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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
15.11.2004 Igor Man ci spiega che dovremmo rimpiangere Arafat
un terrorista assetato di potere

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 15 novembre 2004
Pagina: 5
Autore: Igor Man
Titolo: «La Palestina è più che mai il crocevia della pace»
A pagina 5 di Famiglia Cristiana del 14 novembre è pubblicato un articolo di Igor Man intitolato "La Palestina è più che mai il crocevia della pace".

Dopo anni di violenza, di stragi terroristiche, di incitamento all’odio si apre per Israele una nuova era. L’uomo che Elie Wisel ha definito "il maggior ostacolo alla pace", che aveva sposato la violenza ed il terrore sia come fine che come mezzo, che mentre condannava verbalmente le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa le incitava a continuare le stragi, colui che si è reso responsabile del dirottamento di aerei, dell’assassinio degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972, del sequestro e dell’uccisione dei bambini della scuola di Maalot, finalmente è morto.
Se di fronte al mistero della morte ci si ferma sempre con rispetto è doveroso non dimenticare nemmeno per un momento chi era Arafat.
In questi giorni abbiamo letto e ascoltato di tutto su questo personaggio: alcuni giornalisti onesti (pochi) lo hanno ritratto per quello che era: un capo terrorista, un uomo corrotto che finanziava il terrorismo con gli aiuti economici provenienti dall’Europa, che ha lasciato il suo popolo nella miseria privandolo anche dell’opportunità di avere un proprio Stato.
La maggior parte della stampa italiana invece ne ha fatto un eroe, un paladino della causa palestinese; esponenti della sinistra lo hanno definito un leader "democratico" che amava il suo popolo.
Evidentemente hanno preferito non vedere le immagini di coloro che, definiti "dissidenti", venivano appesi a testa in giù e linciati nella pubblica piazza. Oppure di coloro che, omossessuali, sono dovuti fuggire in Israele per aver salva la vita. Riportiamo alcuni stralci dell’articolo di Igor Man (appartenente a quest’ultima categoria di giornalisti) che dopo alcune considerazioni, discutibili peraltro, sulla rielezione di Bush e la situazione in Irak scrive:

Per sperare di uscire dall’inferno mesopotamico bisognerà dare un minimo di normalità a quel disgraziato paese (Irak), passato dal terrore sanguinario di Saddam all’incertezza assassina,


dei terroristi islamici


che corre su due binari paralleli: la lentissima ricostruzione e il terrorismo


sempre islamico


Così stando le cose, un risolutivo intervento politico degli USA in Palestina rischia il rinvio a tempo indeterminato. C’è solo da sperare che non salti il coperchio pure nella Palestina che ha perduto il suo condottiero.
Mediocre stratega, ma geniale tattico, Arafat costituiva comunque un punto di riferimento per Israele.
Confortato dalla baraka (l’infula del Dio che comunque ti salva: la fortuna, insomma), stimolato da un camaleontismo intelligente, padrone della cassa,
mentre il suo popolo moriva di fame


Arafat era il simbolo della nazione palestinese, l’incarnazione di quello stato senza territorio chiamato Palestina da sistemarsi teoricamente, nello spazio creato nel 47 dagli Inglesi.


La santificazione continua..


Soprattutto Arafat è stato l’unico a strappare non poche tregue d’armi ad Hamas. C’è fra i tanti suoi aspiranti successori l’uomo chiave capace di dar fiducia ai palestinesi e garanzie all’asse Usa-Israele?.
...Paradossalmente il candidato ideale è uno che sta in prigione: Marwan Barghuti, il Mandela palestinese. Gli israeliani lo hanno scaraventato in galera.
perché il "buon" Barghuti è stato riconosciuto responsabile da un tribunale democratico (non quello di Arafat !) di essere il mandante delle stragi più efferate di questi ultimi anni e, per questo, condannato a cinque ergastoli
ma lo considerano una carta da giocare al momento opportuno.
...Arafat è riuscito a strappare ad Hamas non poche tregue, grazie ad una dialettica serrata capace di frenare l’assolutismo mistico dello sceicco Yassin, leader fondatore di Hamas.
Il più feroce dei capi terroristi che dietro l’immagine del "povero vecchietto paralitico" nascondeva un’anima carica di odio e di desiderio di annientamento dello Stato di Israele.


La carica messianica di Hamas è troppo forte, la sublimazione del martirio affascina giovinetti senza speranza


Chi compie le stragi sono spesso giovani laureati e poliziotti padri di famiglia

Sicchè lo scenario che temiamo è di turbolenza continua, di disperazione, di fanatismo, di mmorte. La Storia è un regista ironico: ora che è svanito Arafat provoca il pianto. Domani, verosimilmente sarà rimpianto. Anche da noi occidentali.


Scrive il vicedirettore del Corriere della Sera, Magdi Allam:

"Arafat è stato un funambolo del potere e un giocoliere della politica. Ha fatto tutto e il contrario di tutto pur di salvaguardare il proprio potere. Ha giocato a più tavoli per strumentalizzare la politica, la guerriglia e il terrorismo senza tuttavia assumersi l’onere dello statista.
….Arafat ha sacrificato l’ideale nazionale dello Stato palestinese alla sua brama di potere personale"

Molti in occidente hanno preso coscienza del ruolo negativo di Arafat, della sua personalità corrotta, del fatto che il premio Nobel ricevuto dopo gli accordi di Oslo non fosse meritato perchè macchiato di sangue innocente.
Ma ci sono altri che lo rimpiangono.
Cosa spinge queste "anime belle" a piangere un capo terrorista?
Ipocrisia? Ingenuità? Oppure malcelato odio per Israele? Forse tutte queste cose insieme.

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