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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
07.08.2008 Sderot, città bersaglio
un reportage di Fulvio Scaglione

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 07 agosto 2008
Pagina: 32
Autore: Fulvio Scaglione
Titolo: «La città bersaglio»

FAMIGLIA CRISTIANA nel numero 32 pubblica a pagina 60 un articolo - a firma Fulvio Scaglione, intitolato “La città bersaglio” - che delinea la drammatica situazione cui sono sottoposti quotidianamente gli abitanti della cittadina di Sderot: dal 2000 ad oggi più di 6000 ordigni sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza provocando la distruzione di case e scuole, la morte di civili inermi oltre che centinaia di feriti.

Principale responsabile di questa situazione è Hamas, il movimento di resistenza islamica che predica la distruzione dello Stato di Israele e che nel giugno 2007, ha conquistato “manu militari” la Striscia di Gaza perpetrando azioni violente anche nei confronti del popolo palestinese. Dunque, più che “amministrare” Hamas impone il pugno di ferro, elimina gli oppositori e utilizza la violenza come “strumento di dialogo”.

Non ci si può meravigliare se con tali precedenti gli abitanti di Sderot non abbiano alcuna fiducia nella “tregua” stipulata fra Hamas e il governo israeliano!

 C’è il campo da calcio con l’erba verde fine fine, come in Inghilterra. C’è il signore col basco che ti fa il caffè all’italiana, come in Francia. Ci sono le ragazze con l’ombelico di fuori, come in Italia. E c’è il tipo cordiale fuori dal bar che ti saluta con una birra in mano perché vede che sei straniero, il Blockbuster, la piazzetta, il centro commerciale, il chiosco delle bibite e quello delle angurie….Quello che invece trovi qui, a Sderot, in Israele, è il cumulo di ferraglia accatastato dietro la stazione di polizia. Ferraglia che uccide: i resti degli oltre 6000 missili Qassam (e negli ultimi tempi anche qualche Grad di fabbricazione russa, che ha gittata maggiore) che piombano sulla città dopo essere stati sparati dalla Striscia di Gaza.

Il 18 di giugno il Governo di Israele e quello di Hamas, che amministra, appunto, la Striscia, hanno stipulato una tregua di 6 mesi che con qualche difficoltà (altri missili sono partiti, le cannonate israeliane non sono mancate) pare destinata a reggere. Un passo avanti, certo l’occasione per sondare gli umori di questi israeliani di primissima linea.

Conclusione? Non facciamoci illusioni. “La tregua? Qui noi siamo tutti contrari, è stato un grave errore accettarla”, dice Shalom Halevi. Dirigente, nato in Israele in una famiglia di origine yemenita, vive a Sderot da più di trent’anni ed è la memoria storica della città. A noi una simile posizione può sembrare assurda. Ma come, diremmo, finalmente una tregua e tu….Halevi la spiega così: “Noi sappiamo che in questo momento, proprio grazie alla tregua, loro si stanno riarmando. Il che vuol dire che domani pioveranno su di noi razzi più potenti. Perché una cosa è certa: il programma politico di Hamas indica ancora come obiettivo strategico la distruzione di Israele. Quindi, la tregua finirà e noi ci ritroveremo di fronte lo stesso nemico, ma più forte e preparato di prima. Ecco perché la tregua è stata un errore”.

Sospetto che Halevi osservi ora con una certa soddisfazione l’evoluzione della situazione politica. Ehud Olmert, contestato primo ministro, ha gettato la spugna. Con tutta probabilità gli succederà l’attuale ministro degli Esteri, Tsipi Livni, compagna di partito di Olmert, molto stimata anche fuori dal Paese ma considerata una “dura”. Se si andrà invece alle elezioni, il favorito è Benjamin Netanyahu, leader del partito Likud, ancor più “duro”. In ogni caso, il viaggio a Sderot è molto istruttivo. Dalla periferia si guarda non “verso”, ma “dentro” la Striscia, tanto questa è vicina. “Sono 800 metri in linea d’aria”, dice Halevi, “cioè niente. C’è un allarme, una sirena segnala l’arrivo del missile. Sa quanto tempo abbiamo per trovare riparo? Tra 15 e 17 secondo. Non tutte le case hanno il rifugio, quindi veda un po’ lei come ci tocca vivere. In certi giorni hanno sparato 20-25 Qassam, e a ogni missile ti tocca mollare tutto, scappare a nasconderti, verificare i danni e magari raccogliere i morti”.

Non c’è da stupirsi, dunque, se la popolazione negli ultimi anni è calata (oggi circa 20 mila abitanti, più di 3 mila se ne sono andati) e se il piccolo boom economico di Sderot, trainato da industrie di trasformazione dei prodotti agricoli e dall’elettronica, ha bruscamente rallentato la sua corsa. Lo Stato tenta di correre ai ripari: ai proprietari delle case colpite, per esempio, garantisce il risarcimento dei danni e delle perdite entro 6 mesi. Ad altro provvede la solidarietà ebraica internazionale: a Sderot, per esempio, la comunità ebraica di Milano ha finanziato la costruzione di un palazzotto dello sport. “Ma la gente”, dice Halevi  “si sente  insicura, soffre perché non riesce a proteggersi, né a proteggere i bambini e gli anziani”.

Com’è ovvio, da queste parti gli inviti alla pace, alla comprensione delle ragioni dell’altro, alla necessità di trovare prima o poi un accordo coi palestinesi, non cadono su terreno molto fertile.

Un po’ perché di questi discorsi ne hanno sentiti fin troppi (da qui, tra l’altro, il rifiuto delle famiglie delle vittime a incontrare i giornalisti). Un po’ perché l’origine di Sderot (fondata nel 1951 come campo di transito) e il carattere della sua popolazione (quasi interamente formata da ebrei nordafricani e dell’Europa orientale, con i primi più “anziani” e i secondi ormai prevalenti) di per sé perpetuano un carattere “di frontiera”.

E molto perché i ragionamenti teorici tendono a dissolversi quando la realtà si fa drammatica: 15 morti e quasi 600 feriti dal 2000 a oggi, centinaia di bambini in cura dallo psicologo per la paura e lo stress, l’ansia perenne di trovarsi in un mirino che inquadra l’obiettivo a caso, senza alcun prevedibile criterio.

 

Il giro della città diventa una via crucis della memoria: qui un missile uccise nonno e nipotino sulla strada per l’asilo, là un altro ordigno stroncò la vita di due fratellini di 2 e 4 anni che giocavano in cortile, e così via. E non può non colpire l’inevitabile “blindatura” che avvolge gli asili e le scuole, inscatolati dentro muri e barriere che riescono magari ad annullare l’effetto esplosivo dei missili, ma non a impedire che le biglie di metallo in essi inseriti si disperdano all’intorno come pallottole micidiali.

Shalom Halevi non ha dubbi: “Non dobbiamo cedere. Avete visto quel che è successo con Gaza, no? L’abbiamo restituita ai palestinesi e in cambio abbiamo avuto i missili. Che ci serva da lezione per non fare altre concessioni. Gli insediamenti in Galilea e Samaria devono essere difesi, perché altrimenti, domani, anche Gerusalemme e Tel Aviv saranno nella stessa situazione di Sderot.

E’ questo che vuole il nostro Governo?”

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