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La Stampa Rassegna Stampa
15.06.2020 La libertà di espressione e l'islam secondo Salman Rushdie
Analisi di Antonio Monda

Testata: La Stampa
Data: 15 giugno 2020
Pagina: 23
Autore: Antonio Monda
Titolo: «'Nessuno ha il diritto di non essere offeso'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/06/2020, a pag.23, con il titolo 'Nessuno ha il diritto di non essere offeso' il commento di Antonio Monda.

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Antonio Monda


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Salman Rushdie

«Cos'è la libertà di espressione? Senza la libertà di offendere cessa di esistere». È un principio che Salman Rushdie ripete spesso, e rappresenta il principio portante della sua intera esistenza. La fatwā di cui è stato vittima lo ha trasformato in un personaggio unico nel mondo letterario, e spesso ha finito con l'oscurarne il talento letterario. Penso che sarebbe il primo a dividere la sua vita in prima e dopo il giorno in cui venne condannato a morte dall'ayatollah Khomeini: era il 14 febbraio 1989, e quando ne parla si sforza di usare l'ironia, «è stato il mio augurio di San Valentino», prima di spiegare che «esistono ancora delle frange di fondamentalisti che ogni anno, in occasione di quella data, mi ricordano che non hanno affatto dimenticato: per me la festa degli innamorati continua». È un uomo estremamente spiritoso, brillante e dalla battuta pronta, ma quando parla di questa vicenda gli compare sul volto un velo di angoscia. Quando scrisse I versi satanici era già noto per alcuni libri bellissimi quali I figli della mezzanotte, caratterizzati dal realismo magico. Sin dall'inizio della sua carriera si era messo in luce per uno spirito irriverente soprattutto nei confronti della propria cultura d'origine: proviene da una famiglia musulmana, ma oggi si professa completamente ateo, e nel libro che ha scatenato la condanna a morte scrive «sin dall'inizio dei tempi l'uomo ha creato Dio per giustificare quello che non era giustificabile».

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La copertina (Mondadori ed.)

