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La Stampa Rassegna Stampa
31.08.2022 La morte di Michail Gorbaciov
Commenti di Elena Loewenthal, Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 31 agosto 2022
Pagina: 18
Autore: Elena Loewenthal - Anna Zafesova
Titolo: «Gorbaciov, l'uomo della Perestroijka - Quel suo sogno di pace tradito dalla Russia di Putin»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 31/08/2022, a pag.18, con il titolo 'Gorbaciov, l'uomo della Perestroijka', l'analisi di Elena Loewenthal; a pag. 19, con il titolo "Quel suo sogno di pace tradito dalla Russia di Putin", il commento di Anna Zafesova.

Ecco gli articoli:

Mikhail Gorbaciov è morto- Corriere.it
Michail Gorbaciov

Elena Loewenthal: "Gorbaciov, l'uomo della Perestroijka"

È stato l'ultimo segretario del Partito Comunista ma anche colui che ha azzerato il comunismo là dove esso era stato più reale che mai. Se, come ha detto il grande scrittore israeliano Amos Oz, per cambiare il mondo bisogna diventare – o essere – dei traditori, allora Michail Gorbaciov lo è stato più di tutti, nel corso almeno degli ultimi ottant'anni. Con lui se ne va infatti uno di quegli uomini che hanno dato alla storia, a quella con la s maiuscola anche se a volte non se la merita, una faccia diversa, e per sempre. Fa effetto, infatti, leggere nella sua biografia , che alla voce "suo successore" la casella viene riempita da un "carica abolita", perché Eltsin, che viene dopo di lui nel 1991, si chiama ormai "presidente della Federazione Russa" e la parola "comunista" è derubricata. Forse è ancora presto per fare un bilancio di quel che la storia porterà con sé in quel mondo in seguito alla rivoluzione proclamata e portata avanti da quest'uomo: certo le parole "Perestrojka" e "Glasnost", cioè "riforme" e "trasparenza" allora avevano lasciato il mondo con gli occhi sgranati e la bocca aperta, perché queste parole significavano che il più grande Paese al mondo stava attraversando una rivoluzione non meno drastica e traumatica di quella vissuta neanche un secolo prima, con la caduta dell'impero zarista. E questa nuova rivoluzione russa portava la sigla di un solo uomo, un solo front-man che era lui, che la propugnò e la portò avanti con una risolutezza che pareva da un altro mondo. Chissà che cosa direbbe oggi, Gorbaciov, di fronte alle rinnovate manie di grandezza imperialista di cui il suo Paese dà prova, di fronte a una guerra così insensata e strascicata. Di fronte a un regime che non ha più nulla della Glasnost e della Perestrojka, che non assomiglia neanche al comunismo reale in cui la Russia è rimasta attanagliata per più di settant'anni, che sogna fors'anche nostalgie dell'Impero ma senza fasti e con uno squallore decadente. La Russia di Putin non è certo il coronamento di quel sogno di riconciliazione che Gorbaciov ha covato per gran parte della sua carriera politica, e che nel 1990 gli procurò il Premio Nobel per la Pace. Persino la sobrietà e trasparenza della sua vita privata, con accanto la sorridente Raissa, sono così lontane dall'alone di machismo e mistero di cui la leadership odierna del paese deve ammantarsi, con schiere di amanti e pose eroiche a torso nudo. Certo, Gorbaciov è sempre stato più amato all'estero che nel suo Paese, dove la diffidenza nei suoi confronti è stata tenace. Ma quanto la sua lunga carriera politica, i viaggi per il mondo in cerca di un dialogo che fosse costruttivo e innovativo, le riflessioni sul passato e il futuro del regime che guidava, appaiono oggi diverse dalle strategie balzane, tanto machiavelliche quanto goffe, di cui la Russia dà prova in questi tempi. Chissà che cosa direbbe oggi, Gorbaciov, di tutto questo e tanto altro. Lui che una volta dimessosi da Presidente dell'Urss (chissà quanti millenial sono in grado di decifrare questa sigla…) non uscì dalla scena politica e diplomatica internazionale ma ancora si dedicò alla Fondazione non governativa di studi politici ed economici che portava il suo nome, ad attività legate al Women's World Award di cui era presidente, alla difesa dell'ambiente. Tutti contesti che negli Anni 90 non sembravano così urgenti e oggi invece lo sono eccome. Se per cambiare il mondo bisogna diventare dei traditori, allora Michail Gorbaciov lo è stato fino in fondo, con una coerenza mirabile, una tenacia mai sopita, un senso della missione politica capace di guardare sempre un po' più in là, persino oltre gli sconfinati orizzonti della grande Russia.

