venerdi 26 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
19.12.2020 Come si falsifica la Storia: L'ideologia della Stampa contro Donald Trump
La disinformazione di Paolo Mastrolilli, Gianni Riotta

Testata: La Stampa
Data: 19 dicembre 2020
Pagina: 18
Autore: Paolo Mastrolilli - Gianni Riotta
Titolo: «Biden cambia linea. Patto con l'Italia sul Mediterraneo - Addio spallate e isolazionismo. L'America deve ricostruire le alleanze»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/12/2020 a pag.18 con il titolo "Biden cambia linea. Patto con l'Italia sul Mediterraneo" l'analisi di Paolo Mastrolilli; a pag. 19, con il titolo "Addio spallate e isolazionismo. L'America deve ricostruire le alleanze", il commento di Gianni Riotta.

La Stampa continua a disinformare demonizzando Donald Trump, del quale viene oggi riscritta sul quotidiano torinese l'intera politica estera. Mastrolilli e soprattutto Riotta sottolineano gli attriti che ci sono stati in questi quattro anni tra la Casa Bianca e l'Europa, attribuendo ogni responsabilità al Presidente americano. Lo slogan "spallate e isolazionismo" riassume quello che la Stampa rimprovera a Trump.

Allo stesso tempo vengono sminuiti i successi in politica estera di Trump, a partire dai più importanti e più recenti, cioè quelli legati agli accordi di Abramo con cui quattro Paesi arabi sunniti hanno firmato la pace con lo Stato di Israele, riconoscendone l'esistenza e stabilendo piene relazioni diplomatiche, ai quali si è appena aggiunto il Marocco. Riotta giunge a descrivere la vittoria elettorale di Biden come un ritorno della democrazia messa a rischio da Trump: questo è il livello dell'ideologia di un giornale la cui autorevolezza diminuisce giorno dopo giorno.

Ecco gli articoli:


Donald Trump, Joe Biden

Paolo Mastrolilli: "Biden cambia linea. Patto con l'Italia sul Mediterraneo"

