sabato 20 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
24.02.2022 Il dramma delle spose bambine esiste anche in Italia
Commento di Karima Moual

Testata: La Stampa
Data: 24 febbraio 2022
Pagina: 19
Autore: Karima Moual
Titolo: «Il coraggio di Farah»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/02/2022, a pag. 19, con il titolo "Il coraggio di Farah", l'analisi di Karima Moual.

Immagine correlata
Karima Moual

Women in Islam: Behind the veil and in front of it | World | Breaking news  and perspectives from around the globe | DW | 10.01.2016

Mancavano pochi minuti al decollo di un volo che avrebbe fatto sparire dall'Italia l'ennesima ragazza, colpevole di non voler accettare un matrimonio combinato dai suoi genitori; ancora peggio, Farah (nome di fantasia), 19 anni, si era permessa di innamorarsi di un ragazzo scelto e conosciuto nel Paese che l'ha accolta. Penserai mica di essere italiana? Le avranno detto i genitori. Maltrattamenti, violenze, sequestro fino all'acquisto di un biglietto di sola andata verso il Bangladesh. La sua storia d'amore con un ragazzo indiano, conosciuto nella stessa pizzeria dove lei serviva ai tavoli e lui faceva il pizzaiolo, non è proprio andata giù alla famiglia, perché Farah si era messa in testa di stare con un ragazzo che era di un Paese e di una religione diversa dalla loro. E pensare che il Bangladesh confina con l'India, figuriamoci se si fosse innamorata di un ragazzo italiano e cristiano. Ad attenderla c'era infatti un destino già scritto e prestabilito, come quello di milioni di bambine, ragazze o giovani donne, obbligate a sottomettersi a culture e tradizioni misogine e patriarcali. Perché sulla questione delle donne e della loro libertà, c'è un dato che bisogna tenere sempre a mente: ancora oggi, per alcune "culture" presenti in famiglie straniere anche nel nostro Paese, le donne da quando nascono fino a quando muoiono sono proprietà del maschio, prima del padre e poi del futuro marito. Solo nel Lazio, ogni anno si contano 500 spose promesse, ragazze straniere che spariscono all'improvviso dalle scuole o dai posti di lavoro. Giovani che crescono, sognano e pensano di aver toccato la loro emancipazione ma che poi vengono mutilate dei loro sogni senza che noi riusciamo a intercettarle e salvarle prima che diventino fantasmi. Questa volta però, il volo che avrebbe portato come un pacco Farah in Bangladesh è decollato con i genitori, ma senza di lei, regalandoci finalmente una storia a lieto fine e la speranza che la ribellione delle ragazze che vivono in Italia — provenienti da culture dove la sottomissione del sesso femminile è la regola — stia avanzando a piccoli passi. Da Pakistan, Bangladesh, India, Marocco o Egitto, sono sempre più le ragazze che si ribellano pronunciando non solo la parola «no», arrivando a fidarsi delle autorità italiane con denunce contro i padri padroni, genitori, zii o fratelli violenti. L'amore poi, è la parola chiave che fa scattare la miccia, e in alcuni casi il fidanzato diventa la spalla e il complice per liberare dalle catene queste piccole eroine, coraggiose per la scelta che si trovano ad affrontare perché sanno che il passo del rifiuto e della denuncia è una ferita così profonda che le relegherebbe nella solitudine, allontanate dalla famiglia e dalla comunità stessa. Era stato infatti proprio il fidanzato, indiano di 25 anni, dopo un'aggressione da parte dei familiari di Farah, a presentare la prima denuncia ai carabinieri raccontando quello che stava avvenendo dentro le mura di una casa alla periferia della Magliana di un'anonima famiglia bengalese come tante. Quando i carabinieri citofonano, trovano solo i cugini e gli zii. Non ci sono né lei né i genitori, ma solo gli armadi vuoti. Il 12 febbraio i carabinieri della compagnia di Trastevere fermano Farah e i suoi genitori sulla scaletta di un aereo che da Fiumicino li avrebbe riportati tutti nel loro Paese. Lei non ci pensa due volte a girare le spalle a quella violenza che stava subendo anche se era sangue del suo sangue: «Mi stanno costringendo a lasciare l'Italia» ha detto alle forze dell'ordine. Un grido disperato di aiuto, e poi il racconto drammatico delle violenze, i soprusi, il sequestro e il calvario che la stava attendendo in Bangladesh con un futuro marito di 40 anni scelto dai genitori. No, per Farah c'è un altro destino ed è in Italia. Un destino che finalmente può scegliere di costruire solo lei e in piena libertà. Un sogno a cui devono poter credere tante ragazze come lei nel nostro Paese, che soffrono in silenzio rinchiuse tra le mura di casa, vivendo nella paura, rassegnate al fatto che per loro c'è una sola scelta, decisa e prescritta dal clan familiare.

Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT