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La Stampa Rassegna Stampa
07.08.2022 Verso una nuova guerra di Gaza?
Analisi di Stefano Stefanini

Testata: La Stampa
Data: 07 agosto 2022
Pagina: 15
Autore: Stefano Stefanini
Titolo: «Il conflitto permanente che ora rischia di esplodere»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/08/2022, a pag. 15, con il titolo "Il conflitto permanente che ora rischia di esplodere", il commento di Stefano Stefanini.

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Stefano Stefanini

Monde - Gaza : le Hamas annonce un « accord » pour mettre fin à «  l'escalade » avec Israël - Le Télégramme
Gaza City

A Gaza è di nuovo guerra. Israele aveva eliminato Taysir al Jaabari capo della Jihad islamica; la Jihad ha risposto con centinaia di razzi, intercettati o andati a vuoto; Israele ha continuato le operazioni «preventive» colpendo bersagli nella Striscia. Nel mezzo ci sono un paio di milioni di civili che non hanno voce in capitolo. Dopo il ritiro israeliano da Gaza del 2005, Hamas vi ha preso il potere spodestando l'Autorità palestinese e ne ha fatto una base per il conflitto permanente con Israele – nonché, di fatto, una prigione di 365 chilometri quadrati per gli abitanti. Anche il confine egiziano è rigidamente chiuso. I tunnel sono stati tappati. Non si entra e non si esce se non col contagocce. Lo scoppio di ostilità potrebbe fermarsi qui o ampliarsi. Dipende molto da cosa farà Hamas, che controlla Gaza. Fino a ieri non era intervenuta. La Jihad è un movimento rivale, ma Israele è il nemico comune. Se Hamas rimane fuori – gli israeliani gli hanno subito fatto sapere che l'intervento non li riguardava e non sarebbe stata colpito – non sarà certo per improvviso desiderio di trattativa con Gerusalemme ma solo perché si sta leccando le ferite della guerra di maggio e aspetta un'occasione migliore. Magari non gli dispiace di vedere Jihad indebolita. La guerra con Israele riprenderà. Quando «Sorgere dell'alba» finirà non sorgerà alcuna pace, sarà soltanto un'interruzione della guerra. A Hamas e a Jihad islamica può anche star bene. Fa parte della loro strategia che non prevede prigionieri ma l'annientamento di Israele come Stato indipendente. Sono considerati entrambi movimenti terroristi. Hamas ha anche spessore politico – gli stessi israeliani lo riconoscono – ma rimane sul fronte negazionista. A Israele evidentemente non sta bene, ma la difesa antimissile «Iron Dome» funziona, ogni casa ha un rifugio, la gente sa quanto tempo ha dal momento in cui squilla l'allarme – da una manciata di secondi nelle prossimità di Gaza a un paio di minuti a Tel Aviv. Israele ci ha fatto il callo. Sul terrorismo non fa concessioni: al Jaabari dirigeva gli attacchi di razzi sulle città israeliane e se ne vantava. Appena è stato possibile inquadrarlo nel mirino, l'aviazione dell'Idf lo ha colpito. Regole non scritte del conflitto in corso. Non c'è tregua in vista, per non parlare di pace, perché entrambe le parti accettano questa situazione a tempo indeterminato. Sul versante gazano, Hamas ha bisogno dello stato di guerra contro Israele. È quello che lo distingue dall'Autorità palestinese che pur nello stallo prolungato del processo di pace mantiene un rapporto di sfiduciata cooperazione con Israele nella complessa geometria della West Bank – tre zone, A, B,C, di cui solo la A, circa il 20% è sotto pieno controllo palestinese, la C, pari 60%, è sotto amministrazione militare israeliana, la B è mista. Poco importa a Hamas che i palestinesi della West Bank vivano molto meglio degli abitanti di Gaza. Chi scrive è stato recentemente a Ramallah, capitale della West Bank, che brulicava di traffico, Suv, negozi, ristoranti, nuovi edifici. Oggi a Gaza, non c'è elettricità perché i camion col combustibile per la centrale di Gaza sono bloccati al valico di Kerem Shalom a causa della guerra. Il discreto tenore di vita dei palestinesi della West Bank non elimina affatto il problema di fondo israelo-palestinese. Per quanti enormi progressi Gerusalemme abbia fatto nei rapporti con Paesi arabi che ormai lo accettano come attore regionale dello schieramento sunnita, dal Marocco al Golfo, l'irrisolto nodo palestinese rimane all'interno di Israele. Non può essere cacciato sotto il tappeto. Netanyahu aveva la luce verde di Trump per l'annessione. Non l'ha fatta perché creerebbe più problemi di quanti ne risolva, essenzialmente uno Stato con una grossa fetta di popolazione araba. Tuttavia, i palestinesi della West Bank e i cittadini arabi di Gerusalemme (lo status è diverso) hanno raggiunto un tenore di vita accettabile compresa la libertà di movimento. Non pochi giovani studiano all'estero. Non così a Gaza. Nessuno la voleva. Quando Israele restituì Sinai all'Egitto, il Cairo disse: «Niente Gaza». Doveva essere la prima terra palestinese libera. Nel 2005 Israele evacuò di forza i coloni. La Banca Mondiale investì nel rilevarne le serre. Poi Hamas prese il potere e trasformò la Striscia in una testa di ponte contro Israele di due milioni di abitanti. Volenti alcuni, nolenti la grande maggioranza.

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