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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
02.12.2007 La situazione in Libano
L'analisi del settimanale cattolico

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 02 dicembre 2007
Pagina: 32
Autore: Carlo Remeny
Titolo: «Un Generale a Beirut»

Famiglia Cristiana del 2/12/2007 pubblica a pagina 32 un articolo di Carlo Remeny intitolato “Un Generale a Beirut”.   L’articolo analizza l’attuale situazione politica libanese: il mandato di Lahoud è terminato, le elezioni sono state ancora una volta rinviate  e al momento il potere è nelle mani di Suleiman, il capo delle forze armate.

 

Qualcuno ha parlato di “navigazione in acque sconosciute”, altri di Paese senza capo né esecutivo, ma “sotto la protezione di un caos organizzato”. In due anni abbondanti gli aggettivi usati per descrivere il Libano si sono esauriti. Passando di attentato in attentato, con la guerra dell’estate 2006 in mezzo, con una presidenza che si è esaurita senza che il Parlamento sia riuscito a eleggere un capo dello Stato in tempo (cinque votazioni sono state annullate e rinviate a date successive per manifesto disaccordo tra le forze politiche), e un Governo considerato illegittimo da metà del Paese, Beirut appare sfidare ogni logica.

 

In un paese complesso come il Libano, con 18 comunità religiose, una guerra civile durata 15 anni e ancora fresca nella memoria collettiva, con tanti libanesi che conoscono i nomi di coloro, libanesi anch’essi, che hanno ucciso i loro cari, o si governa consensualmente o il Paese va a rotoli. L’elezione di un presidente della Repubblica che sia espressione di una vasta convergenza è stata riconosciuta un’assoluta necessità.

 

Timur Goksel, turco di origine, è stato per 24 anni il portavoce delle forze dell’ONU nel Libano meridionale, sino al 2002. Da allora tiene corsi all’Università di Beirut sulle crisi internazionali. A lui abbiamo chiesto cosa accadrà adesso in Libano. “Verrà trovato un candidato presidente accettabile sia alla maggioranza (filo occidentale) che all’opposizione  (forze sciite e cristiane), ma non nell’immediato futuro. Probabilmente ci vorranno alcuni mesi”.

 

E se la maggioranza forzasse la mano, eleggendo un capo dello Stato con il 50 per cento più uno dei voti?

 

“Sarebbe molto pericoloso, perché potrebbe far scatenare lo scontro fisico con l’opposizione. Ma sembra che almeno Saad Hariri (il leader della maggioranza) e Walid Jumblatt (esponente druso della maggioranza) siano favorevoli al compromesso e abbiano preso le distanze su questo da Samir Geagea (cristiano maronita delle Forze libanesi)”.

 

Vede delle opportunità per l’elezione a presidente di Michel Aoun?

 

“Non ritengo sia possibile. La sua è una candidatura fortemente contestata”

 

Tra le varie comunità qual è quella che appare più divisa?

 

“Quella maronita (cui va assegnata, secondo pratica ben consolidata, la carica di presidente della Repubblica, mentre l’incarico di premier è appannaggio di un esponente sunnita e quello di presidente del parlamento di uno sciita)., anche per via della forte competizione alimentata dalla presidenza in palio”.

 

Una prolungata crisi politica libanese può creare problemi alla missione ONU nel Libano meridionale?

 

“Non dovrebbe, perché le forze internazionali hanno come interlocutore libanese l’esercito e non le forze politiche”.

 

Per l’ennesima volta è il comandante delle Forze armate libanesi che finisce sotto la luce dei riflettori nei momenti di scelte difficili. Le analogie non mancano. Nel 1988 il comandante dell’esercito era Michel Aoun: fu nominato dall’allora presidente uscente Amin Gemayel a guidare un Governo di emergenza che doveva cedere il potere solo a un presidente eletto secondo la legge. Nel 1998 il comandante dell’esercito si chiamava Emile Lahoud. In ottobre sarebbe diventato presidente della Repubblica con la benedizione della Siria e della comunità maronita libanese.

 

Adesso tutto lascia indicare che il generale Michel Suleiman, attuale capo delle Forze armate, maronita anch’egli, sia diventato in qualche modo se non un candidato alla presidenza – la Costituzione lo vieta ai funzionari dello Stato in carica – almeno l’arbitro cui è stato affidato il compito di vigilare sulla complessa situazione libanese.

 

E’ a lui che Lahoud, lasciando il suo posto, ha chiesto di assumere il controllo della sicurezza nel Paese sino all’elezione di un presidente secondo i dettami della Costituzione.

 

Il generale Suleiman, del resto, pochi giorni or sono ha lanciato un appello ai militari: “Non prestate attenzione alle varie interpretazioni della Costituzione che rischiano di ridurre in pezzi il Paese. E’ in gioco il destino del Libano. Voi ne siete i protettori”.

 

Suleiman protagonista: ha schierato l’esercito libanese a fianco delle forze Onu, sulla frontiera con Israele, dopo la guerra del 2006; ha sradicato gli islamici militanti di Fatah al Islam dal campo profughi palestinese di Nahr el Bared, riducendolo a un cumulo di macerie; ha fatto separare i sostenitori di opposte fazioni politiche che si sono dati battaglia lo scorso gennaio a Beirut, e sarebbe stato persino l’interlocutore degli Stati Uniti che in colloqui recenti avrebbero sondato il terreno per un’eventuale base militare da istituire in Libano.

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famigliacristiana@stpauls.it

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