nel dialogo ecumenico. Ha partecipato alla fondazione, nel 2004, del Centro giovanile Juthouruna ( www.juthouruna.com, il sito è anche in italiano), che si propone di assistere i giovani cristiani palestinesi nella pratica della fede e nel dialogo con ebrei e musulmani. Charlie è il direttore del Centro, che pubblica una rivista, cura programmi radio, organizza corsi, incontri di preghiera e campi estivi per i ragazzi. «Se vivere in Terra Santa è una missione», diceva, «allora dobbiamo nutrire l’anima con un cibo spirituale adeguato». Tutto questo per dire che Charlie, cristiano palestinese, è uno come noi. Detesta la violenza, ama la sua famiglia, sarebbe contento di vivere in pace, lavorare, avere un certo benessere e praticare la propria fede. In giorni in cui risuonano pensieri e gesti estremi, è importante ascoltare la voce di quelli come lui, che sono tanti. Possiamo non essere d’accordo con tutto ciò che dice. Ma c’è, nelle sue parole, un sapore di realtà che poche analisi riescono a raggiungere. (Fulvio Scaglione)

 La comunità cristiana palestinese in Terra Santa segue con spasmodica attenzione quanto avviene a Gaza. Morti, feriti, case abbattute, fame, sete… e la macchina della guerra non si ferma. Waseem Saba, un buon cattolico, è morto dieci giorni fa sotto le bombe; qualche giorno dopo è morta anche Cristine, aveva solo 14 anni. La chiesa latina è stata colpita, la scuola parrocchiale; anche, le suore sono costrette a fuggire da Gaza, e niente tregua. L’Onu insiste e arriva la Risoluzione 1.860, ma poi? Per Israele le risoluzioni dell’Onu sono solo carta straccia? E intanto i civili indifesi continuano a morire.

I nostri patriarchi e vescovi lanciano un appello per fermare la violenza. In tutte le parrocchie si celebrano Messe per la pace, per le vittime e per la giustizia. Ormai la festa del Natale è finita. Era il Natale più bello da tanti anni, ma tutto finisce il 27 dicembre 2008, primo giorno dell’offensiva di Israele.

Quel giorno è cominciata una fase nuova e cruciale nella storia travagliata di questa terra. La radice di questa guerra è legata alla disoccupazione, che a Gaza arriva all’80 per cento della popolazione, alla disperazione di uomini che non possono far nulla per dare da mangiare ai loro bambini. Le suore di Gaza raccontano scene terribili. Niente luce e acqua, niente cibo, solo le preghiere a sostenerle. Poi non ce l’hanno fatta più e allora via da Gaza, con la speranza di ritornarci il più presto possibile.

Ma la violenza è frutto dell’indifferenza dell’uomo, che continua a volere tutto per sé e nulla per gli altri. Non riusciremo a fermare la guerra finché i palestinesi non avranno il diritto di andare a Gerusalemme, finché non avranno la loro patria. E non riusciremo a fermare la violenza finché non sarà vinta l’ignoranza. I musulmani non conoscono gli ebrei né i cristiani, e viceversa. Oltre al Muro che ci separa, c’è anche un muro che separa noi dagli altri e abbatterlo non sarà facile.

I cristiani di Palestina stanno come sempre pagando un caro prezzo per questa guerra odiosa. Si ricomincia a parlare di emigrazione, un discorso penoso che sembrava accantonato. George, Elias, Issa e Mike vogliono lasciare la Palestina per garantire un futuro migliore per i loro bambini.

I nostri rappresentanti cercano di fare quello che possono.

Il professor Bernard Sabella, sociologo e deputato cristiano nel Parlamento palestinese, ha condannato duramente l’eccesso di violenza dell’esercito israeliano, mentre Jeries Khouri, direttore del centro di Al-Liqa di Betlemme, dice che la Chiesa deve fare di più, deve far sentire la propria voce, e propone: almeno per un giorno, chiudiamo tutte le nostre chiese in segno di protesta.

Una cosa è sicura: Israele non piegherà mai i palestinesi con l’esercito. E per quanto riguarda Hamas, sappiate che le azioni militari israeliane lo stanno rafforzando. Da tutti questi morti uscirà un solo vincitore: Hamas. Da milioni di musulmani di tutto il mondo in questi giorni esce un solo grido: Hamas. Ma dall’altra parte è impossibile capire che cosa gli israeliani si aspettino da noi palestinesi. Rose in cambio del Muro e della disoccupazione? Baci e abbracci in cambio della chiusura continua dei Territori? Anche adesso, dopo più di 900 morti di cui la metà sono donne e bambini, dopo la devastazione delle città e dei villaggi di Gaza, potete pensare che i palestinesi credano ancora alla pace?

Noi palestinesi cristiani diciamo sempre no alla violenza, siamo impegnati a seminare gli ideali di Gesù: amore, rispetto dell’altro, collaborazione, carità. I razzi di Hamas sono violenza e non aiutano la causa palestinese ma purtroppo ce li aspettavamo, anche perché abbiamo visto crescere la rabbia e la disperazione degli abitanti di Gaza. Israele, facci vivere liberi, non c’è altra soluzione. Dopo questa guerra la strada verso la pace è ancora più lunga. Ma la speranza non muore. Noi crediamo.

Per inviare la propria opinione a  Famiglia Cristiana cliccare sulla e-mail sottostante


famigliacristiana@stpauls.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT