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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
31.01.2008 Un articolo che si distingue per faziosità
una reportage da Gaza di Carlo Remeny

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 31 gennaio 2008
Pagina: 0
Autore: Carlo Remeny
Titolo: «L’assedio di Gaza»

Famiglia Cristiana nel numero 5 on line pubblica un articolo a firma Carlo Remeny intitolato “L’assedio di Gaza”

 

Raramente gli articoli del settimanale cattolico sono obiettivi ed equilibrati nell’analisi del conflitto israelo-palestinese, eppure quello che riproduciamo di seguito si distingue per una particolare faziosità.

 

Il giornalista sottolinea che il governo israeliano ritiene la Striscia di Gaza “entità nemica” ma come si può definire una realtà politica e sociale dominata dalla violenza, dal terrorismo e dall’ incessante lancio di missili Qassam? Che, peraltro, per Carlo Remeny sono “solo la giustificazione ufficiale” dell’atteggiamento ostile del governo israeliano nei confronti di Hamas.

 

Nel mirino del giornalista c’è anche Abu Mazen che avrebbe “liquidato il governo di unità nazionale nel giugno scorso”. Ai lettori però non viene ricordato che il 14 giugno del 2007 Hamas dopo numerosi scontri con le fazioni di al-Fatah ha conquistato “manu militari” il controllo della Striscia di Gaza, ha ucciso brutalmente i suoi oppositori, gettandoli dai tetti delle case o freddandoli con un colpo alla nuca in strada dopo averli catturati: un’ esplosione di violenza senza precedenti che ha avuto come prima vittima il popolo palestinese del cui benessere Hamas ha ampiamente dimostrato di non interessarsi affatto.

 

Ancora. “La comunità internazionale non può tollerare che le televisioni portino nelle case di tutto il pianeta le immagini di un popolo assediato….” mentre tollera benissimo le case distrutte, i morti e i feriti delle cittadine israeliane bersagliate quotidianamente dai missili Qassam (forse perché tali immagini non vengono quasi mai mostrate: quanti sono i giornalisti coraggiosi che visitano le cittadine come Sderot per verificare sul posto gli effetti che provoca sulla popolazione israeliana il continuo lancio di razzi?).

 

Fra queste “mosche bianche” c’è  Fiamma Nirenstein che, dopo essere stata a Sderot, in un articolo apparso recentemente su Il Giornale, scrive: “da gennaio sono stati sparati su Sderot più di 350 razzi e il 28% della popolazione soffre di disordini post traumatici” senza contare le centinaia di feriti, i morti, le case, le fabbriche e gli edifici scolastici distrutti e ormai inagibili che nessuna televisione mostra!

 

Ad Hamas è stato chiesto di riconoscere l’esistenza di Israele, di accettare gli accordi di pace firmati, di cessare gli attacchi terroristici ed in cambio la popolazione palestinese avrebbe usufruito di aiuti umanitari, finanziamenti e sostegno.

 

La risposta di Hamas è stata la violenza e la guerra civile.

 

Non è forse un’”entità nemica”?

 

