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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
02.08.2004 Il "povero" Arafat e il "muro" che renderebbe più fragile Israele
due articoli dal settimanale cattolico

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 02 agosto 2004
Pagina: 23
Autore: Guglielmo Sasinini - Beppe Del Colle
Titolo: «Tramonto di un mito - Un muro che rende più fragile Israele»
A pagina 24 Famiglia Cristiana del 1° agosto pubblica un articolo di Guglielmo Sasinini intitolato

"Tramonto di un mito".

Quello che sconcerta maggiormente nella lettura dell’articolo sono i toni pietistici, indulgenti, quasi commossi con i quali il giornalista ritrae questo "mito", Yasser Arafat, il leader palestinese corrotto, finanziatore del terrorismo che ha affamato la sua popolazione (mentre sua moglie vive a Parigi nel lusso), che ha rifiutato ogni occasione per dare al suo popolo uno Stato palestinese e che ora:

Ogni giorno, sul calar della sera, Yasser Arafat percorre a passi lenti il perimetro del cortile interno della Muqata, il nome arabo della vecchia fortezza che ospita gli uffici del presidente dell’Autorità palestinese, sbirciando, al di là della cortina di sacchetti di sabbia, ciò che resta della sua Ramallah.
Il rais, che il prossimo 24 agosto compirà 75 anni, è oppresso dagli acciacchi, dal morbo di Parkinson che lo rende tremolante nell’eloquio e incerto nell’incedere, ma soprattutto dalle enormi tensioni che derivano dalla profonda situazione di incertezza che regna nei Territori e che egli stesso ha determinato, con una incredibile sommatoria di scelte sbagliate.
Scelte che hanno portato il suo popolo alla ribellione dinanzi alla suo malgoverno e alla sua corruzione e che hanno causato la morte di centinaia di innocenti israeliani.


l’uomo un tempo ricevuto con tutti gli onori da sovrani e capi di Stato
molti dei quali completamente ciechi (Europa in testa)

ha le tasche della stazzonata giubba grigioverde rigonfie di foglietti scarabocchiati, appunti frettolosi, surrogati di una memoria che svanisce.


Ancora una volta sconcerta l’atteggiamento indulgente/comprensivo della stampa cattolica dinanzi a tiranni e dittatori.

Abu Baker, stimato scrittore palestinese, sul quotidiano Al Ayam scrive: " La logica dietro le azioni degli estremisti è perfettamente comprensibile: essi rifiutano l’idea di due Stati per due popoli, vogliono la rottura dei negoziati, non il dialogo e reciproche concessioni fra le parti. Quello che non è comprensibile è che l’Autorità palestinese non abbia fatto nulla per combattere questa logica.
Ecco l’opinione del giornalista
Le ipotesi possono essere solo due. La prima è che Arafat non ha fatto nulla per combattere il terrorismo perché è lui che manovra i terroristi ed è sempre lui, maestro dell’ambiguità, che si oppone all’idea di due Stati in Terra Santa, avendo coltivato in segreto per tutto il processo di pace il progetto di abbattere, prima o poi, lo Stato ebraico.

La seconda ipotesi, più probabile, è che il rais, che ha sempre anteposto alle teorie politiche il proprio potere assoluto, sia incapace di trasformarsi, come sostiene Shimon Peres, da capo di una rivoluzione a capo di una democrazia.

Di certo a pagare i molti errori di Abu Ammar saranno, ancora una volta, i palestinesi.
Non solo. Sono morti più di 900 civili innocenti israeliani, centinaia sono rimasti feriti, invalidi nel corpo e nello spirito. Ma di questi non si fa menzione!!

A pagina 23 il settimanale cattolico pubblica un articolo di Beppe del Colle intitolato "Un muro che rende più fragile Israele".

