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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
22.06.2007 “Interpretare” la storia a senso unico
per il settimanale cattolico la colpa è sempre di Israele

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 22 giugno 2007
Pagina: 0
Autore: Carlo Remeny
Titolo: «Palestinesi alla resa dei conti»
FAMIGLIA CRISTIANA nel numero 25 on line pubblica un articolo di Carlo Remeny intitolato “Palestinesi alla resa dei conti”. “Interpretare” la storia a senso unico è un’arte che riesce benissimo al settimanale cattolico. Ne abbiamo un’ulteriore conferma con questo articolo che analizza la situazione creatasi a Gaza dopo che Hamas ha preso il potere con la forza. Nell’affermazione che l’area “gestita da Hamas è assediata dalla fame e dalla comunità internazionale” emerge palese il tentativo di deresponsabilizzare una società, quella palestinese, che nel gennaio del 2006 ha liberamente scelto di eleggere una formazione terroristica, responsabile di gravi attentati terroristici e che predica la distruzione di Israele. Ancora. Dopo aver elogiato Arafat “che ha speso una vita per ricucire lo strappo” senza ricordare peraltro che ha impiegato quella stessa vita per arricchire i suoi conti bancari, per incitare i palestinesi al martirio, il giornalista addossa la colpa di quanto accade , come d’uso, a Israele che “dichiarando irrilevante Arafat prima, e facendo di tutto per non rafforzare Abu Mazen…..si ritrova senza interlocutori rappresentativi”. Riprende altresì l’affermazione di Mohamad Sobeih “Israele ha grandi responsabilità per quanto è accaduto, perché non ha mai voluto avere un partner palestinese forte”. La realtà è ben diversa. Israele, in più occasioni, ha espresso con chiarezza la sua determinazione a riprendere un processo di pace e a volere la costituzione di uno Stato per i palestinesi: l’evacuazione degli insediamenti a Gaza è stata l’ennesima dimostrazione di buona volontà del governo israeliano. Qual è stata la risposta dei palestinesi? Il lancio di centinaia di missili Kassam sulle cittadine israeliane. La responsabilità della situazione attuale non può essere attribuita a Israele ma a coloro che nelle ultime settimane con i loro atti di violenza e di terrore nei confronti della stessa popolazione palestinese hanno dimostrato chiaramente qual è il loro obiettivo: distruggere qualsiasi tentativo di arrivare alla pace.
Riportiamo l’articolo integralmente.