Anna Zafesova: "Quel suo sogno di pace tradito dalla Russia di Putin"

C'è qualcosa di simbolico nel fatto che Mikhail Gorbaciov sia morto proprio mentre la Russia emersa da quell'impero sovietico che lui aveva cercato di salvare pacificamente stia naufragando nel sangue e nella vergogna. Chi lo ha frequentato negli ultimi mesi diceva che a 91 anni restava lucido e sapeva della guerra. Era quello l'incubo al quale aveva sacrificato la sua carriera, accettando a soli 60 anni di diventare un pensionato, dopo essere stato uno degli uomini più potenti e popolari al mondo. Per lui, come per Vladimir Putin, la fine dell'Unione Sovietica era la tragedia più grande del '900, ma a differenza dell'attuale leader russo il primo e ultimo presidente sovietico aveva scelto la pace come priorità della sua missione politica e umana, e probabilmente non ci poteva essere per lui una punizione peggiore che morire sapendo che il suo Paese stava bombardando l'Ucraina, il Paese dal quale veniva sua madre e del quale cantava con una bella voce intonata le canzoni popolari quando era di buon umore. Mikhail Sergeevich Gorbaciov - figlio di contadini arrestati da Stalin, studente moscovita idealista nel disgelo di Krusciov, funzionario del comunismo brezhneviano, il demolitore del Muro di Berlino, il Nobel per la pace premiato per il disarmo nucleare - è morto nel momento in cui la storia russa ha compiuto una giravolta a 180 gradi, e tutto (o quasi) quello che lui aveva conquistato o costruito è stato distrutto e rinnegato. Era entrato nella Storia già trent'anni prima di morire, eppure è morto sconfitto. Se la Russia di Putin è arrivata a pensare che la perestroika gorbacioviana fosse stata un tragico errore, e si è posta come obiettivo quello di tentare di riportare l'orologio della storia al 1984, è colpa probabilmente anche dell'idealismo di Mikhail Sergeevich. Politico di magistrale bravura nella retorica e nell'intrigo, era però anche uomo di compromessi e mezze misure, che aveva sottovalutato il pericolo dei conservatori comunisti che cercava di tenere a bada mentre aveva sopravvalutato la lealtà dei suoi alleati riformisti. Aveva cambiato il mondo alla cieca, quasi d'istinto, mosso spesso più da un senso morale che da una consapevolezza chiara: era un uomo sovietico, che era arrivato a tastoni alla necessità di distruggere il sistema in cui era nato, ma senza riuscire ad accettarlo. Non l'avrebbe mai ammesso, ma era un rivoluzionario: nel modo in cui sceglieva la libertà, nel modo in cui aborriva la violenza anche quando vi rimaneva immischiato, ma anche nel modo in cui aveva portato nel mondo anaffettivo del Cremlino l'amore dichiarato per la sua Raissa. Aveva liberato dal Gulag i dissidenti. Aveva dato la libertà di parlare e creare agli intellettuali. Aveva fatto finire la guerra fredda, firmando con un presidente americano anticomunista come Ronald Reagan accordi sul disarmo nucleare che oggi sembrano appartenere a un mondo che abbiamo soltanto sognato. Aveva lasciato andare i Paesi dell'Europa dell'Est, accettando che gli ex satelliti sovietici tornassero in Europa, un "crimine" che gli ispiratori del putinismo ancora non riescono a perdonargli. Aveva portato a Mosca quello che nessuno aveva mai visto: un politico che sorrideva, discuteva, che andava tra la gente e parlava a braccio. Un politico che sbagliava e ammetteva i suoi errori. Un leader che sapeva chiedere scusa e chinare il capo. Un potente che aveva invocato la fine di un mondo governato dalla forza. Uno statista che si era inserito da pari in un mondo di grandi leader occidentali, e che è stato amato all'estero proprio per la qualità che più è stata odiata in patria: il rifiuto della violenza, la visione che il potere politico si conquista e si negozia e non si impone.

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