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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
22.05.2008 Quei democratici di Hezbollah
così li vede Fulvio Scaglione

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 22 maggio 2008
Pagina: 0
Autore: Fulvio Scaglione
Titolo: «I Cristiani e il Medio Oriente»

Famiglia Cristiana nel numero 21 in edicola anticipa un capitolo del libro intitolato "I Cristiani e il Medio Oriente" che Fulvio Scaglione dedica alle comunità di Irak, Libano, Israele e Palestina.

Da questo breve stralcio traspare la consueta visione "edulcorata" con la quale il settimanale cattolico analizza le milizie di Hezbollah che, a parere del giornalista, si sono presentate ai libanesi come "un movimento disposto ad accettare le regole della democrazia di stile occidentale….."

Nessun cenno viene fatto ai soldati israeliani rapiti e a tutt’oggi ancora in mano a questo "movimento democratico" e all’affermazione del capo degli Hezbollah di alcune settimane fa con la quale ribadiva che avrebbe restituito i soldati "pezzo a pezzo".

L’unica preoccupazione per il giornalista di Famiglia Cristiana resta la comunità dei cristiani ,che peraltro non sembra passarsela troppo bene ("al sud i cristiani non hanno una vera rappresentanza non ci sono parlamentari cristiani ma solo mussulmani") , oltre all’atteggiamento "equidistante" di alcuni vescovi cristiani ……

 

Tra le conseguenze della guerra 1975-1990 vi fu anche la consacrazione di Hezbollah. Fondato proprio per rispondere all’invasione israeliana, l’Esercito di Dio uscì dal conflitto come il primo artefice del ritiro delle truppe di Israele... tanto che le milizie di Hezbollah furono le uniche a non essere disarmate nel 1990. L’occupazione militare israeliana era però durata 18 anni, dal 1982 al definitivo ritiro del 2000, e in quel lasso di tempo la comunità sciita aveva affrontato e superato una serie di importanti trasformazioni. Quelli che un tempo erano braccianti e piccoli agricoltori erano diventati anche commercianti e professionisti... Un gruppo povero e chiuso aveva imparato ad aprirsi al mondo e aveva recuperato molte posizioni nel campo dell’istruzione.

 

Ma soprattutto, grazie anche alla resistenza all’occupazione, Hezbollah (che non ha mai ufficialmente rinunciato al proposito di distruggere lo Stato ebraico) ha potuto presentarsi davanti ai libanesi in una veste diversa: non più il movimento finanziato e diretto dall’Iran allo scopo di instaurare una Repubblica islamica anche nel Paese dei cedri, ma un movimento libanese, disposto ad accettare le regole della democrazia di stile occidentale, a rispettare gli interessi e le abitudini delle altre comunità, addirittura a sacrificarsi per proteggere l’indipendenza del Paese. Così, superata con fatica e con un adeguato numero di compromessi la stagione del panarabismo e sopravvissuti a stento a quella dell’irredentismo palestinese, i cristiani del Libano si sono trovati alle prese con una sfida se non imprevista, certo improvvisa: l’ascesa degli sciiti.

Ma per affrontare l’inedita dimensione del problema, e in un certo senso anche la sorpresa dei cristiani, ci trasferiamo nel Sud del Libano, a Tiro, la città dove, secondo la leggenda, fu inventata la porpora, da dove la regina Didone partì per fondare Cartagine, dove i Romani lasciarono imponenti segni della loro presenza. E dove oggi si allunga l’ombra di Hezbollah... Il sole è già caldo, il mare e il cielo scintillano e la cattedrale maronita, affacciata sul porto, è anche un’oasi di frescura per tante persone accaldate negli abiti della festa. Oggi, infatti, monsignor Shukrallah Nabil Hage, arcivescovo di Tiro, celebra le Cresime in un tripudio di famiglie festanti e di colori vivaci che si estendono ai dolcetti che lo stesso prelato vorrà distribuire a cerimonia conclusa.

Ho sentito parlare di lui con ammirazione per il fatto che fu l’unico, insieme con il metropolita melkita Georges Bakuni, a rimanere a Tiro, ovvero al fronte, per tutti i 34 giorni della guerra contro Israele del 2006. È responsabile di una diocesi che, da un punto di vista strettamente militare, va da un punto strategico all’altro: dalla raffineria di Zahrani, poco a sud di Sidone, impianto fondamentale per l’economia del Libano, al confine con Israele. Lo osservo: prega con i ragazzi ma sa anche farli ridere. Riesce a tenerli concentrati e riflessivi durante un’omelia lunga e proposta anche con una certa grinta.

"Tra noi capi religiosi", dice monsignor Hage, " i rapporti sono buoni, cordiali nonostante le inevitabili divergenze d’opinione. Fino a qualche tempo fa, anzi, il metropolita melkita, il vescovo greco-ortodosso e io ci incontravamo regolarmente, una volta al mese, con il muftì sunnita e con quello sciita".

  • Perché "fino a qualche tempo fa"?

"Abbiamo dovuto sospendere gli incontri. Il muftì sciita, Sayed Ali al Amin, ha preso posizione contro Hezbollah, criticando il movimento per la sua condotta durante la guerra con Israele del 2006 e dicendo che non si poteva parlare di vittoria dopo le perdite subite dal Libano. Poco dopo Ali al Amin ha difeso papa Benedetto XVI per le tesi proposte nel discorso di Ratisbona. Opinioni molto controcorrente rispetto ai sentimenti degli sciiti, che hanno isolato il muftì. Così, per non essere accusati di prendere una posizione politica, noi vescovi cristiani abbiamo dovuto sospendere gli incontri. Tutto, per noi, è complicato dal fatto che qui al Sud i cristiani non hanno una vera rappresentanza, non ci sono parlamentari cristiani ma solo musulmani. Quando hanno un problema, che si tratti del lavoro, della salute o del denaro, si rivolgono al loro vescovo, che diventa agli occhi di tutti il capo della comunità. Dai nostri atteggiamenti dipendono in larga parte i rapporti tra i diversi gruppi".

 

  • Ma non è una sconfitta dover rinunciare a dialogare con una personalità che non piacerà ai suoi ma fa ragionamenti tutt’altro che privi di logica?

"È un dilemma con cui, proprio a causa di quanto dicevo prima, ci confrontiamo ogni giorno, qui in Libano. Siamo chiamati a scegliere: conservarci, sopravvivere, o diffondere il Vangelo? Difendere la comunità anche lavorando in politica e gestendo un certo potere o testimoniare la fede? La realtà è che stiamo ancora cercando la strada giusta. Nel frattempo è inevitabile mantenere una posizione di forza: vi sono correnti dell’islam che vorrebbero negarci ogni diritto, anche quelli politici".

  • Qual è, oggi, la situazione dei cristiani della sua diocesi?

"I cristiani della diocesi maronita di Tiro erano 50 mila fino a pochi anni fa, ma oggi sono ridotti a 20 mila. Il problema vero non è il confronto con i musulmani ma la situazione economica. Fino al 2000, cioè fino a quando Israele occupava il Sud del Libano, si poteva attraversare la frontiera, andare in Galilea a trovare lavoro. In quegli anni, infatti, avevamo una media di 250 matrimoni l’anno, adesso siamo scesi a 60".

  • C’è stata una nuova ondata migratoria dopo la guerra del 2006?

"Non in termini quantitativi. Ma in termini qualitativi sì: se ne vanno i giovani, cioè le persone più dinamiche e preparate. Se ne vanno in punta di piedi, quindi il vuoto provocato dalla loro partenza si nota tardi, con il tempo".

  • Colpa di Hezbollah?

"Anche Hezbollah va inserito nel quadro generale, i nostri mali sono più antichi delle fortune dello sceicco Nasrallah. L’equilibrio del Libano può resistere solo se si trova una soluzione al problema dei palestinesi. Ma se invece pensiamo ai cristiani del Medio Oriente, il problema è che noi non esistiamo per coloro che tracciano le grandi strategie. Per gli Usa contano solo il petrolio e Israele, non capiscono che la nostra presenza qui è importante perché ha una funzione moderatrice sull’islam. Non è certo un caso se i fondamentalisti islamici prevalgono laddove mancano i cristiani, per esempio in Arabia Saudita. E ancor meno casuale è il fatto che i Paesi dove i cristiani comunque potevano esercitare una certa influenza, cioè Libano, Irak e Palestina, siano in uno stato di guerra permanente. Ci sono forze che lavorano per cacciarci dalla regione".

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