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La Stampa Rassegna Stampa
21.03.2021 Turchia: le donne protestano contro Erdogan
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 21 marzo 2021
Pagina: 14
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Donne in piazza contro Erdogan per i diritti: 'Non ci chiuderai in casa'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/03/2021, a pag.14, con il titolo "Donne in piazza contro Erdogan per i diritti: 'Non ci chiuderai in casa' " la cronaca di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

Protests as Turkey pulls out of treaty to protect women | Turkey | The  Guardian
le donne protestano contro Erdogan a Istanbul

Una marea viola ha invaso le strade della capitale Ankara e delle altre grandi città turche. Bandiere viola, cartelli con scritto «No al ritiro dalla Convenzione di Istanbul». Donne e ragazze con piumini, maglioni, berretti dello stesso colore. Si sono radunate davanti alla sede del Parlamento, del partito Akp, quello del presidente Recep Tayyip Erdogan. Ieri mattina, senza dire nulla, ha stracciato l'accordo contro la violenza sulle donne, che pure aveva firmato per primo dieci anni fa, nella sua Istanbul. Un colpo a freddo, comunicato con una nota sulla Gazzetta ufficiale, mentre i partner europei, e metà del suo popolo, venivano lasciati al buio. La reazione è stata imponente. Nel pomeriggio le manifestanti si sono unite nel centro di Ankara, dal podio una di loro ha cominciato a leggere, uno a uno, i nomi delle donne uccise nell'ultimo anno, vittime di padri, fidanzati e mariti violenti, e convinti dell'impunità. A ogni nome tutte alzavano il pugno chiuso al cielo, con rabbia. Anche un modo per esorcizzare la paura. Con il ritiro dalla Convenzione, è prevedibile, la violenza già a livelli intollerabili finirà per aumentare. La Turchia non ci sta e la decisione potrebbe rivelarsi un passo falso di Erdogan. Ieri però il presidente era in vena di segnali netti. Ha licenziato il governatore della Banca centrale, reo di aver alzato i tassi di interesse. L'economia è ancora azzoppata dal Covid, anche se le vaccinazioni sono partite con un passo più spedito rispetto all'Europa continentale. La situazione è fluida. Erdogan è tentato dalle elezioni anticipate, serra le file dei suoi, della Turchia profonda che vota in massa Akp. E i notabili del partito, di cultura islamica conservatrice, imputano alla Convenzione di «indebolire la famiglia tradizionale», di «promuovere il movimento Lgbt», già nel mirino del governo all'inizio dell'anno, quando la nomina clientelare del nuovo rettore all'Università del Bosforo ha scatenato l'indignazione giovanile. È l'altro fronte, quello della Turchia laica, urbana, che accusa lo Stato di non fare abbastanza per frenare i femminicidi. Secondo la piattaforma Kadin Cinayetlerini durduracagiz, in meno di tre mesi quest'anno sono state uccise già 74 donne per mano di uomini, dopo che nel 2020 erano stati contati almeno 300 casi accertati e 171 morti sospette. Più di un omicidio al giorno.

La Convenzione, e la mobilitazione delle donne, ha spinto a modifiche legislative. L'anno scorso i tribunali hanno inflitto 5.748 condanne nei confronti di uomini violenti. Una goccia nel mare, visto che ben 271.927 soggetti hanno subito restrizioni o sono stati posti in centri di disintossicazione da droghe e alcool, mentre sono stati applicati 333 braccialetti elettronici agli stalker. Le donne turche non si sentano al sicuro né in casa né fuori. Tanto che in occasione della celebrazione dell'8 marzo lo stesso Erdogan aveva condannato «ogni forma di violenza o costrizione, fisica e psicologica» come «crimini contro l'umanità». Il voltafaccia in meno di due settimane è destinato a fargli perdere consensi nell'elettorato femminile. Deve coprirsi il fianco ed è intervenuta in suo sostegno la figlia Sumeyye, vicepresidente dell'associazione Kadem: «La Convenzione di Istanbul è stata importante per combattere la violenza - ha spiegato -. Ma al punto in cui siamo arrivati adesso, ha perso la sua funzione originaria e si è trasformata in una ragione di tensioni sociali». Il portavoce della presidenza, Fahrettin Altun ha poi aggiunto su Twitter che la Turchia «continuerà a lavorare per permettere alle donne di partecipare sempre di più alla vita sociale, economica, politica e culturale: più sono forti le donne, più e forte il Paese». Un discorso poco convincente, che ha ridato fiato all'opposizione.

Sempre su Twitter il leader del partito repubblicano Chp, Kemal Kilicdaroglu, ha sottolineato come il governo «ha tolto di punto in bianco i diritti a 42 milioni di cittadine: chiamo tutte a difendersi, vogliono trasformare le loro vite in un inferno» e si rivolto al Consiglio di Stato per chiedere l'annullamento della decisione. Perla leader dell'associazione We Will Stop Femicide, Ipek Bozkurt i segnali si erano manifestati già la scorsa estate: «È una campagna che va avanti da mesi, le Ong femminili vicine al governo hanno cominciato a dire che non era possibile alcun dialogo, perché la Convenzione era «indiscutibile», e alla fine «l'hanno buttata giù». L'unica speranza resta l'Europa, una risposta «forte». Ieri ha parlato la segretaria generale del Consiglio d'Europa, Marija Pejcinovic Buric. Il ritiro «è un enorme passo indietro» che compromette la protezione delle donne «in Turchia, in Europa e anche oltre», in quanto «la Convenzione è considerata lo standard internazionale». Erdogan sembra però convinto di poter imporre il suo di standard, nella politica estera e anche nei diritti.

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