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La Stampa Rassegna Stampa
15.07.2023 La farsa della Wagner
Commento di Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 15 luglio 2023
Pagina: 19
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «La farsa dei mercenari in trappola il golpe sta facendo tremare lo Zar»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/07/2023, a pag.19 con il titolo "La farsa dei mercenari in trappola il golpe sta facendo tremare lo Zar" il commento di Anna Zafesova.

Anna Zafesova | ISPI
Anna Zafesova

Wagner 'does not exist': Why Putin claims a rift in the mercenary group |  CNN

«La compagnia militare privata Wagner non esiste», parola di Vladimir Putin, e a questo punto non si capisce definitivamente chi abbia incontrato al Cremlino, se i comandanti del suo esercito molto privato o una banda di fantasmi, degli olandesi volanti, tanto per restare in tema wagneriano. Quello che si capisce è che gli fanno molta paura, e perfino il fidato Andrey Kolesnikov, l'inviato del quotidiano Kommersant «embedded» con il Cremlino, che gode di fama del giornalista al quale il presidente russo dice quello che non confesserebbe mai a nessun altro, si permette di commentare che «questa storia ha ribaltato Putin». Una reazione comprensibile, dopo quasi un quarto di secolo trascorso a costruire una «verticale di potere» inossidabile, a dividere per imperare, a schiacciare qualunque dissenso, per poi ritrovarsi una rivolta armata proprio di quell'armata dotata di tutti i privilegi in cambio dell'assoluta fedeltà. È dal 24 giugno, dalla marcia su Mosca di Yevgeny Prigozhin, che al Cremlino è iniziata una nuova era cronologica, e ogni tentativo di rimediare a questo «ribaltamento» per far finta che non sia accaduto nulla di grave non fa che allargare l'abisso. Prima Putin ha lanciato accuse di «tradimento», promettendo di punire chi gli aveva inflitto una «coltellata alla schiena», per poi incontrare i traditori, e apparentemente fargli delle proposte più che lanciare degli ultimatum. Poi si è scoperto che il «cuoco di Putin» mandato in esilio in Belarus era a piede libero a Pietroburgo, dove si faceva ridare dalla magistratura i lingotti d'oro e le armi sequestrate. Il rabbioso sfogo di Putin che ha snocciolato davanti ai suoi stessi militari i conti della Wagner, miliardi e miliardi (non di rubli) che ai suoi occhi dovevano dare la misura del tradimento degli ingrati, ma alle orecchie degli ufficiali del ministero della Difesa russo probabilmente sono suonati più come un'offesa. Ora, il tentativo di spiegare che i Wagner «non esistono» appare un ennesimo scivolone mediatico: i Wagner esistono, e tutto il mondo si è accorto della loro esistenza. Il problema del capo del Cremlino è di essere finito nella sua stessa trappola: dopo aver basato il suo diritto a governare sulla sua indiscussa posizione di leader unico e massimo, il monopolista del ricorso alla violenza in Russia, si è reso ricattabile proprio dagli uomini grazie ai quali esercitava questo diritto. Dal suo punto di vista, di un uomo ossessionato dalla fedeltà e dal tradimento, può suonare come un oltraggio, un po' come se la sua pistola avesse deciso di sparargli. Resta il fatto che non può fare a meno dei Wagner. Non in Africa, dove la potenza militare dell'orchestra, insieme alla sua spregiudicatezza in certe operazioni militar-commerciali, difficilmente può venire sostituita dalle truppe regolari. Non in Siria, probabilmente. Non in Ucraina, sicuramente, dove i pochi e scarsi avanzamenti sul campo sono stati ottenuti dalla carne da macello di Prigozhin, probabilmente uno dei motivi per cui i generali hanno voluto fare fuori un concorrente troppo abile. Ora, Putin ha bisogno di liberarsi del suo cuoco in Russia, per ripristinare quella legge che lo vuole il re incontrastato della giungla. Nel momento in cui non ci riesce, mette in discussione il suo diritto del capo. Quando un presidente che non si degnava di incontrare nemmeno gli emissari della opposizione liberale, perché uno zar non si abbassa ad ascoltare chi osa criticarlo, riceve al Cremlino i golpisti che l'hanno fatto tremare, il segnale che manda è evidente: non è Prigozhin ad avere paura del presidente, semmai il contrario.

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