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La Stampa Rassegna Stampa
12.06.2020 Chi non ha responsabilità politiche può permettersi ipotesi di fantasia
E' il caso di Abraham B. Yehoshua

Testata: La Stampa
Data: 12 giugno 2020
Pagina: 1
Autore: Abraham B. Yehoshua
Titolo: «Mi appello alla Ue, fermi Israele»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/06/2020, a pag. 1 con il titolo "Mi appello alla Ue, fermi Israele" il commento di Abraham B. Yehoshua.

Se il governo di Israele in questi primi 72 anni di esistenza dello Stato avesse dato retta a intellettuali e scrittori, forse oggi avremmo uno Stato binazionale in cui l'identità ebraica sarebbe cancellata e sommersa oppure i terroristi al potere non solo a Gaza, ma anche in West Bank. Fino a poco tempo fa Abraham B. Yehoshua dichiarava defunta l'ipotesi dei due Stati (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=70286), proponendo un modello simile a quello della confederazione elvetica, oggi torna alla vecchia e superata ipotesi "due popoli due stati". Chi, come Yehoshua, non ha responsabilità politiche, può ipotizzare senza problemi le soluzioni più fantasiose, spetta invece ai politici affrontare le circostanze con realismo.

Ecco l'articolo: 

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Abraham B. Yehoshua

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, attualmente sotto processo con tre gravi capi di accusa, ha annunciato che il 1° luglio annetterà una parte della Cisgiordania sulla quale estenderà la sovranità israeliana senza però concedere la cittadinanza ai sessantamila palestinesi lì residenti. È stato Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti travolti in questi giorni dalle violente proteste contro il razzismo e contro la brutalità della polizia, a promuovere la discutibile legittimità di un passo tanto grave. Il suo "Piano del secolo", accolto con gioia dalla destra israeliana ma fermamente respinto dai palestinesi, dal mondo arabo e dalla Comunità europea, è stato peraltro elaborato per conquistare le simpatie degli evangelici americani, sostenitori di un allucinante progetto di ricostruzione del tempio sulle rovine della moschea musulmana in attesa di un ritorno di Gesù Cristo. Questo piano scellerato mira a dividere lo stato destinato ai palestinesi (che rappresenta il quindici percento del territorio originale della Palestina) in tre distretti, analoghi ai Bantustan sudafricani dove i bianchi avevano concentrato una parte della popolazione nera concedendole un'indipendenza virtuale. I palestinesi, ovviamente, si oppongono a tale mossa e minacciano una sospensione del coordinamento tra le loro forze di sicurezza e l'esercito israeliano.

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Anche la Giordania, firmataria di un trattato di pace con Israele relativamente solido, è fermamente contraria all'iniziativa di Netanyahu, così come decine di ex generali e addetti alla sicurezza israeliani che hanno rilasciato dichiarazioni sfavorevoli in proposito, mettendo in guardia dai pericoli che tale iniziativa comporta. Naturalmente anche i sostenitori della pace si oppongono a questo inutile e provocatorio passo, che pregiudicherà definitivamente la possibilità di una soluzione di due stati, ormai comunque problematica. E pure l'Unione europea avversa fortemente tale annessione, anche se per ora solo a parole.

E qui arriviamo a un punto critico. A partire infatti dalla Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, i Paesi europei (in particolare quelli incorporati nella Comunità europea) hanno sempre sostenuto l'esistenza di Israele ma mostrato una fondamentale e reiterata debolezza nell'intraprendere azioni chiare e pragmatiche contro iniziative israeliane considerate politicamente poco etiche, sbagliate e pericolose. Da un lato l'Europa si mostra interessata alle iniziative di Israele e alla sua sicurezza (ricordo ancora la paura e la preoccupazione che si respiravano in Europa per il destino di Israele alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni). Dall'altro è critica verso quelle iniziative dello stato ebraico che non rispettano determinate norme morali e politiche, senza però che tali critiche sfocino in azioni concrete. La Comunità europea ha sempre sostenuto i palestinesi a parole e in parte anche con i fatti. Quando però si tratta di intraprendere azioni concrete contro iniziative israeliane, viene colta da una semi paralisi. I suoi rappresentanti politici rilasciano dichiarazioni di condanna, votano a favore di decisioni anti-israeliane in istituzioni internazionali, ma lasciano agli Stati Uniti, considerati il patrono e il padrino ufficiale dello stato ebraico, la responsabilità di inibire determinate iniziative. Negli Stati Uniti però, le lobby ebraiche ed evangelico cristiane operano con fermezza ed efficacia, forti anche di un radicato background biblico protestante del quale Israele è considerato un elemento importante. Ricordo che ogni volta che venivano costruiti nuovi insediamenti nei territori palestinesi (con nostra grande rabbia e delusione), il mio caro e compianto amico Amos Oz mi consolava dicendo che sarebbe arrivato il momento in cui gli addetti portuali di Rotterdam si sarebbero rifiutati di caricare merci su navi israeliane, costringendo così il nostro Paese a riconsiderare la sua politica espansionistica. Ovviamente quel giorno non è mai arrivato. E secondo me, indipendentemente dal suo operato politico, a Israele non sarà mai imposto un vero boicottaggio come quello messo in atto contro il Sudafrica. Il motivo è duplice: da una parte ci sono la memoria della Shoah e la responsabilità dell'Europa in quella tragedia, dall'altro l'antisemitismo serpeggiante nella società europea. La memoria della Shoah, ovviamente, fa sì che gli europei siano cauti nel criticare Israele, divenuto il rifugio dei sopravvissuti all'annientamento di un terzo della popolazione ebraica sul suolo europeo e che ancora combatte per la propria esistenza in Medio Oriente. D'altra parte, i governi europei temono che dure critiche nei confronti di Israele, associate a saltuarie sanzioni, possano alimentare indirettamente l'antisemitismo che ancora permea le società europee. In altre parole, la responsabilità della Shoah e la paura di un sostegno indiretto all'antisemitismo ancora presente in Europa impediscono ai governi europei di imporre sanzioni concrete a Israele, lasciando le critiche nei suoi confronti alla sfera verbale e dichiarativa. Ma ora che il governo israeliano, guidato da Netanyahu, vorrebbe attuare un'annessione territoriale immotivata da ragioni di sicurezza (perché quella zona è comunque sotto il controllo dell'esercito israeliano) e che lascerà immutato il già solido status degli insediamenti, ecco che questa sua intenzione appare puramente provocatoria. Una mossa che pregiudicherà per sempre la debole speranza di una soluzione di due stati. I paesi europei, quindi, non solo hanno il permesso ma anche l'obbligo morale di dire: no, adesso basta. In fondo non farebbero che spalleggiare decine di alti ufficiali militari israeliani che si sono pronunciati contro tale inutile annessione la quale, forse, intende "afferrare per la coda" gli ultimi mesi del mandato di Trump in vista della possibilità di una sua mancata rielezione.

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