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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
20.05.2007 Libano: il fallimento della risoluzione 1701
in un'intervista rivelatrice

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 20 maggio 2007
Pagina: 0
Autore: Alberto Chiara
Titolo: «Non è pace ma non sarà guerra»

Famiglia Cristiana nel numero 20 on line pubblica un’intervista di Alberto Chiara al generale Claudio Graziano, comandante della missione Unifil in Libano, intitolata "Non è pace ma non sarà guerra".

Dopo i gravi recenti episodi di guerra fra l’esercito libanese e i militanti del gruppo Fatah attorno a un campo profughi palestinese, l’intervista al generale Graziano è particolarmente significativa perché rivela l’ inefficacia della Risoluzione ONU n. 1701.

 Un caso, certo. Ma a suo modo una coincidenza emblematica. Alle 16 di martedì 8 maggio, militari dell’esercito regolare di Beirut, ad Al Majadil, un villaggio a sudest di Tiro, arrestavano il conducente di un’auto, fermato da una pattuglia dell’Unifil. Un casco blu aveva intravisto un lanciarazzi, risultato poi usato, dunque inutilizzabile, ma comunque considerato un oggetto proibito in mano a un civile.

Più o meno nelle stesse ore, a New York, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, presentava un rapporto al Consiglio di sicurezza in cui si diceva "profondamente preoccupato" per il "possibile riarmo di gruppi libanesi e non", alimentato dal denunciato traffico di materiale bellico, foriero di ulteriori rischi, data la tensione politica che già regna nel Paese dei cedri.

"Come vede, i nostri peacekeeper stanno svolgendo il loro mandato fino in fondo", si limita a dire, confermando l’episodio, il generale Claudio Graziano, comandante militare e capo missione di Unifil. Torinese, 53 anni, sposato, innamorato delle sue montagne, orgogliosamente alpino, il generale è forse più famoso all’estero che in Italia, giacché ha collezionato più "passaggi" alla Bbc, Cnn, Al Jazeera, Al Arabja e Al Manar (la Tv di Hezbollah) di quanti non glien’abbiano riservati i canali televisivi nostrani. D’altronde Roma è lontana. Dista da qui 2.229 chilometri, come ricorda un cartello posto accanto alla pista di atterraggio dei sei elicotteri di Italair. Graziano, comunque, non è un esordiente: nel 1992 è stato in Mozambico (operazione Albatros), il tragico settembre 2001 l’ha colto mentre diventava addetto militare presso l’Ambasciata italiana a Washington, tra il 20 luglio 2005 e il 6 febbraio 2006 ha comandato la Brigata multinazionale a Kabul.

In questa intervista esclusiva con Famiglia Cristiana misura le parole, ma parla francamente il comandante della forza multinazionale schierata a difesa della pace tra il fiume Litani e la cosiddetta blue line, la "linea blu" (guai a chiamarla confine) che dal 2000 separa il Libano e Israele, due nazioni prive di rapporti diplomatici."Per la verità, in nessun punto la risoluzione 1701, approvata dal Consiglio di sicurezza nell’agosto 2006, menziona il disarmo di Hezbollah. Detta un principio assoluto: nella zona compresa tra il Litani e la blue line, un’area di circa 2.000 chilometri quadrati abitata grosso modo da mezzo milione di persone, soltanto i soldati regolari libanesi e i militari dell’Unifil possono portare armi. È vietata anche la caccia. L’Unifil, inoltre, deve evitare che si manifestino atti ostili nella zona delle operazioni".

Il tempo di mettere un po’ di zucchero nel caffè, e il generale compie il primo affondo: "La 1701 non ha mai né pensato né detto di disarmare Hezbollah, perché Hezbollah non è disarmabile. Almeno non nel breve periodo. E non senza un articolato (e lungo) processo politico. Fino al 2000, prima di ritirarsi a sud della linea blu, l’esercito israeliano ha occupato il Libano meridionale, considerandolo "fascia di sicurezza". Ha subìto numerosi attacchi da parte di Hezbollah e non è mai riuscito a disarmarlo. D’altronde, disarmare quella che una parte considera "forza di resistenza legale" (molto radicata sul territorio, tra le comunità sciite, nonché rappresentata in Parlamento) e che la controparte giudica, invece, "milizia irregolare" dedita al terrorismo, è possibile soltanto ricorrendo a metodi brutali, inammissibili. Il disarmo, non solo di Hezbollah ma di tutte le milizie libanesi, è previsto da un’altra risoluzione dell’Onu, la 1559, che imbastisce un progetto politico di riconciliazione nazionale e di recupero pieno della sovranità, al riparo da interferenze straniere, che necessita tempi lunghi e costante pressione della comunità internazionale, la quale deve continuare a garantire sul terreno una forza credibile come quella attuale, tale da scoraggiare qualunque "fuga in avanti" di chicchessia".

Graziano sorseggia il suo espresso. "Non sto formulando giudizi", prosegue. "Sono un militare dell’Onu, mi attengo alla lettera e allo spirito del mandato che mi hanno affidato e al sentire comune che avverto parlando con tutte, ripeto tutte, le parti in causa".

L’evoluzione della situazione interna libanese e le notizie fin qui pubblicate legittimano il timore di prossimi scontri. È stato scritto che Hezbollah ha rafforzato le proprie postazioni a nord del fiume Litani, rifornendo i propri arsenali con nuovi razzi a lunga gittata Zelzal e Fareh 110, consegnati, si dice, da Teheran, pronto a misurarsi militarmente con le altre componenti libanesi, nel malaugurato caso di una guerra civile, oppure con Israele, nell’ipotesi di una ripresa delle ostilità con Gerusalemme.