Immagine correlata
Paolo Mastrolilli

“Penso che l'Italia sarà enormemente importante per la strategia meridionale della Nato, che va rafforzata». Questo commento che ci aveva dato Michael Carpenter, storico consigliere di politica estera di Biden, è l'indicazione concreta dei cambiamenti di linea considerati dalla nuova amministrazione americana nella zona del mondo che più ci interessa. In Libia la posizione di Obama era che la stabilizzazione toccava agli europei, responsabili del rovesciamento di Gheddafi soprattutto per volontà di Sarkozy. Washington invece si sarebbe occupata del terrorismo, intervenendo con la sua forza militare in maniera autonoma, ovunque avesse individuato una minaccia. Questa linea era stata ereditata da Trump, che addirittura aveva suggerito all'Italia di inviare le sue truppe per placare l'ex colonia, tranne il periodo in cui aveva flirtato con Haftar, su pressione dell'egiziano Sisi, dando l'impressione di voler consegnare il Paese al generale già collaboratore della Cia. Biden ha scritto sulla rivista Foreign Affairs che vuole mettere fine alle «guerre infinite», e quindi da lui non bisogna aspettarsi un nuovo interventismo, ma più attenzione rispetto a Trump, soprattutto per l'influenza che la Russia sta guadagnando nella regione e l'instabilità provocata dalla Turchia. A Carpenter abbiamo chiesto se l'Italia potrebbe contribuire offrendo assetti in Medio Oriente e Mediterraneo, dove gli Usa si ritireranno. Lui ha risposto così: «Certo, è un tema su cui dobbiamo coordinarci con gli italiani. Penso sarete enormemente importanti per la strategia meridionale della Nato, riguardo Nord Africa e Mediterraneo, che va rafforzata. In queste regioni guarderemo a voi per un ruolo guida, che tocca anche il problema delle migrazioni». Quanto alla Libia, «siete molto impegnati e ciò è utile. È una situazione complessa con alti rischi di contagio in altre regioni vicine. La Nato deve sviluppare una strategia meridionale più complessiva, ma sulla Libia la Ue potrebbe avere il ruolo guida». Superando la rivalità fra Italia e Francia: «Ci vuole coordinamento, nella Nato e nella Ue, e gli Usa devono favorirlo». In Medio Oriente l'ambizioso obiettivo dichiarato da Trump era il piano di pace elaborato dal genero Jared Kushner, che avrebbe dovuto portare alla storica svolta della pace definitiva tra israeliani e palestinesi. Il piano è fallito, perché rifiutato dai palestinesi e da diversi paesi arabi. La minaccia dell'annessione dei Territori occupati ha però portato come sottoprodotto imprevisto agli Accordi di Abramo, cioè il riconoscimento di Israele da parte di alcuni Stati arabi. È uno sviluppo positivo, ma non la svolta storica promessa da Trump. Se porterà al riconoscimento dello Stato ebraico anche da parte dell'Arabia Saudita e quindi alla pace definitiva, rappresenterà una svolta storica. Ma ciò dipenderà da come il dossier verrà gestito da Biden, che ha lasciato intendere di voler costruire sugli Accordi di Abramo, tomando però alla soluzione dei due Stati per i palestinesi. I sostenitori di Trump dicono che ha cambiato il paradigma in Medio Oriente. In realtà il paradigma americano era sempre stato fondato sull'alleanza con Arabia Saudita e Israele, almeno dalla rivoluzione khomeinista in poi. Obama aveva cercato di cambiarlo, a torto o a ragione, con l'accordo nucleare. Trump è tomato al paradigma abituale, ma con più forza, generando quasi casualmente gli Accord i di Abramo. Il giudizio finale è sospeso, in attesa di vedere come si comporterà l'Arabia con Biden e come finirà la partita coi palestinesi. Quanto all'Iran, il nuovo presidente ha detto che vuole tornare all'accordo nucleare Jcpoa, se Teheran tornerà a rispettare i suoi obblighi, con lo scopo però di rafforzare le clausole temporali, allargarlo al tema dei missili, e alle ingerenze nella regione. Non sarà facile, ma l'Italia potrebbe avere qualche carta da giocare, a partire magari da una collaborazione più concreta con Washington per risolvere il rompicapo libico.

Gianni Riotta: "Addio spallate e isolazionismo. L'America deve ricostruire le alleanze"

