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La Stampa Rassegna Stampa
29.05.2020 A Gerusalemme tra le rabbine ortodosse
Cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 29 maggio 2020
Pagina: 16
Autore: Francesca Paci
Titolo: «La rivincita delle ebree ortodosse. A Gerusalemme le prime rabbine»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/05/2020, a pag.16, con il titolo "La rivincita delle ebree ortodosse. A Gerusalemme le prime rabbine", il commento di Francesca Paci.

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Francesca Paci

Al Refettorio Ambrosiano “Lo Shabbat di tutti”
Miriam Camerini

In una stanza molto spartana della sinagoga Chopin di Rehavia, nella Gerusalemme più contesa di sempre, c'è un tavolo colmo di testi sacri intorno cui, a cadenza quotidiana, si compie il volere, se non del tempio, del tempo: le donne studiano il Talmud e le sue infinite derivazioni da cui discendono le regole alimentari della cucina kosher, l'organizzazione dello shabbat e le prescrizioni igieniche familiari, vale a dire, per esempio, quando e come una moglie è sufficientemente «pura» da consentire al marito di condividerne il talamo in pace con Dio. Donne, testualmente, donne: gli appassionati di Unorthodox hanno capito bene, siamo nel mondo chassidico della ribelle Esty ma appena appena un po' più in là, yeshiva Rosh Beit Midrash, una delle primissime scuole ortodosse per rabbine con o senza parrucca. La storia, come racconta la serie di Netflix ma ancora meglio il suo fratello maggiore «Shtizel», è più complicata dell'immagine stereotipata d'una selva di cappelli di pelliccia nel sabato deserto di Williamsburg: le donne che studiano alla Rosh Beit Midrash di Gerusalemme sono ortodosse ma moderne, figlie cioè di quel movimento cosiddetto modern-orthodox che sfida la tradizione restandovi dentro, una variante aperta dell'ebraismo osservante a metà strada tra Mea Shearim e i riformisti liberal cantati da Woody Allen, dove i salmi femminili riecheggiano sin dagli Anni 60.

La rivincita delle ebree ortodosse. A Gerusalemme le prime rabbine ...

«Mi sono iscritta perché ho sentito che dopo duemila anni di discriminazione avevo una piccola, magari super minoritaria, opportunità di contribuire al cambiamento da dentro, proprio come dice la Mishna "se non sono io per me chi sarà per me?"» spiega Miriam Camerini, 37 anni, regista teatrale in itinere tra Milano e Gerusalemme nonché autrice del saggio gastronomico «Ricette e precetti» (Giuntina). La Rosh Beir Midrash nasce quasi per caso dall'iniziativa del rabbino Herzl Hefter, che un paio di anni fa, alla richiesta di lezioni miste maschili e femminili, rispose, pragmatico: perché no? Non era mai successo prima, ma non c'era neppure nessuna regola che lo proibisse esplicitamente. I modern-orthodox, diversamente dagli ultra-orthodox, che in Israele sono rappresentati dal partito a maggioranza sefardita Shas e che nel quinto governo Netanyahu hanno espresso la loro prima ministra Omer Yankelevich, sono un ibrido complicato da inquadrare. Politicamente sionisti-nazionalisti, tanto da ritrovarsi, tanti, in Naftali Bennet di «Focolaio ebraico», l'eroe dei coloni irriducibili, declinano però le loro sfumature fino alla scuola delle rabbine, dove la tra le prime dieci diplomate c'è la pseudo sessantottina settantenne Leah Shakdiel, un pilastro dei diritti civili in Israele che quando a suo tempo scoprì di essere emigrata nella casa di una famiglia araba fuggita nel 1948 cercò gli eredi di quell'esodo a suo parere iniquo e sono ancora amici.

«L'ebraismo non è un monolite, anche se, con appena 15 milioni di fedeli nel mondo, appare una religione minoritaria» ragiona Maria Chiara Giorda, professoressa di storia delle religioni all'università capitolina Roma3. La prima associazione mentale con l'ortodossia è l'immagine dell'uomo, cappello di origine polacca più o meno peloso con boccoli, accessoriato di appendici femminili in calze scure, gonne asessuate e grappoli di bambini alle calcagna. Praticamente Unorthodox prima della sfida ontologica della protagonista Esti, la donna. «Sono mondi frammentati - continua Giorda –, parlare di donna ebraica è fuorviante quanto parlare di donna musulmana, sono tante, diverse, le donne. Netflix ci ha fatto sognare la rivoluzione solitaria ma ci sono le coraggiose che innescano movimenti di riforma da dentro, rimanendo nella tradizione, come le "Women of the Wall", che si battono per il diritto di pregare al muro del pianto».

Una rivoluzione gentile, la sfida più insidiosa forse del femminismo simile in questo allo smottamento dottrinale in corso nel mondo islamico per mano dell'altra metà del cielo, rosa, nitida. In realtà, la prima, o quantomeno una delle primissime scuole ortodosse per rabbine, non diploma servitori dello Stato. In Israele, spiega Miriam Camerini, il Rabbinato inteso come organo paragovernativo che detta le regole comportamentali su scala nazionale è ultra-ortodosso, haredim. Vale a dire che non esiste il matrimonio civile né la possibilità che una donna venga ordinata rabbina né tantomeno che, con buona pace della civile Start Up Nation dove le unioni gay brillano dall'imprenditoria agli alti ranghi dell'esercito, un omosessuale entri nel regno dei cieli. La spina nel fianco però si chiama modern-orthodox, non i riformati facilmente targhettizabili come outsider, ma i seri, rispettosi, devoti osservanti del Talmud che nel rispetto assoluto del verbo mettono in discussione tutto, specie se donne: perché, per come, e sopratutto «ulay», che in ebraico significa «forse». Quando due anni fa il rabbino Levenstein, un modern-orthodox a vocazione fortemente conservatrice, tuonò contro la comunità LGTB definendola «perversa», furono i suoi confratelli a reagire partecipando massicciamente al Gay Pride Parade di quell'anno. Non perché riformati, giammai. Ma nel rispetto della dialettica tra Talmud e modernità. Le regole poi, sono regole. E le studentesse della yashiva, anche loro, le aspiranti rabbine, non rasano il capo per la parrucca ma lo coprono con un cappello, perché le donne sposate necessitano modestia e quelle ancora single possono sgarrare solo per trovarsi un marito. Pantaloni no, meglio di no, per evitare l'appropriazione dell'abbigliamento maschile tanto invisa alle sacre scritture, ma magari una gonna ampia, lunga, pijama palazzo. E poi la sessualità purificata dal bagno rituale che monitora mestruazioni e intimità certificata, lo shabbat rigoroso, niente lavoro, niente tecnologia, niente autobus. Per la politica vale lo stesso. Gli accordi di Olso, che hanno fatto sognare una generazione di Israeliani e turbano oggi i loro sonni pacifisti, sono per una parte di ortodossi moderni, come i coloni irriducibili Hebron e Nablus, un incidente della Storia. Ma per le donne, le loro donne iscritte alla Rosh Beit Midrash, una decina ogni anno, il dialogo è rivoluzionario e Oslo, religione o meno, resta un modello, fa premio il pragmatismo kibbutzim e se lo strumento per contare è lo studio si studia.

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