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La Stampa Rassegna Stampa
21.08.2022 Quei soldati che si ribellano: 'Stanchi di morire per Putin'
Commento di Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 21 agosto 2022
Pagina: 15
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «Quei soldati che si ribellano: 'Stanchi di morire per Putin'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/08/2022, a pag. 15, con il titolo "Quei soldati che si ribellano: 'Stanchi di morire per Putin' ", l'analisi di Anna Zafesova.

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Anna Zafesova

Ukraine targets Russian soldiers threatening nuclear power plant

«Io, militare del reparto 51460, appuntato della guardia Frolkin Daniil Andreevich, confesso tutti i crimini che ho commesso ad Andreevka, di aver fucilato e derubato civili, avergli sequestrato telefoni, e dire che il nostro comando non considera un c... i nostri soldati, tutta la fanteria che combatte in prima linea». La confessione fatta da un soldato russo al giornale online Istories - con nome, cognome, grado e volto scoperto - sembrava incredibile. Ma pochi giorni dopo, il pentimento dell'appuntato Frolkin ha aperto la porta a una valanga: sarebbero almeno 700 i soldati della sua brigata che hanno cercato di dimettersi e si sono rifiutati di tornare a combattere in Ucraina, e molti di loro hanno confermato ai giornalisti il racconto, aggiungendo altri particolari agghiaccianti. «Almeno l'80% dei nostri ragazzi vogliono licenziarsi, io ho già scritto diversi rapporti di dimissioni, ma il comando mi manda a quel paese», ha rivelato a Istories uno dei commilitoni di Frolkin. Centinaia di soldati non vengono rimandati a casa nonostante la richiesta di dimissioni ufficiale: alcuni vengono minacciati di tribunale, altri imprigionati e picchiati, altri ancora rispediti con l'inganno al fronte, da dove «scappare è impossibile». Che il Cremlino avesse grossi problemi a trovare volontari per la sua guerra in Ucraina non era una novità: le testimonianze sulla campagna di reclutamento condotte nelle carceri della Federazione Russa sono ormai decine, in cambio di una grazia dopo sei mesi. Vladimir Putin non ha osato proclamare una mobilitazione generale - le decine di commissariati militari incendiati in diverse città russe sono stati un segnale di quello che i riservisti pensavano della prospettiva di finire in trincea - e l'ex Armata Rossa sta cercando nuovi soldati nelle scuole, nelle piazze e nelle fabbriche. Ma gli incentivi non bastano più a colmare le perdite: l'esercito russo non riesce ad avanzare da più di un mese, e Frolkin spiega la sua confessione con il desiderio di «salvare i ragazzi sopravvissuti, dopo quello che ho raccontato non li manderanno più a combattere a Kherson». I commilitoni dell'appuntato non sono soldati qualunque: servono nella 64ª brigata di fanteria motorizzata, quella di stanza a Bucha, quella decorata da Putin appositamente per mostrare che i suoi militari non dovevano temere accuse di crimini di guerra. Frolkin - contattato dai giornalisti dopo essere stato identificato dai familiari dei civili uccisi ad Andreevka, nella regione di Kyiv - confessa di aver fucilato un solo ucraino, che ha preso per una spia, anche se dice di non ricordare bene l'esecuzione. Ma insieme ai suoi commilitoni indica nomi e cognomi degli ufficiali che «avevano dato ordine di sparare ai civili», di «uccidere tutti quelli che avevano un telefonino», di «rubare nelle case» e «riempire camion interi di elettrodomestici e mobili». Un modo di scaricare responsabilità su chi impartiva gli ordini, ma anche di guadagnarsi possibili attenuanti in una guerra che sempre più russi temono di poter perdere ingloriosamente. E di fornire testimonianze che possono rivelarsi preziose per il tribunale internazionale dell'Aja. È la rivolta degli "orchi", come li chiamano gli ucraini, che ancora prima di sentirsi colpevoli si considerano vittime dei comandanti. Secondo un altro soldato, Sergey, intervistato anonimamente da Istories, non più di un terzo dei suoi compagni «hanno realizzato che siamo dei fascisti invasori, che questa guerra è ingiusta». Gli altri si sentono traditi e sacrificati: Pavel Filatyev, un parà di Volgograd, ha pubblicato in Rete un memoriale di 100 pagine, "Zov", dove racconta un'armata allo sbando, priva di tutto - munizioni, cibo, uniformi, equipaggiamento, benzina, medicinali e mappe aggiornate - e lanciata all'assalto su vecchi camion senza freni. Filatiev - che subito dopo la pubblicazione è fuggito dalla Russia - dipinge del "secondo esercito al mondo" un ritratto devastante di inefficienza, miseria e violenza. E bugie: anche i ragazzi della 64ª confermano che i loro comandanti mandavano "in alto" rapporti straordinariamente gonfiati, nei quali un carrarmato nemico bruciato veniva fotografato da angolazioni diverse per diventare cinque mezzi distrutti. Una guerra a colpi di fake, nella classica tradizione russa del villaggio Potiomkin, e se queste erano le bugie a livello di trincea, resta solo da chiedersi di quanto venivano moltiplicati i "successi" russi una volta che arrivavano sulla scrivania di Putin.

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