Hamas parla di "seconda liberazione della striscia di Gaza", dopo lo smantellamento delle colonie ebraiche illegali nel 2005. Israele annuncia la nascita di una nuova entità che battezza Hamastan. Una cosa è sicura: l’Autorità nazionale palestinese degli ultimi 10 anni non esiste più nei territori occupati da Israele nel 1967. Se vedremo l’emergere di due Autorità, oppure prevarrà l’idea dell’unità palestinese, lo sapremo solo nei prossimi mesi. Per adesso, esiste una Cisgiordania occupata, governata per modo di dire dalla volontà di un presidente (Abu Mazen) il cui potere è sempre stato opaco e adesso si è ulteriormente sbiadito; e dall’altra parte un’area limitata, con 1,3 milioni di abitanti, gestita da Hamas, ma assediata dalla fame e dalla comunità internazionale. Una settimana di feroci scontri a livello interno palestinese, con più di cento vittime, spesso uccise con una brutalità mai riscontrata prima, non solo hanno ridisegnato l’aspetto della striscia di Gaza, ma hanno dimostrato che la strada seguita in questi anni dalla diplomazia, per cercare una soluzione alla questione palestinese ha portato a un vicolo cieco. Il parroco di Gaza città, padre Manuel Musallam, ci dice che quanto è successo ha inflitto «ferite profonde» alla società palestinese. Ma non è più tempo di illudersi che l’unico interlocutore palestinese della comunità internazionale sia Abu Mazen, perché altrimenti si ignora la realtà della striscia di Gaza e questo condurrà a una catastrofe umanitaria direttamente sulla sponda sud del Mediterraneo. Sembra di essere precipitati al 1949, quando la Commissione di armistizio dell’Onu assegnò la Cisgiordania ad Amman e la striscia di Gaza al Cairo. Yasser Arafat potrebbe rivoltarsi nella tomba. Ha speso una vita per ricucire lo strappo e adesso l’unità del territorio palestinese, pure se notevolmente ridimensionato rispetto alla Palestina storica, sembra solo un miraggio. Israele potrebbe anche gioire non fosse che, dichiarando irrilevante Arafat prima, e facendo di tutto per non rafforzare Abu Mazen poi con gesti concreti, quali la liberazione dei detenuti e lo scongelamento delle tasse palestinesi, di fatto sequestrate da anni, si ritrova senza interlocutori rappresentativi, se non tra i nemici. Come osserva l’assistente segretario generale della Lega araba Mohamed Sobeih, palestinese, «Israele ha grandi responsabilità per quanto è accaduto, perché non ha mai voluto avere un partner palestinese forte». Nella striscia di Gaza forze paramilitari legate ad Hamas hanno spazzato via tutti i vari Servizi di sicurezza creati da Arafat e gestiti da allora da al-Fatah, il partito dello stesso Arafat e di Abu Mazen. Erano mesi che si parlava di inevitabile resa dei conti, ma nessuno ha pensato che potesse avvenire in modo così fulmineo. All’epoca di Arafat, gli Stati Uniti, Israele e la comunità internazionale invocarono che i numerosi rami della Sicurezza nazionale palestinese venissero sottratti al controllo di Arafat e posti nelle mani del Governo, come nelle democrazie compiute. Dopo la vittoria elettorale di Hamas, nel gennaio 2006, gli stessi attori sollecitarono che i settori della Sicurezza palestinese fossero saldamente riuniti nuovamente nelle mani del presidente Abu Mazen. Il ministero degli Interni, di cui Hamas ha acquisito il controllo, è stato completamente svuotato di potere. Ma quello che è peggio è che nella striscia di Gaza forze di sicurezza in competizione tra loro si son fatte la guerra sulla pelle della popolazione. Atti di banditismo, rapine, sequestri di persona sono stati commessi con l’unico obiettivo di screditare un esecutivo che si voleva prima indebolire e poi mandare a casa. L’amministrazione di Hamas ha deciso di passare all’azione. Lo psichiatra Ijjad Sarraj, che dirige il Centro di salute mentale a Gaza, rileva: «Qui era diventato un inferno. Non si poteva più andare in giro senza essere fermati da uomini in divisa o in abiti civili che ti sequestravano l’auto, che entravano a casa tua con le armi in pugno e potevano portare via qualsiasi cosa senza che nessuno potesse dire di no. Ora, questa stagione di mancanza di legalità sembra essere finita». Secondo qualcuno Hamas potrebbe creare un regime rigidamente ispirato alla religione, una specie di regno dei talebani bagnato dalle acque del Mediterraneo, pur sapendo che impiccare i televisori agli alberi e vietare alle donne di frequentare le scuole e le docce pubbliche fa parte della tradizione della Penisola arabica, del Pakistan, dell’Afghanistan, non certo di quella palestinese. «Israele non si farà impressionare dallo stile di vita che verrà imposto nell’area, ma osserverà con attenzione se la minaccia militare da Gaza verso il suo territorio diminuirà o meno», spiega Hafez Barghuti, direttore del quotidiano palestinese Al Hayat al Jadida. «E su questo Hamas sembra aver già fatto chiarezza, quando ha dichiarato la zona nord della striscia di Gaza (da cui partiva la maggioranza dei razzi lanciati su Israele) area militare chiusa, quasi a voler indicare che da lì non c’è più nulla da temere. Penso che Hamas sia pronta per una lunga tregua». Molti commentatori dicono che Abu Mazen abbia mostrato titubanza nel prendere decisioni e sciogliere il Governo di unità nazionale sia stato un passo insidioso: «Del resto, le carte che aveva in mano erano veramente poche», commenta Mohamed Sobeih. Adesso, però, se in Cisgiordania cominceranno ad affluire gli aiuti internazionali, perché ci sono Abu Mazen e il suo gabinetto, mentre Gaza verrà abbandonata alla sua sorte, perché amministrata da "golpisti" che hanno stravinto le elezioni, sarà la conferma davanti agli occhi dell’opinione pubblica palestinese che la giustizia o la si fa da soli o non arriva.

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