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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
07.02.2005 Primi passi verso la democrazia nei territori palestinesi e in Iraq
ma il settimanale cattolico non rinuncia ai suoi pregiudizi

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 07 febbraio 2005
Pagina: 14
Autore: un giornalista - Fulvio Scaglione
Titolo: «Un sindaco donna in Palestina - Notizie dall'Iraq»
Indulgere all’ottimismo non è un atteggiamento saggio quando si parla di Medio Oriente.
La storia ce lo insegna.
La presenza di soggetti oltranzisti (Jihadisti, Hezbollah) intenzionati a minare le possibili aperture verso una ripresa del processo di pace impongono cautela.
Eppure l’uscita di scena di Arafat, un rivoluzionario abile a mentire e a venir meno agli impegni presi, ha aperto nuove opportunità al popolo palestinese che fin dalla sua elezione a Presidente nel gennaio del 1996 non ha mai visto riconosciuti i più elementari diritti umani: libertà di stampa, di opinione ecc.
Si apre dunque un’era di speranza che ha visto nelle elezioni del 9 gennaio un primo tentativo verso una possibile democratizzazione del mondo palestinese.
Quanto è riportato in questo articolo di Famiglia Cristiana del 6 febbraio 2005 a pagina 14 nella rubrica "Come vanno le cose" sarebbe stato assolutamente impensabile solo qualche mese fa.

Porta il velo, non stringe la mano agli uomini che entrano nel suo ufficio per rispetto ai principi islamici, ma non mostra alcuna timidezza nel prendere decisioni. Fathiya Barghuti, 30 anni, insegnante, è la prima donna sindaco palestinese. La sua elezione a Beit Rima, in Cisgiordania, è il frutto di un compromesso fra le forze politiche che hanno partecipato alle elezioni amministrative dello scorso 23 dicembre. Fathiya ha assicurato che non farà rimpiangere un primo cittadino uomo e spera in un atto di clemenza verso il marito, condannato nel 2002 a otto anni di carcere per il suo coinvolgimento nell’omicidio del ministro israeliano del Turismo Rahavam Zevi.
Un altro esempio della volontà di avviarsi verso una struttura democratica del paese ce lo ha offerto l’Iraq con la sua gente che pazientemente in fila andava a votare.
L’immagine di quella donna orgogliosa che con il dito alzato mostrava l’inchiostro indelebile, segno dell’aver esercitato, dopo trent’anni di dittatura, un diritto che è patrimonio di ogni paese libero ha fatto il giro del mondo.

Un risultato che ha stupito prima di tutto chi ha sempre visto gli americani come "forza di occupazione", e non ha mai creduto nel desiderio di democrazia della popolazione civile irachena (parliamo del mondo degli arcobalenisti e della sinistra in genere) e che, non dimentichiamolo, è stato reso possibile dall’azione militare dell’America e dei paesi suoi alleati con un altissimo costo di vite umane.
Chi invece considera l’impegno americano per portare la democrazia in Iraq una "invasione" è Fulvio Scaglione in un articolo pubblicato a pagina 27 di Famiglia Cristiana del 6 febbraio 2005 di cui riportiamo un breve stralcio.

Si temeva il peggio, abbiamo avuto il meglio possibile. Sono andati a votare tanti iracheni: tantissimi, anzi, se pensiamo agli attentati e all’ostilità verso la presenza americana. L’elezione è sembrata credibile, la gente convinta. E’ la prima vera buona notizia che arriva dall’Iraq a quasi due anni dall’invasione Usa.

L’errore da non fare adesso è credere che sia merito nostro.
E’ vero! Il merito infatti non è "suo" ma dell’America e di chi in Europa ha dato agli Stati Uniti il proprio sostegno politico e militare.
Di sicuro non è merito di chi sventolava le bandiere della pace, manifestava urlando slogan contro l’America e al termine della manifestazione, con la coscienza tranquilla, tornava alle proprie case, alla propria vita libera consapevole di poter sbraitare contro l’America, contro il governo senza che gli venisse torto un capello.
Nella dittatura di Saddam Hussein questo non sarebbe stato possibile: si finiva in carcere, torturati e massacrati.

E’ una vittoria degli iracheni, che hanno sfidato anche l’incapacità delle truppe straniere a portare la sicurezza nel paese


La vittoria degli iracheni non sarebbe stata possibile senza l’intervento militare americano, senza che centinaia di suoi soldati morissero per portare la democrazia in un paese dove, da trent’anni, agiva indisturbato una dittatore sanguinario.
In questi trent’anni dove è stato il popolo degli zelanti arcobalenisti?
E, soprattutto cosa ha fatto per abbattere la dittatura di Saddam Hussein?

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