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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
01.08.2005 Angelica e i ragazzi vittime del terrorismo
un ritratto sul settimanale cattolico

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 01 agosto 2005
Pagina: 64
Autore: Claudio Coluzzi
Titolo: «Oltre l'odio»
Un temperamento vulcanico di energia positiva, una voglia di vivere che contagia chi le sta attorno, una volontà d’acciaio, una vita dedicata all’educazione e alla pace in un paese, Israele, duramente colpito dal terrorismo, un progetto di vita condiviso con il marito Yehuda, insegnante di fisica e matematica.

Angelica Livnè Calò è una persona straordinaria.

Da trent’anni vive in Israele, a Sasa, un kibbutz di frontiera fra Libano e Siria.

Sasa in ebraico significa "punta della spiga" e la spiga simboleggia l’unione dell’uomo con la Natura, una natura benigna che porta i suoi frutti grazie al lavoro in comune.

In questa terra difficile e martoriata da guerre e terrorismo Angelica non si è mai arresa.

Ha studiato teatro e regia all’Università di Tel Aviv, ha conseguito un Master in Scienza dell’Educazione e Integrazione delle Arti nell’insegnamento al Boston University e ha messo tutto il suo amore e la sua tenacia al servizio della pace, dando vita ad una serie di progetti bellissimi, carichi di emozioni e di messaggi.

La sua fede incrollabile le ha consentito di andare avanti con coraggio anche quando attorno a sé non vedeva altro che sfiducia e morte, una fede che si è tradotta in concreto nel "Teatro dell’Arcobaleno" una compagnia di ragazzi ebrei, cattolici e musulmani che con la forza del loro messaggio divulgano la pace, abbattendo i muri del pregiudizio e dell’intolleranza.

Angelica è anche responsabile, insieme al marito, della Fondazione Bereshit LeShalom che propone progetti e spettacoli con ragazzi di etnie, religioni e culture diverse per conoscersi attraverso le attività, oltre ad organizzare vacanze in Italia per i giovani colpiti dal terrorismo.

Da alcuni anni infatti Angelica nel mese di luglio, insieme a Yehuda, accompagna in Italia alcuni ragazzi vittime di quel terrorismo che fino a pochi anni fa era "privilegio" israeliano e che ora invece si sta tragicamente diffondendo anche in Europa.

Sono adolescenti sui quali la ferocia dei terroristi ha lasciato un segno indelebile: alcuni hanno perso un fratello, altri la madre, altri ancora sono sopravvissuti ad un attentato.

Molti hanno perso la speranza, la voglia di vivere e Angelica con il suo inesauribile amore sta loro accanto, li incoraggia a riprendere una vita normale, a guardare ancora al futuro con fiducia e speranza.

L’anno scorso ho incontrato un gruppo di questi adolescenti a Firenze dove avevano fatto tappa. Uno di questi ragazzini, il cui fratello era morto dilaniato in un attentato, aveva un desiderio fortissimo: poter fare il Bar Mitzwah nella sinagoga fiorentina.

La condivisione di un momento così importante, la gioia che sentiva attorno a sè, i regali ricevuti, i dolci condivisi e l’amore che tutti gli manifestavano lo hanno fatto sorridere di nuovo. E quando mi sono avvicinata per porgergli un piccolo dono, il suo sorriso, il suo abbraccio mi hanno resa ancor più consapevole che quello che persegue Angelica non è un sogno, un’utopia bensì un progetto di amore concreto, una prova vivente della meravigliosa potenza della vita.



Anche quest’anno Angelica ha accompagnato un gruppo di 17 ragazzi israeliani per trascorrere una settimana d Angri in provincia di Salerno per tentare di far dimenticare loro l’odio e la violenza di cui sono state vittime.

Riportiamo alcuni stralci dell’articolo di Claudio Coluzzi pubblicato su FAMIGLIA CRISTIANA del 31 luglio a pagina 64 intitolato "Oltre l’Odio".

