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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
18.07.2005 Europa nuovo campo d'azione del terrorismo jihadista
intervista all'ex capo del Mossad Ephraim Halevi

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 18 luglio 2005
Pagina: 20
Autore: Guglielmo Sasinini
Titolo: «Il rischio arabi bianchi»
A pagina 20 di FAMIGLIA CRISTIANA del 17 luglio è pubblicato un articolo di Guglielmo Sasinini intitolato "Il rischio arabi bianchi"

L’articolo nel suo complesso risulta corretto e riporta un interessante intervento di Ephraim Halevi, ex capo del Mossad.

Ecco il testo:

La strage di Londra, annunciata da tempo dagli integralisti islamici che si riconoscono in Al Qaeda, prevista e temuta dai servizi di sicurezza inglesi, così come da tutti gli apparati di intelligence, ha dimostrato come i terroristi sappiano muoversi nel vecchio continente con una disinvoltura che non ha paragoni.

Se verrà dimostrato che a trucidare decine di innocenti cittadini britannici sui bus e nella metropolitana di Londra sono stati gli uomini delle Brigate Abu Hafs al Masri, lo stesso gruppo che ha firmato gli attentati di Madrid, vorrà dire che questa formazione ha ormai assunto il ruolo di "referente" di Al Qaeda sul territorio europeo.

Una pezzima notizia, perché nel magma che si muove attorno ai fanatici islamici che hanno dichiarato guerra agli Stati Uniti e all’Occidente, con una particolare predilezione per Spagna, Inghilterra e Italia – e cioè i tre Paesi che hanno inviato truppe in Irak per sostenere la coalizione americana -, tunisini, algerini, marocchini costituiscono la componente etnica principale, la stessa che all’80 per cento è riscontrabile nelle Brigate al Masri, che in Europa conta alcuni milioni di presenza.



L’incubo di tutti gli esperti di antiterrorismo è infatti proprio questo, e cioè che ci si possa trovare di fronte a terroristi islamici che ormai hanno passaporto britannico, spagnolo, italiano, danese, svedese, francese. I cosiddetti "arabi bianchi", cioè marocchini, egiziani, tunisini di seconda generazione che vivono e lavorano a Londra, Madrid, Parigi; conducono una vita apparentemente normale, non hanno motivo per incorrere nei severi controlli antiterrorismo, come il prevention of terrorism act, una legge durissima in vigore in Inghilterra che dà poteri enormi alla polizia in materia di perquisizione e detenzione nei confronti delle persone sospette.

Questi "invisibili" soldati di Al Qaeda, che in Osama Bin Laden vedono il paladino delle masse islamiche oppresse, molto prima dell’11 settembre 2001 avevano aderito alla "guerra santa", molti si erano addestrati in Afganistan, quindi erano passati alla fase del "sonno", cioè a una vita normale nella loro nuova patria d’adozione, ma sempre in attesa che il loro capo rete li attivasse, con una telefonata in codice.
"Prima dell’11 settembre 2001" dice Ephraim Halevi, ex capo del Mossad, il Servizio segreto israeliano, "ben pochi si erano resi conto che stavamo per entrare in una nuova fase della terza guerra mondiale, un tipo di guerra che si combatte con altri sistemi, per altre vie e con ritmi diversi rispetto alle due precedenti. Questa volta il nemico non deve superare nessuna frontiera, da tempo è già presente nei nostri rispettivi Paesi, attende solo che qualcuno gli dia il via. I pericoli sono molteplici, tra i quali quello che l’Occidente finisca con l’autodistruggersi limitando le sue libertà fondamentali. L’obiettivo dei terroristi islamici è, infatti, quello di causare a lungo andare una riduzione, se non la paralisi completa, dei diritti individuali.

Di attacco in attacco, diventiamo tutti meno democratici, ma pensiamo a quale spendido risultato otterrebbero se la società occidentale si trasformasse in un totalitarismo per mano propria".

Ephraim Halevi, che di antiterrorismo e di sicurezza è uno dei massimi esperti mondiali, non fosse altro che per storia personale e professionale – sono argomenti che affronta da trent’anni – pone l’accento su un altro aspetto meno conosciuto. "Il terrore attuale", sostiene "ha bisogno di un’ampia visibilità e quindi si deve alimentare quotidianamente, attraverso il network globale, di tesi allucinanti che si ispirano alla "giustizia islamica" e propongono, su siti Internet, dibattiti, confronti, documenti strategici, rivendicazioni, inviti a considerare le opportunità e i rischi della Jihad in Irak, e a come esportarla. L’Europa, dopo gli Stati Uniti e Israele, per questi fanatici è obbligatoriamente il nuovo campo di battaglia.

Per fermarli non basta la collaborazione, che deve essere sempre più serrata, fra forse di polizia ed apparati di intelligence, occorre ribaltare i termini della questione e coinvolgere lo stesso mondo islamico nel totale rifiuto del terrore come metodologia di lotta politica"

Dopo il primo attacco, Londra ha risposto mantenendo un basso profilo, facendo credere per ore che si era trattato di "incidenti causati da un abbassamento dei carichi di tensione sulla rete elettrica", così da vanificare l’attesa dei terroristi che vogliono vedere sangue, panico, spettacolo.

Ma quando potrà reggere la strategia del contenimento per non alimentare il disegno destabilizzante dei terroristi su un’opinione pubblica mondiale già sotto choc perché coinvolta in una guerra che non comprende?

Gli uomini dell’antiterrorismo che inseguono i sospetti per la strage di Londra seguono due filoni. Da una parte quello che conduce ai "veterani", ai militanti con una stretta connessione a formazioni legate ad Al Qaeda; dall’altra il filone delle nuove leve, gruppi nati più o meno in modo spontaneo nell’Europa orientale.

Vecchi Jihadisti ed euro-jihadisti che potrebbero avere messo insieme le loro forze.

Piccoli Osama che avrebbero voglia di crescere.
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