Nel mezzo ci siete voi di Unifil, generale... "Noi siamo qui per garantire la sicurezza e promuovere la pace. Qualunque altro scenario significherebbe il fallimento della 1701. Da quello che vedo e che so ritengo che siano da escludere l’una e l’altra cosa. Dobbiamo resistere un paio d’anni. Non è ancora pace piena, ma non sarà guerra".

"Dal punto di vista interno", precisa Graziano, "il confronto politico è aspro e rimarrà tale fino al 24 settembre, quando cominceranno le elezioni del nuovo presidente della Repubblica, il quale – secondo la Costituzione – dovrà essere un cristiano maronita. Ma tutti temono una nuova guerra civile, e nei fatti si muovono per non tirare troppo la corda. Le Forze armate libanesi rappresentano un elemento di stabilità: loro stanno attente a non farsi trascinare nelle polemiche quotidiane; gli altri le rispettano per la loro imparzialità. È un elemento di cui tenere conto, se mai si creasse un vuoto istituzionale".

"Dal punto di vista internazionale", sottolinea ancora Graziano, "nessuno ha interesse a scatenare un conflitto che coinvolgerebbe una forza multinazionale di 13.113 militari (ma presto saremo di più: sta arrivando un battaglione sud coreano) forniti da 30 Stati (tra breve, 31), tra cui due membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Cina e Francia), Paesi del G8 (Germania e Italia), potenze in crescita come India e Spagna, nazioni a maggioranza musulmana come Indonesia, Malesia e Turchia".

Hezbollah vi spia… "Solamente Hezbollah?", sorride il generale Graziano. Pare che lo scorso agosto abbia costituito un’unità speciale di sorveglianza composta da una cinquantina di supervisori che si avvalgono di informatori sparsi capillarmente sul territorio.

"I massimi vertici di Hezbollah hanno ripetutamente rilasciato dichiarazioni concilianti verso Unifil, assicurando la loro collaborazione. D’altronde la missione Onu è una missione "aperta": ci muoviamo alla luce del sole; si sa dove siamo, cosa facciamo, dunque…".

La preoccupa la crescente tensione che si registra nei campi profughi palestinesi? "Alcuni di essi – come quello di Ein el-Hilweh, a Sidone, o quello di Nahr el-Bared, sopra Tripoli – sono finiti sui giornali, vuoi perché considerati base per possibili elementi vicini ad Al Qaida, vuoi per sanguinosi scontri tra diverse fazioni palestinesi. Indubbiamente, gli oltre 400.000 rifugiati palestinesi, per lo più sunniti, rappresentano un grosso problema irrisolto. Se pienamente integrati nella società libanese altererebbero i delicati equilibri confessionali; se no, continuerebbero a esprimere il loro disperato desiderio di rientrare in patria. Non per nulla il premier Fouad Siniora ha affermato pubblicamente che il Libano sarà l’ultimo Paese a firmare la pace con Israele".

A proposito, signor generale: come va con Israele? "Ho assunto l’incarico di comandante militare di Unifil e di responsabile politico dell’Onu per il Libano meridionale il 2 febbraio scorso. Il 5 dello stesso mese, tre giorni dopo, gli israeliani hanno segnalato che vedevano probabili ordigni esplosivi nella zona compresa tra la loro linea difensiva e la blue line. Mentre si stava avviando il meccanismo di verifica, loro – violando la risoluzione 1701 – hanno sparato su quegli oggetti che, in seguito, si sono rivelati effettivamente vecchi ordigni. La sera del 7 febbraio gli israeliani hanno comunicato che sarebbero usciti per ripulire l’area. I libanesi – dichiarandosi disponibili a collaborare – hanno fatto sapere che, essendo buio, loro non potevano capire se gli israeliani sconfinavano oppure no e che in ogni caso avrebbero aperto il fuoco per difendere il territorio nazionale. Io ho cercato di convincere tutti ad aspettare il mattino. Gli israeliani hanno fatto uscire comunque dei bulldozer corazzati. I libanesi prima hanno sparato in aria e poi hanno tirato sui bulldozer, violando a loro volta la 1701. Io nel frattempo avevo fatto arrivare tre compagnie Unifil, schierando i carri pesanti francesi Leclerc e i blindati italiani Centauro. Gli israeliani hanno risposto con un colpo singolo di carro armato e si sono ritirati".

"Da allora", conclude il generale Graziano, "le due parti e Unifil hanno concordato di dotarsi di una linea telefonica diretta per la gestione delle crisi. Ho poi presieduto quattro incontri tripartiti con le forze armate libanesi e israeliane, le cui delegazioni si sono via via "sgelate" fino a parlarsi (ma non ancora al punto da stringersi la mano). E abbiamo raggiunto un accordo sulla definizione di come demarcare buona parte dei 120 chilometri della blue line. Tenuto conto che i due Paesi si sono combattuti per mezzo secolo, cresce la fiducia reciproca cui già lavorò il mio predecessore, il generale francese Alain Pellegrini. Il coinvolgimento delle autorità locali e lo sforzo umanitario, con significativi stanziamenti Onu (500.000 dollari in sei mesi, ndr) e delle nazioni contributrici per interventi che vanno dallo sminamento alla creazione di impianti elettrici e alla ricostruzione di strade, fa aumentare il già significativo consenso della popolazione. C’è di che essere moderatamente ottimisti".

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