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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
15.06.2007 Ma come sono buoni questi hezbollah
a leggere un articolo di Fulvio Scaglione

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 15 giugno 2007
Pagina: 0
Autore: Fulvio Scaglione
Titolo: «Non abbiate paura di noi»

Famiglia Cristiana nel numero 24 on line pubblica un articolo di Fulvio Scaglione intitolato “Non abbiate paura di noi” nel quale intervista Ghaleb Abu Zeinab, Ministro degli Esteri di Hezbollah.

 

Già dal titolo è sottesa l’intenzione, che il giornalista svilupperà nel corso dell’articolo, di presentare la formazione terroristica di Hezbollah sotto una luce “più umana”. Hezbollah viene descritto come “il partito di Dio” , “considerato una formazione terroristica non solo da George Bush” ma, verrebbe da chiedersi, se tale è anche per il settimanale cattolico.

 

Viene evidenziata da parte del giornalista la volontà del movimento sciita di costruire “una piattaforma capace di superare le divisioni etniche e religiose”.

 

La preoccupazione di Scaglione, rivolta ai cristiani presenti in Libano, viene mitigata dalle rassicurazioni di Ghaleb Abu Zeinab circa il rispetto “delle differenze  tra musulmani e cristiani” ricordando altresì la visita nel 1997 di Giovanni Paolo II.

 

Il ministro degli Esteri ribadisce “il criterio irrinunciabile della democrazia consensuale”, nonché  “la libertà di esprimere la propria fede religiosa per ogni cittadino”, e in questo quadretto “idilliaco” di fronte all’affermazione aberrante di Ghaleb Abu Zeinab:“La formula che noi auspichiamo, la convivenza in Libano tra comunità diverse, è l’antitesi dello Stato di Israele, che è uno Stato per un popolo solo”, il giornalista anziché fare un salto sulla sedia e ribattere che Israele non è solo un paese democratico (anzi l’unica democrazia in Medio Oriente), ma è un vero melting pot rispettoso di tutte le minoranze e nel quale vivono, tutelati nei loro diritti, circassi, drusi, arabi ecc. si limita a concludere l’intervista con una nota sulla vita familiare del Ministro.

 

Del resto il settimanale cattolico è riuscito a lanciare un messaggio tranquillizzante: i cristiani (almeno così credono) non correranno pericoli con Hezbollah!

 

 

Per quei lettori che desiderano conoscere i fatti storici e non si accontentano di informazioni “tranquillizzanti e buoniste”, rimandiamo all’ottimo testo di Giovanni Codovini “Storia del conflitto arabo israeliano e palestinese” (Bruno Mondatori) il quale nel capitolo dedicato a Hezbollah cita:

 

“ …Fazione sciita libanese a struttura politico-militare, fondata nel 1982 dalle Guardie della rivoluzione iraniana appositamente inviate in Libano da Teheran con lo scopo di promuovere la nascita di uno Stato islamico sul modello di quello iraniano.

 

Gli Hezbollah che rappresentano il radicalismo religioso islamico di stampo sciita, si sono apertamente schierati contro gli accordi israelo-palestinesi e israelo-giordani del maggio-ottobre 1994 e del settembre 1995…

 

La loro ideologia (elaborata in un documento del 1985 e mai cambiata) si fonda sul khomeinismo e il principale obiettivo è la costituzione di una repubblica pan-islamica, guidata dal clero religioso islamico….Precisamente “la distruzione di Israele e la liberazione di Gerusalemme sono considerati obblighi religiosi”.

 

Negli ultimi anni questo movimento si è reso responsabile di una impressionante serie di attentati: Nel 1990: 19 attentati; nel 1991: 52 attentati; nel 1992:63 attentati; nel 1993: 58 attentati…”ecc.

 

Riportiamo integralmente l’articolo di Fulvio Scaglione

 

Tanto per intenderci: sì, sappiamo che cos’è Hezbollah, il "partito di Dio" degli sciiti libanesi guidato dallo sceicco Hassan Nasrallah. Sappiamo che è considerata un’organizzazione terroristica, non solo da George Bush. E che in effetti il terrorismo è stato praticato da Hezbollah, ultimo caso il rapimento dei due militari israeliani (e l’uccisione di altri otto) il 12 luglio 2006, azione che ha poi scatenato la guerra detta infatti "dei due soldati". Potremmo limitarci a questo e chiuderla lì.

 

Ma che dire quando, il 25 maggio, il Libano celebra la Festa della resistenza, dal giorno del 2000 in cui le truppe israeliane si ritirarono dal Paese, dopo una resistenza (appunto) che vide in prima fila Hezbollah? Che dire dell’alleanza politica che il movimento sciita ha siglato nel febbraio 2006 con il Libero movimento patriottico del generale Michel Aoun (cristiano maronita), in un inedito tentativo di costruire una piattaforma politica capace di superare le divisioni etniche e religiose?