Oggi: il barcone da Marina Grande, il trasbordo sul guscio galleggiante che si infila lentamente nella cavità della roccia, un attimo di bui, poi lo schiudersi dello splendore della Grotta Azzurra, con i suoi mille riflessi di luce. Ieri: la figura femminile che attraversa la hall del Park Hotel, a Natania, entra nella sala da pranzo e si porta le mani alla vita. Un boato, un lampo accecante, il buio, decine di corpi insanguinati a terra, la gente che urla, un dolore lancinante alle gambe, alle braccia, alla testa.

Ma che cosa accomuna la Capri assolata di una giornata di fine luglio e il giorno di Pasqua di tre anni fa durante un terribile attentato in Israele? Gli occhi di un bambino. Quelli di Raziel Amir, 14 anni, hanno visto l’orrore: è infatti uno dei 17 ragazzini vittime del terrorismo che ha trascorso, grazie all’associazione "Progetto Famiglia" di Anfri, in provincia di Salerno, e la "Bereshit Shalom Foundation" dell’Alta Galilea, una settimana in Campania per tentare di dimenticare morte e violenza. Hanno un’età compresa tra i 12 e i 17 anni, maschi e femmine, orfani, fratelli di persone uccise dai cecchini, familiari stretti di normali cittadini dilaniati da un’autobomba o da un terrorista suicida.

"Quando li ho visti" racconta Angelica Calò Livnè, responsabile col marito Yehuda della Fondazione "Beresheet Shalom", avevano la morte sul viso, ora sono qui in questo Paese bellissimo, per vedere che esiste un altro mondo oltre l’odio, la guerra, il sangue e si può continuare a sperare. Sono stati a Capri, sulla Costiera amalfitana, a Postano, a Pompei e sono entusiasti della gente. A Capri i traghettatori li hanno condotti gratis nella Grotta Azzurra quando hanno capito che erano vittime delle stragi in Israele. Chi li incontra gli regala di tutto; non esiste migliore terapia di questa, per rirprendere a vivere."

Angelica è una donna vulcanica, instancabile, ebrea di Roma, ha lasciato la capitale quando aveva vent’anni per inseguire il sogno della "patria Israele". Ma a differenza di altri, in Israele c’è rimasta, vive nel kibbutz Sasa in Alta Galilea, col marito, quattro figli e altre famiglie, in comunità.

In quel kibbutz, lo scorso anno è avvenuto l’incontro con don Silvio Longobardi, fondatore del "Progetto famiglia", una fondazione di enti no profit per i minori e la famiglia. Quattro "Oasi di accoglienza" in Campania, progetti di cooperazione in Burkina Faso e Israele-Palestina per realizzare cantieri di pace. "Eravamo in Terrasanta", ricorda don Silvio, "io e il presidente di "Progetto Famiglia", Marco Giordano. Era l’ultimo giorno. Decidemmo di andare da Angelica proprio per stringere rapporti e offrire ospitalità ai ragazzi vittime della violenza. Tre ore e mezza di viaggio poi l’impegno a rivederci alla prima occasione utile. Siamo felici ora che sono qui".

Accanto a don Silvio c’è Piepaolo Puntarello, rabbino della Comunità ebraica di Napoli. Senza di lui il soggiorno dei ragazzi sarebbe stato impossibile. "Bisognava assicurare la celebrazione dei riti ebraici" spiega Angelica Calò, "eravamo disperati perché non c’era un rabbino per rendere kasher, ossia "utili allo scopo", i cibi, gli alimenti, le cucine . Mentre pensavo questo mi è arrivata una telefonata. Era Puntarello, sarebbe venuto lui…"

"Pizza….sole….mare…..ciao…" i ragazzi stanno realizzando uno spettacolo preparato con le poche parole italiane apprese nei giorni scorsi. Reut Ben Sadom (due sorelle uccise da un autista arabo che le ha investite volontariamente); Daniel Abede (un fratello ucciso in un’imboscata nel Golan), Rotem Moyal (il padre vittima di un attentato)…, ogni nome un bagaglio di sofferenza intollerabile.

"Qui è tutto molto bello", dice Raziel, riuscendo ad abbozzare un sorriso dopo il racconto dell’attentato al Park Hotel di cui lui e la sua famiglia sono rimasti vittime, "non ci sono guardie a ogni angolo, non ti controllano continuamente le borse, spero tanto che non accada mai come da noi, che il terrorismo non arrivi anche qui"
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