L’articolo analizza, in modo abbastanza corretto, le reazioni israeliane al progetto del governo di smantellare gli insediamenti ebraici a Gaza e in Cisgiordania.
Prosegue con un richiamo allo studioso di mistica ebraica Gershom Scholem, al sionismo, all’antisemitismo ed infine si lancia nell’elenco di alcuni libri sull’argomento recentemente pubblicati di uno dei quali, in particolare, non nasconde le sue opinioni personali.
Esaminiamo alcuni brani dell’articolo cominciando dal titolo: "Un muro che rende più fragile Israele".
Non c’è nulla che renda più "fragile" un paese che vedere i suoi figli privati della vita, resi invalidi o fatti a pezzi dalla ferocia del terrorismo.
E non c’è nulla di più giusto per un paese che proteggere i suoi cittadini con ogni mezzo.
Quel muro, non dimentichiamolo, ha salvato la vita a molti israeliani; gli attentati, da quando è iniziata la sua costruzione, sono calati del 90%.
Questa è la forza di Israele non la sua fragilità.
Ancora:

Ciò che il mondo stenta a capire è che il ritorno degli ebrei in Terrasanta sull’ impulso del sionismo, cioè con l’idea di ricostruire dopo duemila anni di Diaspora lo Stato di Israele, non ha mai culturalmente e psicologicamente ammesso fino in fondo il fatto reale che in Palestina vivesse un altro popolo.
Un popolo, quello arabo palestinese, che, guidato da una classe dirigente oltranzista, non voleva gli ebrei, non li ha mai voluti e fin dai primi anni del 900 ha tentato con ogni mezzo (rivolte, attacchi ) di buttarli fuori da quello che diventerà, qualche anno dopo, lo Stato di Israele.

E’ proprio in questa mancata accettazione di una convivenza pacifica che vanno ricercati i semi dell’odio e della violenza che continua ancora oggi a fare stragi di innocenti, grazie anche ad un terrorismo che può contare sull’appoggio e sui finanziamenti di molti paesi arabi.

La spinta all’esodo dall’Europa, a fine ottocento, era venuta dalla persecuzione violenta subita in quei decenni dagli ebrei russi e polacchi.

Israele sta ora costruendo una "barriera di sicurezza" contro il terrorismo nei Territori occupati con la Guerra dei Sei Giorni………..Il muro è stato condannato dall’Alta Corte di Giustizia dell’Aja, cui è seguito un analogo giudizio dell’Assemblea dell’ONU
Il muro di Berlino invece non è mai stato condannato, benché il suo scopo precipuo fosse quello di impedire la fuga verso la libertà e la democrazia e non, come quello di Israele, una protezione contro il terrorismo.


In Italia incalza un’offensiva editoriale: da un lato il libro passionalmente polemico di Fiamma Nirenstein, Gli antisemiti progressisti, in cui si collega l’antisemitismo odierno all’antiamericanismo; dall’altro "A precipizio" di Michel Warshawski, sulla crisi della democrazia in Israele e "parlare con il nemico" in cui cinque studiosi israeliani e altrettanti palestinesi illustrano le ragioni degli uni e degli altri, nello spirito revisionista dei nuovi storici ebrei, sulla scia del capolavoro di Benny Morris, Vittime.

Leggerli, per capire. Se possibile.


Il libro di Fiamma Nirenstein è innanzitutto un libro coraggioso, tutt’altro che polemico,quanto piuttosto aderente a una sgradevole realtà, che molti non vorrebbero venisse descritta. Colpisce perché racconta gli avvenimenti di questi ultimi anni senza mezze misure ed è un libro da leggere perché non usa eufemismi e testimonia di come l’Europa sia pavida nel contrapporsi al sentimento antiebraico (mascherato da antisionismo o da "legittima critica" al governo israeliano) che trapela molto spesso dalle masse pacifiste antiamericane e islamico-terzomondiste.

Circa il libro di Benny Morris, Vittime, scritto nel 1999, riportiamo quanto lo stesso Morris scrive nell’introduzione ad un suo successivo libro intitolato "1948, Israele Palestina tra guerra e pace" che il giornalista evita accuratamente di menzionare.

Morris:

" A partire dal 2000 la mia opinione sull’attuale crisi mediorientale e i suoi protagonisti è cambiata radicalmente. Mi sembra di sentirmi un po’ come quei viaggiatori occidentali che, nel 1956, furono bruscamente svegliati dal rumore dei cingoli dei carri armati sovietici che occupavano Budapest.
Nel 1993, quando iniziai a lavorare a VITTIME (un saggio storico revisionista sul conflitto arabo-sionista dal 1881 ad oggi), nutrivo un cauto ottimismo sulle prospettive di pace in Medio Oriente. ……
Ma, completata la stesura del libro, il mio limitato ottimismo aveva ormai ceduto il passo a seri dubbi, e nel giro di un anno si sarebbe poi capovolto in un pessimismo assoluto.


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