 

Ne abbiamo parlato con Ghaleb Abu Zeinab, il "numero 2" politico di Hezbollah. Per chiedergli, in primo luogo, se i cristiani del Libano devono temere la crescita demografica, economica e anche militare della comunità sciita, come la maggioranza di Governo (la coalizione "14 marzo") sostiene e come ribadiscono molti in Europa e in Occidente. «Alle origini dello Stato del Libano», risponde Abu Zeinab, «ci sono il pluralismo etnico e religioso e il rispetto delle differenze tra musulmani e cristiani. Senza questo tratto specifico, il Libano non sarebbe neppure nato: se fosse stato solo musulmano sarebbe rimasto una regione della Siria e nulla più. Per questo noi teniamo tantissimo alla forma che ha preso la democrazia libanese e portiamo nel cuore quello che disse Giovanni Paolo II quando venne qui nel 1997: il Libano è più di un Paese, è un messaggio per il mondo».

 

 

  • Molti però agitano il timore di una islamizzazione del Libano…

     

«Sono discorsi strumentali, tesi a impaurire i cristiani. Non tanto quelli del Libano, che conoscono la situazione, ma quelli che vivono fuori, in Europa o negli Usa. Hezbollah, come partito e come forza popolare, crede alla fondazione di uno Stato laico e moderno, che superi le divisioni confessionali, rispetti le diversità religiose e garantisca a ogni comunità la possibilità di esprimersi e di dire la propria parola sulla gestione dello Stato. La nostra alleanza con il Libero movimento patriottico del generale Aoun dimostra che siamo pronti a muovere in tale direzione fin da subito, per arrivare a un Libano in cui nessuna comunità abbia un predominio assoluto sulle altre. La nostra visione del Libano di domani è basata su quattro pilastri: unità dello Stato, libertà per tutti i cittadini, democrazia consensuale, rispetto delle diversità culturali».

 

  • Questo è un programma ideale e politico. Ma riuscirete a tenere su questa linea anche una comunità come quella sciita, la quale tra pochi anni potrebbe essere largamente maggioritaria nel Paese e quindi spinta dai numeri a "prendersi tutto"?

     

«Il criterio della democrazia consensuale è per noi irrinunciabile. Il che vuol dire: condivisione dei poteri tra cristiani e musulmani, a prescindere dai dati numerici delle singole comunità. È un principio già stabilito con chiarezza dalla Costituzione, che noi ci impegniamo a difendere. Gli accordi di Ta’ef, d’altra parte, prevedono la formazione di un Senato (che ora ancora non c’è) che, nel caso di uno squilibrio politico della Camera, dovrebbe garantire proprio quella condivisione dei poteri. E aggiungo: non c’è posto, in Libano, per uno Stato islamico. Proprio perché è stato l’esatto contrario del monolitismo etnico o religioso, e cioè la convivenza delle diversità, a far nascere lo Stato libanese in quanto tale. Ogni cittadino deve avere la massima libertà di esprimere la propria fede religiosa, ma questa espressione deve restare, appunto, una forma di libertà. Quando si tratta dei problemi dello Stato siamo tutti, e solo, cittadini libanesi».

 

  • Questa ipotesi di convivenza pacifica come si concilia con la pratica delle armi, la guerra, gli scontri al confine con Israele?

     

«Certo, abbiamo dei nemici. La formula che noi auspichiamo, la convivenza in Libano tra comunità diverse, è l’antitesi dello Stato di Israele, che è uno Stato per un popolo solo. E pure gli Usa non amano quel progetto, preferiscono che il Libano abbia governanti ossequiosi verso i piani americani per il Medio Oriente. E con questo abbiamo messo il dito sulla piaga: anche oggi, l’attuale Governo del Libano non ha più dietro di sé la maggioranza della popolazione eppure Washington lo sostiene per la propria convenienza politica, non certo per amore del Libano».

 

Ghaleb Abu Zeinab deve andare. L’auto blindata che l’ha portato all’incontro lo aspetta, ancora parcheggiata di traverso sul marciapiede: segno che anche i poliziotti, che a Beirut non fanno nemmeno accostare per paura delle automobili imbottite di esplosivo, hanno "riconosciuto" il passeggero. Giusto il tempo per chiedergli qualcosa di più "umano". Ha 44 anni, milita in Hezbollah dalla fondazione del movimento, nel 1982, l’anno dell’operazione israeliana "Pace in Galilea" nel Sud Libano. È sposato, ha quattro figli di cui "due ragazze". Lo dice in italiano, memoria di un anno passato all’Università per stranieri di Perugia, prima del ritorno in patria. Le guardie del corpo, l’auto blindata, la pistola al fianco. Ma i figli di un dirigente di Hezbollah, chiedo, riescono a fare una vita normale? «Sì», dice Abu Zeinab, «tutto bene, tutto normale. Mio figlio studia all’università. L’Università americana di Beirut».

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