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La Stampa Rassegna Stampa
09.10.2020 Louise Glück, Premio Nobel per la letteratura, tutta da scoprire
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 09 ottobre 2020
Pagina: 23
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Una donna militante tra le memorie dei classici»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/10/2020 a pag.23, con il titolo "Una donna militante tra le memorie dei classici", il commento di Elena Loewenthal.

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Elena Loewenthal

Louise Glück wins the 2020 Nobel prize in literature | Nobel prize in  literature | The Guardian
Louise Glück

Se aspettarsi un Nobel inaspettato è ormai quasi la prassi da alcuni anni a questa parte, nel fatidico giovedì di ottobre, quello assegnato ieri a Louise Gluck è un riconoscimento tanto spiazzante quanto ricco di significato. E fondamentalmente giusto. Spiazzante perché tanti sono ancora gli scrittori – e le scrittrici – di lingua inglese che critica e pubblico vorrebbero insigniti, e non meno quelli che l’avrebbero meritato ma non sono arrivati in tempo. Primo fra tutti, naturalmente, Philip Roth. Ma Louise Gluck è in fondo anche un Nobel giusto, meritato, coerente con i tempi che viviamo e il ruolo che questa poetessa ha avuto nella storia letteraria degli Stati Uniti nei decenni scorsi. Un Nobel rassicurante, insomma. Che andasse assegnato a una figura femminile era quasi scontato, eppure anche in questo la scelta è significativa – e più che mai se guardata da un paese come il nostro in cui quest’anno i due maggiori premi letterari hanno visto rose di finalisti quasi esclusivamente al maschile.

Un po’ meno scontato è invece il profilo, tanto biografico quanto letterario, di questa autrice. In questo senso, il Nobel suona giustamente come un potente invito alla lettura, alla scoperta di questa autrice da parte di quei tanti che ancora non la conoscevano. E’, innanzitutto, una poetessa pura. Anche quando ha scritto in prosa, ha scritto di poesia. E potrà sembrare banale, ma in questo presente dove dominano il linguaggio dei social e la falsa libertà di poter dire tutto, abbiamo davvero più bisogno che mai di poesia, perché la poesia dà peso alla parola più di ogni altra forma letteraria.

Louise Gluck ha cominciato a pubblicare poesie nel 1968 e da allora non ha mai smesso. Anche la sua biografia è interessante perché a tratti corre parallela alle sue opere, a tratti le interseca. Figlia di immigrati ebrei ungheresi, riceve una solida educazione letteraria e viene tanto dal padre quanto dalla madre iniziata alla cultura classica – che permea tutta la produzione -; ma la sua vita professionale inizia con una scrivania da segretaria. E’ una donna emancipata, dalla vita sentimentale complicata, ma è anche una creatura fragile che in un lungo tratto di vita soffre di anoressia. La sua è una poesia in un certo senso “militante” se non in senso di femminismo tradizionale certo capace di ispirare sentimenti di libertà e sete di giustizia. Ma è anche intimista, nel senso che non si tira mai indietro di fronte al proprio dolore, al nudo strazio: come nella raccolta Ararat, ispirata vuoi dalla perdita del padre vuoi dal monte caucasico dove la tradizione vuole si sia depositata la biblica Arca di Noè. Grande scrittrice vissuta all’insegna di un certo understatement anche quando si è ritrovata vincitrice di un premio come il Pulitzer con la raccolta L’iris Selvatico (praticamente l’unica sua opera tradotta in italiano da Massimo Bacigalupo per la benemerita, e non solo per questo, casa editrice Giano), Louise Gluck è uno straordinario esempio letterario e umano di parabola esistenziale in bilico fra fragilità – e consapevolezza di fragilità – e la solidità di piedi ben piantati. Nella vita così come in quei modelli classici, greci e latini, su cui si fonda la sua poetica. Per il lettore italiano sarà un dono prezioso incontrarla nelle traduzioni che speriamo verranno presto, ora che è un premio Nobel.

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lettere@lastampa.it

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