Tre settimane prima della fatwā dichiarò sull'Observer che Maometto era uno dei più grandi geni dell'umanità, ma la situazione era ormai precipitata: visse per molti anni in Inghilterra sotto protezione e con una falsa identità, si interruppero le relazioni diplomatiche tra Gran Bretagna e Iran, il libro venne bandito in tredici paesi, mentre si scatenavano ondate di violenza che videro perfino l'uccisione di editori e traduttori del testo. Nel momento più acuto delle polemiche dichiarò che «il libro non è in alcun modo blasfemo», che «avrebbe voluto scriverlo ancora più critico» e di essere certo che l'ayatollah non lo aveva letto «se non per brevi estratti fuori contesto». È il periodo in cui i terroristi hezbollah muoiono maledicendo il suo nome, e in Pakistan esce un film intitolato International Guerrillas, nel quale Rushdie viene ucciso. In quella occasione Salman rifiutò di bloccare la pellicola o denunciare gli autori per evitare di generare pubblicità e passare per censore: «Nessuno ha il diritto di non essere offeso», teorizza, «è un diritto che non ho mai letto in alcun tipo di dichiarazione». Da anni fa di tutto per vivere un'esistenza normale, ma la situazione è tuttora allarmante: dopo il ritiro della fatwā da parte del presidente Kathami nel 1998, l'ayatollah Khamenei l'ha dichiarata ancora valida e sulla sua testa resta una taglia di 3,3 milioni di dollari. Si sforza di affermare che «si tratta ormai solo di retorica e di minacce fatte per inerzia», e che «il modo per sconfiggere il terrorismo è non essere terrorizzati», tuttavia è impossibile frequentarlo senza accorgersi che questa storia è nel retro di ogni suo pensiero, anche quando passa una serata spensierata, a parlare di cinema, sua grande passione, o di letteratura. A volte è lui stesso a ritornare sull'argomento: una volta ci trovammo a parlare di Stephen King, e mi raccontò: «Non potrò mai dimenticare quello che ha fatto per me: quando alcune catene di librerie cominciarono a ritirare i Versi satanici dagli scaffali, per paura di attentati, chiamò personalmente i dirigenti di queste catene dicendo che se avessero continuato avrebbero dovuto levare anche i suoi libri. Come sai è uno degli autori più letti al mondo, e riuscì a bloccare tutto». È nato nel 1947 a Bombay, Salman, e ci tiene a chiamare la sua città d'origine con il nome storico. Quando parla del suo passato racconta che il suo cognome venne adottato dal padre in onore di Averroè, nella lingua d'origine Ibn Rushd. Sono dettagli rivelatori della sua personalità: l'imprescindibile rapporto con le radici e la convinzione che la scienza sia l'unica chiave di lettura di un'esistenza che per lui non contempla alcuna forma di trascendenza. Ha lavorato in pubblicità, coniando slogan di successo per compagnie quali l'American Express, e non rinnega affatto quell'esperienza. Sono gli stessi anni in cui si appassionò alla musica rock: la prima apparizione pubblica, nel periodo in cui viveva sotto protezione, avvenne a un concerto degli U2 a Wembley, quattro anni dopo la fatwā. È un uomo colto e con forti passioni letterarie – tra gli autori preferiti c'è Italo Calvino - e un approccio artistico che tende alla spettacolarizzazione. Per anni si è esibito in incontri pubblici con Umberto Eco e Mario Vargas Llosa: si autodefinivano «i tre moschettieri» e amavano sfidarsi su idee drasticamente differenti riguardo a ciò che conta nell'esistenza, a cominciare dalla politica, dove il duello avveniva soprattutto con Vargas Llosa, da sempre su posizioni più conservatrici. Chi ha avuto il privilegio di assistere a quelle serate le ricorda come momenti di puro piacere intellettuale. Ha avuto quattro mogli e infinite relazioni, ma ormai da qualche anno è legato stabilmente alla poetessa Rachel Eliza Griffiths, grazie alla quale ha diminuito il ritmo della sua intensa vita mondana, che lo ha portato, tra le altre cose, a partecipare a numerosi film nei panni di sé stesso. Con un pizzico di vanità ricorda che nel 2007 è stato nominato Sir dalla regina Elisabetta, e l'evento generò nuove minacce di morte da parte di Al Qaeda. Sono ormai vent'anni che vive stabilmente a New York: ha spesso un giudizio severo nei confronti del Paese che lo ha ospitato, ma sa bene che la statua della Libertà è ben più che un simbolo, e in nessun altro luogo si sente così protetto. Ha sempre negato che Saleem Sinai, il protagonista dei Figli della mezzanotte, sia autobiografico, ma è difficile credergli. È invece pieno di dolente sincerità Joseph Anton, il memoir in cui racconta i suoi anni più bui. Il titolo è il nome fittizio che usò quando viveva sotto protezione, scelto in onore di Joseph Conrad e Anton Cechov: è interessante notare che si tratta di un memoir scritto in terza persona. «La storia che porti a termine non è detto che sia la stessa che hai iniziato» disse una volta, e riflettendo sulla morte ha scritto: «Quando scompare qualcuno che conosci, muore anche una versione di te stesso, il modo in cui sei visto, o come sei giudicato. Amante o nemico, madre o amico, coloro che ci conoscono ci rendono quelli che siamo: tutte le loro differenti percezioni cesellano le diverse facce della nostra personalità come fa un tagliatore di diamanti. Ognuna di queste perdite è un passo verso la tomba, dove tutte le versioni si fondono e si completano». Negli ultimi anni è stato al centro di una nuova polemica a seguito della strage dei redattori di Charlie Hebdo: per celebrare la libertà di espressione, è stato il capofila di coloro che hanno difeso anche le più estreme tra le vignette nel giornale satirico, appoggiando il riconoscimento dato dal Pen alla rivista. Questa posizione ha aperto uno sconto aspro con autori quali Joyce Carol Oates e Teju Cole, che invece condannano la violenza fondamentalista ma non apprezzano affatto la pubblicazione. Forse ciò che sintetizza il suo approccio riguardo alla libertà è una frase tratta proprio dei Versi satanici: «Il linguaggio è coraggio: l'abilità di concepire un pensiero, di esprimerlo e facendo ciò renderlo vero». Ma dice anche: «Ciò che è reale e ciò che è vero non è detto che siano la stessa cosa».

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