Entità nemica. Così il Governo israeliano ha definito la Striscia di Gaza nell’autunno scorso, annunciando che le avrebbe tagliato le forniture di energia e combustibile, assicurando solo la consegna di generi essenziali e l’erogazione dell’acqua. Questo, perché Gaza è amministrata da Hamas, che non intende riconoscere Israele. I razzi Qassam lanciati sulla città israeliana di Sderot costituiscono solo la giustificazione ufficiale. Sciogliere il nodo Hamas non è impresa da poco. Non sa come affrontarlo il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, le cui forze sono state annientate nell’area lo scorso giugno in uno scontro sanguinoso con Hamas. Né il vertice di pace di Annapolis a fine novembre, né la recente visita di George W. Bush, e le promesse per un accordo di pace in Medio Oriente, entro la fine del 2008, hanno affrontato la questione. La Striscia di Gaza gestita da una forza palestinese che non accetta le condizioni israelo-americane è un dato di fatto.
Abu Mazen ha interrotto i rapporti con Hamas, ponendo come pregiudiziale per la ripresa delle relazioni la restituzione del potere a Gaza. Richiesta che Hamas potrebbe accettare solo a patto di mantenere il controllo della sicurezza nell’area e la formazione di un Governo di unità nazionale, come quello liquidato da Abu Mazen nel giugno scorso. Ma Abu Mazen non può dire di sì, perché Stati Uniti e Israele non tratterebbero mai con un esecutivo in cui sia presente il movimento islamico.Elezioni anticipate palestinesi, per cercare di ridurre il potere di Hamas: le suggeriscono in tanti, ma nessuno sa come organizzarle, visto che lo stesso Hamas è contrario e non le consentirebbe nella Striscia di Gaza. Resta poi l’incognita: cosa succederebbe se il movimento islamico dovesse nuovamente vincere le elezioni? Convocare il voto solo nella Cisgiordania occupata significherebbe sancire la separazione dei due territori palestinesi (Cisgiordania e Gaza, appunto) che non dispiacerebbe a Israele, ma che nessun leader palestinese, nemmeno Abu Mazen, potrebbe accettare.Gli strumenti che Israele ha pensato di utilizzare contro Gaza in questi mesi sono quelli usati da sempre: repressione militare ed embargo totale. Lo strumento militare non ha fatto cessare il lancio dei razzi Qassam, che del resto avveniva regolarmente persino quando esercito israeliano e coloni ebrei popolavano la Striscia di Gaza, mentre l’embargo, con il taglio delle forniture, è stato considerato dalla comunità internazionale una violazione delle leggi umanitarie in quanto "punizione collettiva" di una popolazione di quasi un milione e mezzo di anime. Il semplice divieto delle autorità israeliane di permettere il ricovero al di fuori della Striscia di Gaza di malati gravi ha provocato in sei mesi il decesso di una sessantina di palestinesi.Lo stop alle consegne di combustibile che consentivano alle due turbine della centrale elettrica di Gaza di produrre energia ha rischiato di provocare ulteriori decessi di malati tenuti in vita da apparecchiature speciali che hanno costante bisogno di energia. Come pure l’altolà ai camion dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi che portano generi alimentari di prima necessità avrebbe potuto produrre in tempi brevi una carestia. Nella Striscia di Gaza 800.000 persone sopravvivono con gli aiuti alimentari delle Nazioni Unite.Di fronte a questa situazione Israele si è dovuto arrendere, perché la comunità internazionale non può tollerare che le televisioni portino nelle case di tutto il pianeta le immagini di un popolo assediato, tenuto al buio, senza acqua, senza cibo, senza medicinali.Lo ha compreso il presidente egiziano Hosni Mubarak che, dopo aver tenuto duro per qualche giorno sbarrando l’unica via d’uscita dalla Striscia attraverso il valico di Rafah, ha dato via libera all’ingresso in Egitto di migliaia di palestinesi affamati, che sono sciamati da Gaza per comprare cibo, benzina, sigarette, per farsi curare o soltanto per respirare in libertà.

 

L’abbattimento della barriera di confine a Rafah ha tuttavia creato una situazione del tutto nuova. Per le autorità di Hamas c’è adesso l’opportunità di amministrare l’area come uno Stato, a patto che il Cairo accetti di tenere il valico funzionante nell’ambito di un accordo bilaterale con i palestinesi.Per Israele si configura sul confine meridionale una situazione conflittuale simile a quella che si vive lungo la frontiera con il Libano. Dovesse restare aperto il valico di Rafah, Hamas per armarsi potrebbe attingere più facilmente al mercato internazionale e non necessariamente produrre in proprio armi artigianali di dubbia efficacia.

 

Israele ha però anche l’opportunità di "scaricare" interamente sulle spalle dell’Egitto il peso dell’approvvigionamento della Striscia di Gaza, in materia di energia, acqua, generi essenziali. Inoltre, si crea un abisso tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania occupata che potrebbe anche risolvere, dal punto di vista israeliano, il problema della contiguità territoriale del futuro Stato palestinese. Perché sforzarsi per trovare il modo di rendere comunicanti territori palestinesi distanti tra loro e non limitarsi al progetto del futuro Stato palestinese solo per la Cisgiordania di Abu Mazen? Per Abu Mazen un’ipotesi del genere significherebbe il suicidio politico. Ma costituirebbe uno smacco colossale anche per i progetti americani, che non prevedono alternative allo stesso Abu Mazen. Per l’Egitto si crea, tuttavia, la situazione più difficile in assoluto. Richiudere Gaza equivale a diventare il simbolo del tradimento nei confronti dei palestinesi davanti all’intera opinione pubblica araba, e soprattutto agli occhi di un’opposizione nazionale che cresce ogni ora che passa. Tenerla aperta, oltre a turbare non poco i rapporti con gli Usa e Israele, potrebbe permettere l’abbraccio tra gli islamici palestinesi e i Fratelli musulmani egiziani.

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