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La Stampa Rassegna Stampa
16.12.2022 'Basta Corano, fate musica'
Commento di Fabiana Magrì

Testata: La Stampa
Data: 16 dicembre 2022
Pagina: 16
Autore: Fabiana Magrì
Titolo: «'Basta Corano, fate musica'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/12/2022, a pag.16, con il titolo 'Basta Corano, fate musica' il commento di Fabiana Magrì.

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Fabiana Magrì

Iran, l'ultima volontà di Majidreza Rahnavard:
Majidreza Rahnavard

Due uomini delle forze di sicurezza, con i volti nascosti da passamontagna neri, lo trattengono per le braccia mentre un giornalista gli avvicina un microfono e gli domanda «che cosa hai scritto nel tuo testamento?». Majidreza Rahnavard, 23 anni, gli occhi bendati, un attimo prima di essere impiccato, appare tranquillo e determinato mentre risponde con le sue ultime parole: «Non voglio che preghiate né che leggiate il Corano sulla mia tomba. Fate festa e suonate musica allegra». Il video è stato mandato in onda da una tv locale della provincia di Khorasan e subito dopo ha avuto eco globale sui social media. Nelle sue parole e nel suo coraggio «si riconoscono i desideri dei tanti giovani iraniani che vivono sotto la tirannia teocratica» degli Ayatollah, ha commentato su Twitter Karim Sadjadpour, l'analista politico iraniano-americano del think tank Carnegie Endowment. «La violenza del governo spaventa ancora la generazione dei genitori ma la soglia della paura nei ragazzi è già stata abbondantemente superata», commenta Thamar Eilam Gindin, esperta israeliana di Iran e analista per il Centro Ezri dell'Università di Haifa per gli studi sull'Iran e sul Golfo Persico. Che sottolinea alcuni dettagli nelle parole scelte dal giovane condannato: «Majidreza, nel video, non ha usato la parola "tomba" ma "mausoleo", "mazar" in farsi. Quindi un luogo destinato a diventare meta di pellegrinaggio. Sapeva - ne deduce la studiosa di lingua persiana - di essere destinato a diventare uno "shahid" (un martire) di questa rivoluzione». Anche il rifiuto delle preghiere e del Corano in punto di morte, per Eilam Gindin, sono un'indicazione forte: «I manifestanti anti regime dicono di non volere l'Islam, di non voler essere considerati musulmani. Usano l'espressione "bid-in", senza religione». Per i sostenitori della Repubblica Islamica, è la dimostrazione che il ragazzo non fosse un buon musulmano. Un braccio di ferro fra interpretazioni di gesti e parole che fa parte dello scontro mediatico tra i due fronti. Eilam Gindin riflette sulla scelta anche di altri termini. «La gente - spiega - chiama queste proteste "enghelab", rivoluzione. Il governo invece usa la parola "eghteshashat", disordini o agitazioni, per ridimensionarne l'importanza e quindi l'impatto». Ma ogni giorno e ogni notte, da Teheran fino alle località più periferiche del Paese, anche quelle che tradizionalmente sono più conservatrici, le proteste continuano. Dopo le prime due esecuzioni giudiziarie, la prima di Mohsen Shekari e quella pubblica di Rahnavard, i manifestanti non si sono fatti intimorire. «Al contrario, si sono infuriati. E la rabbia porta all'azione», commenta Eilam Gindin. Il rischio è un'escalation della violenza, da entrambe le parti. Il governo può certamente contare su un maggiore dispiegamento di forza. «E non l'ha nemmeno ancora espressa tutta», nota l'analista israeliana. «Ma le proteste stanno evolvendo in una sorta di guerra civile e i manifestanti - sostiene - hanno più potere». Un potere che viene anche dalla legittimità riconosciuta a livello internazionale, a fronte di un regime che ha perso credibilità agli occhi del popolo e dei governi occidentali. «C'è il sentore che le autorità abbiano deciso di sospendere temporaneamente le esecuzioni», riferisce l'analista israeliana. «Se fosse vero - commenta -, chi sostiene il regime lo farebbe passare per un grande gesto di umanità. Ma è anche un segnale di debolezza da parte di chi deve uscire da un'impasse e non sa come fare». Il giorno dopo la risoluzione approvata dall'Onu per «rimuovere con effetto immediato l'Iran dalla Commissione sullo status delle donne» Teheran condanna la decisione e la liquida come «illegale». «C'è grande aspettativa nel movimento anti regime perché i Paesi europei e occidentali richiamino gli ambasciatori iraniani e li espellano», sostiene Eilam Gindin. «Le condanne restano parole. In Iran c'è bisogno di azione. Non dico che l'Occidente dovrebbe intervenire con aiuti militari, ma le sanzioni economiche non bastano. È tempo - dice - di un deciso isolamento diplomatico».

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