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La Stampa Rassegna Stampa
19.12.2022 Usa, continuano i vecchi errori
Intervista di Alberto Simoni

Testata: La Stampa
Data: 19 dicembre 2022
Pagina: 15
Autore: Alberto Simoni
Titolo: «'Il regime degli ayatollah è in crisi ma i giovani non lo butteranno giù'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/12/2022, a pag.15 con il titolo "Il regime degli ayatollah è in crisi ma i giovani non lo butteranno giù" l'intervista di Alberto Simoni.

Alberto Simoni - US CORRESPONDENT - La Stampa | LinkedIn
Alberto Simoni

Patrick Clawson on the Iran Nuclear Deal | C-SPAN.org
Patrick Clawson

«Il regime iraniano non cadrà. Non immediatamente». Patrick Clawson è uno dei più profondi conoscitori delle dinamiche israeliane, già consulente dei governi Usa. Le sue analisi sono spesso ascoltate al Congresso, ed è senior fellow al Washington Institute dove dirige il Viterbi Program on Iran and US Policy.

Professor Clawson, cosa sta accadendo in Iran al di là delle drammatiche immagini di esecuzioni e arresti? «Da tempo l'entusiasmo per la Repubblica islamica è in declino. Tuttavia, ci sono moltissime persone che tollerano il regime poiché sono consapevoli che il cambiamento aprirebbe più incognite che certezze».

Perché? «Quanto accaduto in Siria, Libia e Yemen è ancora fresco, il timore dell'instabilità è diffuso».

Eppure, le manifestazioni sono estese … «Merito della Gen. Z. Non sono molti, i giovani della Gen. Z. La società iraniana sta invecchiando. L'età media è la più alta di tutto il Medio Oriente. Comunque, questi ragazzi non tollerano le restrizioni imposte dal regime. Vogliono una vita che rispecchi le loro ambizioni e i loro sogni. E questo è quanto più spaventa l'ayatollah Khamenei».

Cosa in particolare teme il regime? «Da tempo il Leader supremo è preoccupato dall'invasione dei simboli della cultura occidentale, teme che una volta radicatisi possano travolgere le istituzioni della Repubblica islamica. Come successe come l'Est Europa ai tempi dell'Urss. Ai tempi della sorprendente vittoria del moderato Khatami jeans e rossetti entrarono nel Paese e fra le donne iraniane truccarsi era più diffuso che negli States».

Dove finirà questa rivolta? «Non nel crollo del regime, non ora almeno». Quanto la società civile sostiene la rivolta? «Partiamo con il dire che il regime ha moltiplicato gli sforzi dopo l'Onda verde del 2009 per garantire l'ingresso nei gangli statali di una sorta di purezza ideologica. Ha portato dentro il potere persone di comprovata fede rivoluzionaria. In pratica chi è stato reclutato 15 anni fa ha una visione ideologica molto forte, certamente più del popolo e più dei funzionari di prima».

Quindi c'è una generazione di leader, nuova e più giovane a fronteggiare la piazza di giovanissimi? «Per alcuni aspetti è così. Chi ha fatto la rivoluzione del '79 è poco incline a fare concessioni, non vuole diluire la forza e l'essenza della Repubblica. La generazione di mezzo, quella che ha respirato il clima di Khatami, è più disposta ad alcune concessioni. Lo si è visto anche durante i negoziati sul nucleare, i falchi non volevano cedere poiché a loro sembrava di sgretolare il muro della rivoluzione. Poi però hanno prevalso i cinquantenni. Ma ora il nodo è che la terza generazione, quella reclutata 15 anni fa, è dura e profondamente intrisa di valori rivoluzionari».

Chi appoggia la Gen. Z? C'è una sorta di "classe media" che si schiera con loro e li sostiene? «La classe media è incarnata dalle persone di mezza età. Sono i genitori di quelli che sfidano il regime. E hanno molti dubbi. "Che piani avete? Come pensate di ottenere i cambiamenti?" Sono le domande che questa fascia della società rivolge a chi manifesta».

Qual è la risposta? «I giovani hanno rigettato i principi della Repubblica islamica, non sono interessati a quel che i loro padri dicono, non si curano delle difficoltà che incontreranno se porteranno avanti la lotta per il cambiamento. Alla richiesta di imparare a convivere il meglio possibile con il regime, la Gen. Z risponde: "Al diavolo"».

Il mondo osserva, fa appelli, importanti intellettuali prendono posizione. A Washington si respira prudenza. Come legge le mosse dell'Amministrazione Biden? «Molte delle persone di questa amministrazione erano in posti di rilievo con Barack Obama nel 2009, quando le proteste seguite alle elezioni presidenziali furono stroncate. E hanno un senso di incompletezza innescato dall'idea che allora si poteva fare di più. Oggi l'attitudine è diversa, Biden e i suoi parlano di supporto a questi giovani coraggiosi fino a quando servirà».

E come si traduce questo sostegno? «Nessuno ha avuto una buona idea. Sempre che non si consideri tale, e io non la considero, l'ipotesi di garantire l'accesso al Web tramite la rete Starlink di Musk. Ma il fatto è che Washington non spinge per il regime change e pur sostenendo i giovani è ancora legata all'idea che tocca a loro gestire il tutto».

C'è possibilità di una svolta? «Solo con qualcosa di imprevisto e spettacolare. È servita un'invasione perché gli Stati Uniti sostenessero in maniera massiccia l'Ucraina. Ora il sentimento negli Usa è che il regime è terribile, ma nessuno alzerà un dito per fare qualcosa».

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