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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
14.06.2006 Vincere una battaglia è diverso dal vincere la guerra, ma una vittoria è una vittoria
e l'eliminazione di Al Zarkawi lo è: anche se il settimanale cattolico non vuole ammetterlo

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 14 giugno 2006
Pagina: 0
Autore: Fulvio Scaglione
Titolo: «Ma la guerra non è finita»
Famiglia Cristiana on line pubblica nel numero 25 un articolo a firma
Fulvio Scaglione intitolato “Ma la guerra non è finita”.


Lasciando ai lettori di I.C. ulteriori osservazioni sull’articolo rileviamo
che l’uccisione di Al Zarkawi è un passo significativo e importante nella
lotta al terrorismo e che, seppur non risolutivo per l’attuale situazione
politica irachena, rappresenta senz’altro un evento destabilizzante per le
organizzazioni terroristiche.


Sono questi i concetti che il giornalista a nostro avviso non mette
sufficientemente in rilievo e preferisce ribadire “noi l’avevamo detto”.
Insigni studiosi come Bernard Lewis  hanno più volte sottolineato che non è
un’utopia esportare la democrazia in Medio Oriente ma che questa è una
strada lunga e difficile.
Nel frattempo il mondo occidentale dovrebbe ricordarsi le torture, i
massacri perpetrati da Saddam Hussein ai danni del suo popolo da Saddam
Hussein: troppo spesso c’è chi se lo dimentica!!

Ecco il testo:


Sapete che cosa ci vuole per preparare attentati come quelli che hanno
ucciso il caporal maggiore Alessandro Pibiri il 5 giugno e il capitano
Nicola Ciardelli, i marescialli Carlo De Trizio, Franco Lattanzio e Enrico
Frassanito il 27 aprile? A me l’ha spiegato qualche settimana fa uno dei
nostri generali. Intanto ci vuole come minimo un buon fabbro, capace di
costruire la "scatola" di metallo che ospita l’esplosivo, e che deve essere
tale da proiettare verso l’alto l’effetto distruttivo della carica. Poi
bisogna sistemare la carica sotto la superficie della strada su cui
passeranno i veicoli militari. Le strade intorno a Nassiriya sono quasi
tutte coperte da lastroni di cemento. Bisogna quindi sollevare uno o due
lastroni (pari a una ventina di metri di manto stradale), scavare una
nicchia in cui calare la "scatola" piena di esplosivo, richiudere il tutto,
far sparire le tracce.


Che cosa c’entra questo con l’uccisione di Al Zarkawi, la nomina dei nuovi
ministri dell’Interno (Jawad Polani, sciita come il premier Nuri al Maliki)
e della Difesa (il generale Abd al Qader Jassim al Obeidi, alto grado
dell’esercito fin dai tempi di Saddam Hussein) e la situazione in Irak?
Ecco come: attentati come quelli non possono essere realizzati senza la
connivenza della popolazione civile. Possiamo ripetere fin che ci pare che
i terroristi vengono da fuori, e forse è anche vero. Resta il fatto che è
impossibile scoperchiare le strade senza farsi notare, in un Paese dove fa
caldo e la gente vive fuori casa molte ore, di giorno e soprattutto di
notte. Ed è quindi evidente che il fattore ambientale conta, e non poco.


Allo stesso modo, la soddisfazione per l’eliminazione di Al Zarkawi, uno
dei più efferati assassini del nostro tempo, sgozzatore di ostaggi e
massacratore di bambini, non deve spingere a conclusioni affrettate.
Intanto perché di presunte "svolte decisive" in Irak ne abbiamo già viste
molte e siamo sempre allo stesso punto: gli "esperti" giuravano quanto
giurano oggi (terrorismo in declino, resistenza in calo, fine delle
complicità) già ai tempi della cattura di Saddam Hussein, cioè nel dicembre
2003.


Al Zarkawi, inoltre, è morto a 38 anni ma combatteva sui diversi fronti
della jihad dall’età di 18 anni, e in Irak da quasi tre. Era un uomo
d’arme, non un ideologo, e stava in prima linea, non nelle retrovie. In
altre parole, era ormai statisticamente possibile che facesse l’errore
destinato a perderlo, o incappasse nella delazione decisiva.


Piano, dunque, prima di decidere che l’eliminazione di Al Zarkawi segnala
la volontà dei gruppi della resistenza armata irachena di staccarsi dalla
pratica del terrorismo secondo i canoni imposti dagli "stranieri" di Al
Qaeda o prima di stabilire che la sua fine segna il declino del terrorismo
in Irak. È già pronta, a quanto pare, una pletora di successori:
dall’egiziano Abu Ayyub al Masri, un altro veterano dell’Afghanistan, ad
alcuni guerriglieri noti come Al Baghdadi o Al Iraqi, nomi di battaglia che
servono a sottolineare l’origine irachena, e quindi il carattere
"nazionale" della loro battaglia. E poi ci sono esempi non troppo lontani:
la guerriglia palestinese subisce perdite ogni giorno, vede morire i suoi
capi ma da quarant’anni spara contro Israele. E l’Afghanistan, da problema
quasi risolto, torna a essere un campo di battaglia: se la Nato chiede con
insistenza il dispiegamento dei cacciabombardieri italiani e il contingente
Isaf riceve rinforzi, vuol dire che la resistenza cresce e non cala.


Palestina e Afghanistan, però, sono soprattutto problemi politici. Da un
lato il dialogo tra Israele e palestinesi e l’estremismo di Hamas, che
ancora insegue il grottesco sogno della distruzione di Israele. Dall’altro
le resistenze locali (narcotraffico, signorìe feudali, criminalità) allo
sviluppo di un forte Governo centrale e il ruolo del Pakistan, amiconon
amico degli Usa e amico-non amico dei talebani (o di chi per essi). Per
l’Irak, invece, il problema è doppio, politico e strategico insieme.
Ripetiamo ora quanto scrivemmo già nel 2003, quando ogni diverso parere era
"pacifismo" o "antiamericanismo": controllare 437 mila chilometri quadrati
e 27 milioni di iracheni entro confini tracciati sulla sabbia è un’impresa
quasi impossibile o impossibile. Il mancato controllo del territorio rende
improba la ricostruzione. Il che esaspera la gente e favorisce le
complicità, anche perché nella più vasta regione mediorientale la presenza
delle truppe americane (che hanno basi importanti in tutti i Paesi: in
Kuwait occupano addirittura il 25 per cento del territorio) è sentita da
moltissimi, a torto o a ragione, come un oltraggio etnico, politico e
religioso. Oggi si parla di possibili rivolte nel Sud gestito dagli
inglesi, pure più duttili degli americani nei rapporti con la popolazione e
con gli ayatollah della maggioranza sciita, e nel resto del Paese impazza
il terrorismo. Davvero crediamo che questo cambierà perché è morto il
killer Al Zarkawi?

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famigliacristiana@stpauls.it

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