Immagine correlata
Gianni Riotta

Il presidente eletto Joe Biden e la sua vice Kamala Harris hanno annunciato di voler organizzare, entro il 2021, un "Summit perla democrazia", vertice dei Paesi liberi per valutare lo stato del mondo dopo quattro anni di isolazionismo dettato dal presidente Donald Trump. L'idea di un'assemblea delle democrazie ha il copyright del senatore repubblicano John McCain, che, fino alla morte, caldeggiò il sogno di un "caucus", un gruppo delle nazioni rette da leggi condivise all'Onu, capace di affrontare insieme crisi tipo il rapimento dei nostri pescatori in Libia, senza cedimenti ai ricatti dei dittatori. Perché il moderato Biden imposta la sua politica estera ricalcando le orme di un collega conosciuto invece per colpi di testa iconoclasti? Perché, più di quanto le cancellerie e i sussiegosi think tank europei sappiano realizzare fin qui, Biden è cosciente dei lividi che la "diplomazia delle spallate" di Trump ha inflitto al prestigio americano. La politica estera del presidente repubblicano uscente ha avuto anche momenti su cui far leva in futuro (il disgelo tra regimi sunniti e Israele, la richiesta ai Paesi Nato di partecipare davvero alle spese militari, la contestazione alla Cina sulle gravi infrazioni alle regole del commercio internazionale) ma la casualità dell'approccio, il disprezzo per il consenso, gli alleati antichi, Germania in testa poi persino Gran Bretagna, la rottura di accordi preziosi, clima, sanità, nucleare Iran, han reso infine l'America poco affidabile agli occhi di tanti. Biden non è, come proclamano gli ultras repubblicani e lamentano gli ultras democratici, un ideologo radicale, è un centrista cauto che conosce a menadito le sfide del secolo: la Cina rampante di Xi Jinping che vara la flotta d'alto mare per contestare alla US Navy le rotte commerciali; la Russia decadente di un Putin che sente prossimo il passo d'addio e aumenta in aggressività; l'Iran incerto tra accordi e rottura; la guerra eterna dell'Afghanistan, senza soluzione dal 2001; il Medio Oriente, la Turchia e il Nord Africa dove gli americani contano meno che mai dal 1945; il Nord del pianeta liberato dai ghiacci alle rotte civili, teatro di una sfrenata corsa agli armamenti; perfino la nuova tensione nucleare, con gli accordi post Guerra Fredda a rischio. Al contrario di Trump, Biden è consapevole di una verità amara, che milioni di americani, militanti di strada col cappelluccio rosso dei trumpiani e impomatati commentatori di tv, radio e website di destra, non sanno riconoscere: Washington non può più, da sola, risolvere alcuna crisi globale, e deve creare, con pazienza, metodo strategico, fiducia, coalizioni di alleati capaci, insieme, di negoziare con gli avversari, schierando, ove necessari°, l'arsenale militare Usa per dar forza alle ragioni della diplomazia. Otto anni di scetticismo amletico di Obama verso l'impegno internazionale, vedi l'impotenza davanti alle stragi in Siria, la disattenzione un po' snob per gli europei, la "svolta" verso l'Asia mai varata sul serio, e quattro anni di nazionalismo hard di Trump, hanno indebolito l'immagine Usa al punto che il nuovo numero della rivista Foreign Affairs, organo dell'austero Council on Foreign Relations, si chiede ansioso «Ce la faremo a recuperare?». I "realisti", conservatori o progressisti, già bocciano dispeptici il "Summit perla democrazia" come pericoloso forum di emozioni e sentimenti, preferendogli l'incolore negoziato con Pechino, il silenzio sulla repressione a Hong Kong e contro gli Uiguri, e solo qualche borbottio davanti al Putin che irride l'attentato contro Navalny, scodinzolando inani. La tensione tra "Politica estera degli interessi" e "Politica estera dei valori" ha, da sempre, innervato i due secoli e mezzo di vita americana, tra trionfi, il Piano Marshall, e tragedie, il Vietnam. Ma Biden sa quel che Trump ha provato, invano, a sradicare: gli Stati Uniti d'America "devono" inserire una componente ideale nella propria politica, pena la perdita radicale di identità nazionale. Già nel 1959, lo studioso William Appleman Williams, nel saggio seminale The tragedy ofAmerican diplomacy, deprecò che Washington inseguisse troppo la ricchezza dell'Impero e dei profitti, anziché intrecciarla alla promozione della democrazia. Una contraddizione che continua fino a noi. Il presidente eletto Joe Biden ha certo letto il magnifico articolo che George Shultz, saggio ex segretario di Stato di Ronald Reagan 1982-1989, ha firmato la scorsa settimana sul Washington Post, in occasione dei suoi 100 anni: quel che ho imparato in un secolo di governo e diplomazia, scrive lo statista, è che seminare fiducia, tra gli amici come tra gli avversari, è lo strumento migliore del potere democratico, perché «La fiducia è la valuta del Regno», in ogni comunità. La parabola nobile del repubblicano Shultz anticipa Biden, conscio di quanto poco il mondo si fidi ormai dell'America. "Rebuilding Trust", ricostruire la fiducia, sarà la sua strategia, annotatelo. Che ci riesca a fondo è un altro conto, arduo e incerto.

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/ 65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT