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La Stampa Rassegna Stampa
03.05.2020 'Il diavolo in Francia', di Lion Feuchtwanger
Recensione di Luigi Forte

Testata: La Stampa
Data: 03 maggio 2020
Pagina: 18
Autore: Luigi Forte
Titolo: «Lo scrittore ebreo evase dal campo travestito da vecchia signora inglese»

Riprendiamo da TUTTOLIBRI-LA STAMPA di oggi, 03/05/2020, a pag.18, con il titolo "Lo scrittore ebreo evase dal campo travestito da vecchia signora inglese" la recensione di Luigi Forte.

Il diavolo in Francia, Lion Feuchtwanger. Giulio Einaudi Editore ...
La copertina (Einaudi ed.)

Mentre guarda New York dalla finestra del suo albergo il pensiero corre lontano, agli anni berlinesi e alla villa nel verde di Grunewald, e poi alla casa bianca di Sanary, nel sud della Francia, fra gli ulivi digradanti verso il mare. L'ebreo Lion Feuchtwanger, esule negli Stati Uniti, dove arriva dopo molte peripezie nel 1941, si portava dietro grandi successi letterari ed esperienze disumane come l'internamento in campi di prigionia francesi descritto nello splendido e terribile resoconto Il diavolo in Francia che appare per la prima volta in versione italiana a cura di Enrico Arosio presso Einaudi, con una bella prefazione di Wlodek Goldkorn. Già ai tempi del liceo a Monaco di Baviera, dov'era nato nel 1884 in un'agiata famiglia ortodossa, Lion decise che avrebbe fatto lo scrittore. Ma intanto frequentava la sinagoga e imparava a leggere la Bibbia in ebraico. E nel 1912, dopo il matrimonio con la correligionaria Marta Löffler, se ne va in giro per l'Italia fino allo scoppio della guerra. Inizia a scrivere testi teatrali e a metà degli anni Venti pubblica il suo primo bestseller, Süss l'ebreo, un romanzo storico ambientato nella Germania del Settecento. E' il genere che lo renderà famoso a livello internazionale (tra i suoi ammiratori c'erano Roosevelt e Stalin), specie dopo la pubblicazione nel 1930 di Successo, un'opera di grande respiro sulla società e la politica a Monaco e in Baviera negli anni di ascesa al potere di Hitler. I suoi libri facevano il giro del mondo, mentre a Berlino i nazisti li bruciavano insieme a tanti altri sulla piazza dell'Opera.

Scrittore tedesco Lion Feuchtwanger, /1884 -1958/. Riprodotto da ...
Lion Feuchtwanger

Poi, durante un giro di conferenze a Londra e negli Stati Uniti tra il novembre del 1932 e il gennaio del 1933, gli devastarono la villa berlinese e lo privarono della cittadinanza. L'antifascista di primo piano, grande amico di Bertolt Brecht, non ha dunque più una patria e si rifugia con la moglie in Provenza, a Sanary-sur-Mer, centro degli emigrati politici tedeschi, dove la coppia, grazie ai diritti d'autore provenienti soprattutto dai paesi anglosassoni, può condurre una vita relativamente confortevole. Di fronte a un'Europa stretta nella morsa nazista anche lui, come non pochi intellettuali di sinistra, cerca conforto in Stalin e nel paese dei soviet fino al punto di giustificare nel resoconto del suo viaggio in Unione Sovietica alla fine del 1936, i processi contro i presunti trotzkisti sollevando l'indignazione di colleghi come Arno Zweig e Franz Werfel. A quei tempi nulla era più sicuro, soprattutto per un apolide come lui senza visto d'espatrio. Così nell'estate del 1940, nel momento della disfatta francese, deve ripresentarsi al campo di Les Milles, vicino a Aix-en-Provence, allestito in una ex fornace di mattoni dov'era già stato rinchiuso per qualche settimana, allo scoppio della guerra, come cittadino di una potenza nemica. In quell'esperienza infernale, di totale abbrutimento, la vita traspare da piccoli frammenti di quotidianità, volti, gesti, persone che il racconto proietta in una sorta di infinito, disperato viaggio biblico. Per quegli infelici reclusi si è capovolto il detto tedesco: vivere come un Dio in Francia. Ora è il Demonio a guidare la storia e non c'è intelligenza o sapere né status sociale che possa opporvisi. L'Europa è al collasso e nella vecchia fabbrica in abbandono l'umanità non è che un formicolare di corpi indistinti. Les Milles diventa nella prosa vivace e incalzante di Feuchtwanger quasi una metafora della condizione umana nelle fasi più tragiche del Novecento. Tanto più stupisce la vivacità e, non di rado, l'ironia con cui l'autore coglie i momenti quotidiani di una comunità che contava non pochi artisti, come ad esempio il surrealista Max Ernst e il drammaturgo Waler Hasenclever morto suicida nel campo. Tanti e diversi erano i prigionieri, soprattutto tedeschi e austriaci: operai della Saar, sarti, parrucchieri, industriali così come sacerdoti cattolici e un rabbino, e non pochi nazisti, che un signore di buona cultura riteneva di poter riconoscere dall'odore. Una massa che si abitua all'insensibilità e al degrado nello scorrere di un tempo allucinante in cui il singolo scompare nelle identiche urgenze collettive. «Alla fine – ricorda Feuchtwanger – fummo tutti una grande orda, stracciona, sudicia, caduta in rovina». Tuttavia al campo non mancava la cultura. Nei momenti meno logoranti c'era sempre qualcuno seduto su mattoni malfermi che parlava di filosofia o magari di Mahler e di Schnitzler, e si lasciava andare a qualche ricordo di eleganti signore e di locali tra gli angoli di Vienna o di Parigi. Immagini che cancellano per un attimo le lunghe file davanti alle latrine, i sogni angoscianti, la mancanza di un vero giaciglio per la notte. Restava da chiedersi, specie nel caso di Feuchtwanger e di molti altri antinazisti come lui, perché ci si trovasse ammassati in quell'inferno. Forse ci aveva messo lo zampino il Diavolo francese della pigrizia del cuore, dell'incuria e della burocrazia con le sue assurdità? Si sperava, prima o poi nella liberazione, ma il treno su cui vengono caricati punta sì verso il Rodano e Bayonne, ma poi inaspettatamente torna indietro per lasciarli nel campo di San Nicola nei pressi di Nîmes che ben presto si trasforma in una sorta di fiera di paese con venditori di ogni genere. «Eravamo fuggiti dalla nostra stessa ombra», commenta Lion che coglie in quel viaggio sequenze di bestiale follia. Cresce l'angoscia perché forse ora, dopo l'armistizio e la formazione del governo di Vichy, i francesi sono disposti a consegnare al nemico i cittadini tedeschi ricercati. Giorni e settimane di ansiosa attesa che Feuchtwanger traduce in epica, intensa affabulazione, con i tratti di una spystory: come riuscire attraverso contatti, che gli procura anche la moglie, a sfuggire a un terribile destino. Ce lo racconta la stessa Marta nell'episodio conclusivo, La fuga, che Lion intraprese travestito da vecchia signora inglese. Portava con sé verso la libertà un pizzico di ironia dopo aver conosciuto l'abissale malvagità degli uomini, ma infine anche i gesti rassicuranti dei giusti e dei buoni.

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