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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
03.09.2005 Pura propaganda,cinema,teatro, poco importa
il settimanale cattolico non perde il vizio, che ne dice Papa Ratzinger di questa propaganda ?

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 03 settembre 2005
Pagina: 84
Autore: Paolo Perazzolo
Titolo: «Terre promesse»
A pagina 84 di Famiglia Cristiana del 4 settembre nella sezione "Cultura Cinema" è pubblicato un articolo di Paolo Perazzolo intitolato "Terre promesse".

L’articolo analizza due film "Attente" del regista palestinese Rashid Masharawi e la "Passione di Giosuè l’ebreo" di Pasquale Scimeca che verranno presentati nella sezione "Giornate degli autori: Venice Days" nell’ambito della 62° Mostra internazionale del cinema.

Una lettura superficiale potrebbe far pensare che l’articolo è obiettivo perché tratta il dramma di "popoli segnati e accomunati dalla diaspora e dalla stessa aspirazione. Due film che mettono in luce ciò che li unisce, proprio ora che stanno cercando una difficile convivenza".

Non è così.

Il pregiudizio antisraeliano e antigiudaico emerge fra le righe, fornendo, come sempre, un’unica versione della storia e degli avvenimenti accaduti: da una parte il povero popolo oppresso e "deportato" dall’altra i cattivi israeliani che lo hanno lasciato marcire nei campi profughi per tutti questi anni.

Ecco alcuni stralci dell’articolo.


Siamo a Gaza. Proprio in quella striscia maledetta di terra, insanguinata dalla contesa fra ebrei e palestinesi, dovrebbe sorgere nientemeno che il nuovo Teatro nazionale palestinese. Ormai sul punto di lasciare la Palestina per trasferirsi all’estero, stanco delle infinite difficoltà della vita quotidiana nei territori,
alcune di queste "difficoltà" derivano dalla necessità di effettuare accurati controlli da parte dell’esercito israeliano al fine di sventare attentati terroristici, controlli che comportano - è vero - difficoltà negli spostamenti ma dai quali non si può prescindere quando l’obiettivo è salvare vite umane.


il regista Ahmad accetta un ultimo incarico: dovrà selezionare gli attori per il nuovo teatro, cercandoli nei numerosi campi profughi di Giordania, Siria, Libano.

La gente che si presenta alle telecamere del regista però più che di dare prova delle proprie capacità recitative, sembra preoccupata di non lasciarsi sfuggire l’occasione per mandare messaggi ai propri cari lontani, per avere notizia di qualche familiare disperso di cui ha perso le tracce da anni, di raccontare il dolore per l’esilio dalla propria terra e il sogno di tornare un giorno, con tutto il popolo, ad abitarla.


E degli ebrei che ne facciamo? Li buttiamo a mare?


Un’attesa dura, terribile, in cui un minuto sembra un anno dice uno dei protagonisti del film Attente di Rashid Masharawi, già autore di una serie di film e documentari incentrati sulla questione palestinese, ma, soprattutto, nato lui stesso a Gaza, nel campo profughi Shati e fondatore del Cinema mobile per i campi profughi.

Cambio si scena e di epoca. Questa volta siamo in Spagna nel 1492, quando l’editto di Isabella di Pastiglia costringe alla diaspora ebrei e musulmani nel nome della religione di Stato.
Cattolica

Per il giovane ebreo Giosuè e la famiglia comincia l’esodo, alla ricerca di una terra dove vivere in pace. Sembrano trovarla a Napoli, ma anche da lì l’odio antigiudaico che sta invadendo l’Europa li costringe a fuggire, approdando infine in Sicilia, in un villaggio di carbonai fondato da ebrei costretti a convertirsi al cattolicesimo.Il destino di Giosuè, però si incrocia con quello di un altro ebreo: Gesù il Nazareno. Vinta una gara di erudizione sui testi sacri, viene scelto per interpretare la figura di Cristo nella rappresentazione della Passione che si svolge il Venerdì santo. Giosuè si immedesimerà a tal punto nel ruolo che i potenti del posto decideranno di ucciderlo.

Così finisce la "La passione di Giosuè l’ebreo" di Pasquale Scimeca, un film forte, a tratti scioccante, destinato a far discutere e che sarà nelle sale italiane dal 9 settembre.

Sono due film diversi, anzitutto sul piano formale:con un andamento documentaristico il primo, esteticamente più raffinato il secondo. E tuttavia c’è un tema che li unisce: il sogno della terra promessa, identico per il popolo palestinese e il popolo ebraico, entrambi segnati dalla diaspora.


Con la differenza che i "profughi" palestinesi sono il risultato di una guerra di aggressione subita dal neonato Stato di Israele, guerra sferrata da cinque paesi arabi per distruggerlo.

La diaspora ebraica è il risultato dell’odio antisemita, dell’intolleranza, della volontà di annientamento di un popolo che ha avuto un momento saliente nella cattolicissima Spagna del 1492 ma che è proseguito nel corso dei secoli fino ad arrivare ai giorni nostri.

Basta leggere i libri di testo delle scuole palestinesi dove fin dalla più tenera età viene insegnato ai bambini ad odiare l’ebreo e dove la propaganda antisemita va di pari passo al desiderio di vedere scomparire ogni ebreo dalla faccia della terra.

Oggi ci sono circa quattro milioni di profughi palestinesi che discendono dalle 800 mila persone che fuggirono a furono deportate tra il 1948 e il 1950, ha detto Rashid Masharawi a commento del suo film. Non sono un ingenuo, non ho l’illusione di riportare indietro tutti i profughi e di risolvere il problema in un giorno, ma il problema è reale e deve essere affrontato. Una visita in uno di questi campi profughi ne è la dimostrazione.

Queste persone non hanno scelto la loro condizione.
Ma la loro condizione "di profughi" non è responsabilità del popolo israeliano, come indirettamente si lascia intuire.

Ecco cosa scrive a questo proposito Giovanni Codovini nel suo libro "Storia del conflitto arabo israeliano palestinese".

" La maggior parte dei profughi palestinesi finì abbandonata nei campi profughi di Gaza e Cisgiordania. I governi siriano ed egiziano rifiutarono di dare una sistemazione ai profughi, ribaltando la responsabilità sull’ONU ; quest’ultimo dall’altra parte, impostando il problema palestinese nel quadro di un accordo di pace globale e definitivo, finì per allontanare ogni possibilità concreta di soluzione".

La riunione del "Comitato dei profughi" che si tenne a Homs in Siria, nei giorni 11 e 12 luglio 1957, si concluse con l’approvazione di un documento politico che affermava che "qualsiasi trattativa, che debba portare alla soluzione del problema dei profughi e non si basi sul diritto dei profughi di annientare Israele, sarà considerata disonorevole per il popolo arabo e alla stregua di un tradimento"….

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