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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
07.01.2005 Sul nuovo corso della politica palestinese un articolo con qualche opinione personale e qualche omissione di troppo
sul settimanale cattolico

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 07 gennaio 2005
Pagina: 24
Autore: Guglielmo Sasinini
Titolo: «Presidente non Rais»
A pagina 24 di Famiglia Cristiana del 9 gennaio è pubblicato un articolo di Guglielmo Sasinini intitolato "Presidente non Rais"
L’articolo nel suo complesso risulta abbastanza corretto, anche se in alcuni punti prevalgono le opinioni del giornalista, in altri si omettono fatti importanti.

La Palestina del dopo Arafat dovrebbe iniziare a prendere corpo il prossimo 9 gennaio, quando i palestinesi andranno alle urne per eleggere il nuovo presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Serie alternative al leader candidato dalla direzione di al-Fatah, Abu Mazen, non ve ne sono, anche se nessuno è in grado di dire quale sarà, il giorno delle elezioni, il vero umore della piazza palestinese.

La convergenza dei partiti storici palestinesi sulla candidatura di Abu Mazen ha tagliato fuori i sostenitori di Marwan Barghuti, il capo dei Tanzim (la milizia di al-Fatah), che deve scontare cinque ergastoli in Israele,
per essere stato riconosciuto colpevole da un tribunale democratico non solo dell’assassinio di cittadini israeliani ma anche di essere il mandante di stragi efferate
ma continua a godere delle simpatie della maggioranza della popolazione palestinese che riconosce in lui l’erede naturale di Arafat, il leader che si è sempre battuto contro gli israeliani senza accettare compromessi e senza lasciarsi invischiare nella profonda e diffusa corruzione che ha coinvolto praticamente tutti i dirigenti dell’Olp e di al-Fatah.
Nelle speranze delle Cancellerie internazionali, a partire da quelle dell’Unione europea, le elezioni palestinesi dovranno costituire il primo passo verso uno Stato sovrano e indipendente, il sogno di milioni di palestinesi. Ma, al di là dell’elezione di Abu Mazen, un candidato di fatto senza rivali, chi vincerà?

La rabbia di un popolo stremato

La "vecchia guardia" rappresentata da Abu Mazen e da Abu Ala è accusata di essere troppo tecnocratica e occidentalizzata e di tenere in vita un regime corrotto. Mentre la "nuova guardia", tra i cui esponenti di spicco c’è l’ex ministro dell’Interno Mohammed Dahlan, non sembra in grado di poter conquistare una leadership riconosciuta e rispettata dalla maggioranza dei palestinesi.
C’è anche chi teme che le elezioni produranno, come risultato della disperazione di persone che hanno conosciuto praticamente solo l’occupazione militare israeliana, una leadership più estremista che si appoggerà ad Hamas e a Barghuti.
Hamas è un movimento terroristico e non un partito politico, il cui obiettivo dichiarato è la distruzione di Israele.
L’occupazione militare inoltre non ha nulla a che vedere con la "disperazione" di quei palestinesi che si fanno saltare in aria fra civili inermi. Ricordiamo che fra i "disperati" ci sono poliziotti, laureati, infermiere ecc.

La speranza è che vada diversamente, perché un irrigidimento delle posizioni porterebbe all’immediato congelamento da parte israeliana di tutte le concessioni, a partire dall’evacuazione dei coloni dalla Striscia di Gaza.


L’eventualità che Israele, un paese democratico, si trovi a discutere di "pace" con un movimento terroristico che vuole la sua distruzione genera - come è logico –molta preoccupazione nella compagine governativa. Allo stato attuale è prematuro tuttavia "prevedere" quali sarebbero gli orientamenti e le decisioni del primo ministro.

Il 53 per cento dei palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza ha un’età inferiore ai 18 anni. L’Intifada ha portato alla chiusura delle scuole e delle università, la disoccupazione tocca punte fino al 50 per cento.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani denuncia: «Il 22 per cento dei bambini palestinesi sotto i 5 anni soffre di denutrizione. In generale il consumo di cibo è sceso del 30 per cento». Dopo quattro anni di Intifada (la seconda), le persone che vivono in povertà sono triplicate e rappresentano oggi il 60 per cento dei palestinesi.
Il compito che attende gli eredi di Arafat è la ricostruzione morale e civile di un popolo stremato. Se il nuovo premier palestinese sarà in grado di tagliare le profonde radici che legano la disperazione al terrorismo,
ma soprattutto se sarà in grado di "tagliare" i finanziamenti al terrorismo


riprenderà a grandi passi la corsa verso la pace e i palestinesi potranno sperare di vedere realizzato il loro sogno di sempre.

Il "tesoro" nascosto di Arafat

Se, invece, prevarranno le diatribe politiche e di clan, se la leadership che emergerà dalle elezioni del 9 gennaio non sarà in grado di fare chiarezza sul bilancio ufficiale dell’Olp, nel quale compaiono "buchi" di 800 milioni di dollari e misteriosi investimenti miliardari in banche arabe, in Lussemburgo e alle Isole Cayman, allora i palestinesi cadranno nell’ennesima trappola.

Arafat aveva sempre gestito direttamente cifre esorbitanti. A cominciare dagli aiuti internazionali e dai fondi per la sicurezza – compresi gli stipendi degli oltre 25.000 uomini della polizia –, fino agli incarichi speciali. Chi verrà legittimato a prendere il suo posto dovrà incominciare a mettere ordine nelle casse di uno Stato che Stato non è, ma che riceve milioni di dollari di aiuti internazionali.
Aiuti che non sono mai stati devoluti, se non in minima parte, al popolo palestinese, mentre hanno arricchito i conti bancari del rais……..Nel frattempo il suo popolo moriva di fame.
Così come dovrà mettere mano alla costruzione di un sistema giudiziario che non esiste, alla rete delle infrastrutture e dei servizi, ai troppi apparati di polizia e di intelligence, al sistema sanitario e a quello scolastico.
Tra le prime questioni che il futuro leader palestinese dovrà affrontare c’è quella di chiarire quale tipo di Stato intende realizzare. Il rischio maggiore è che dopo il 9 gennaio possa nascere un’unità fittizia, di facciata, che prevalga una logica spartitoria la quale amplierebbe ancora di più la distanza tra la società palestinese e le istituzioni.
Ziad Abu Ziad, ministro per Gerusalemme dell’Anp, nonché uno degli esponenti di punta dell’ala riformatrice palestinese, sostiene: «L’occupazione israeliana non può fungere da giustificazione per oscurare le diverse opzioni presenti al nostro interno. Le elezioni del 9 gennaio ci diranno se siamo stati capaci di gettare le basi per fare del futuro Stato palestinese uno Stato di diritto, fondato sul pluralismo politico, su una reale divisione dei poteri, sul rispetto dei diritti umani e civili. Abu Mazen ha l’esperienza e le qualità per arrivare a tutto questo, ma deve essere un "presidente" non un "raìs". Uno statista e non un simbolo inattaccabile.
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