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La Stampa Rassegna Stampa
09.04.2020 Coronavirus: le menzogne della Cina hanno favorito la diffusione. Le giuste parole di Donald Trump contro l'Oms
Cronaca di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 09 aprile 2020
Pagina: 13
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Trump attacca l'Oms: 'Complici della Cina. Vi blocchiamo i fondi'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/04/2020, a pag.13, con il titolo "Trump attacca l'Oms: 'Complici della Cina. Vi blocchiamo i fondi' " la cronaca di Paolo Mastrolilli.

Mentre è adeguato il titolo dell'articolo, la cronaca di Paolo Mastrolilli insiste soprattutto sulle critiche a Donald Trump, sorvolando invece sulle enormi responsabilità della Cina nella diffusione del virus in tutto il mondo. L'intervento immediato a Wuhan e la condivisione tempestiva delle informazioni sul virus da parte cinese avrebbe infatti permesso di evitare la pandemia su scala globale. La dittatura cinese ha scelto diversamente, quelli che stiamo vivendo oggi sono i risultati di questa decisione.

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Paolo Mastrolilli

Coronavirus, Trump attacca l'Oms:
Donald Trump

Trump attacca l'Organizzazione Mondiale della Sanità, rinfacciandole di essere complice della Cina sul coronavirus. I critici però lo accusano di farlo per cercare un capro espiatorio, su cui scaricare i propri errori, se i piani che sta considerando per riaprire gli Usa non funzioneranno. E per la prima volta sul tema interviene Obama, avvertendo che la ripresa potrà avvenire solo quando ci sarà «un solido sistema nazionale per i test». Il Covid 19 è esploso in Cina, che ha almeno due colpe: le condizioni igieniche dove si è sviluppato il virus; e la mancanza di trasparenza, che la rende responsabile nei confronti dei paesi dove la pandemia ha fatto vittime. Secondo Trump l'Oms ha il torto di essere stata «sinocentrica», avendo prima aiutato Pechino a nascondere il virus, e poi criticato la sua decisione di bloccare i voli il 31 gennaio. Quindi sta considerando di punirla, bloccando o riducendo i finanziamenti americani, che ammontano a circa un decimo del bilancio da 6 miliardi di dollari dell'organizzazione. Il direttore Tedros Ghebreyesus gli ha risposto così: «Per favore non politicizzate il virus, se non volete molte altre body bags». Operativi dell'Oms impegnati nella crisi dicono che è stata Pechino a ritardare la comunicazione dei dati di oltre un mese. Dietro le quinte loro si sono infuriati con i cinesi, perché se avessero parlato prima e dato accesso agli specialisti, il virus si poteva fermare a Wuhan. È vero poi che Tedros ha dichiarato l'emergenza internazionale solo il 30 gennaio, e la pandemia l'11 marzo, ma secondo i suoi collaboratori doveva seguire una scala di proporzionalità sempre adottata in questi casi. Non ha attaccato pubblicamente la Repubblica Popolare perché non sarebbe servito a nulla, esacerbando lo scontro proprio mentre bisognava collaborare per fermare i contagi. L'analisi degli errori, per non ripeterli, si potrà rimandare a dopo la crisi. Il 31 gennaio invece l'Oms aveva criticato il blocco dei voli dalla Cina per due motivi: primo, a quel punto i buoi erano già usciti dalla stalla, e ciò non avrebbe bloccato un virus già in circolazione globale da almeno due mesi; secondo, monitorando gli aerei sarebbe stato più facile controllare chi arrivava e isolare i contagiati, mentre così molti malati saranno giunti negli Usa passando da altri Paesi, senza che nessuno se ne si sia accorto. Ora sappiamo che dopo il 2 febbraio, inizio dello stop, almeno 40.000 passeggeri sono sbarcati in America su 279 aerei decollati dalla Cina. Anche accettando tutte le colpe rinfacciate all'Oms da Trump, i critici si chiedono in cosa siano diverse dalle sue. Il presidente ha deciso il blocco dei voli almeno un mese dopo l'allarme sul coronavirus dell'intelligence Usa, e il 29 gennaio il consigliere Navarro aveva scritto un memo con cui avvertiva del rischio di milioni di morti. Il capo della Casa Bianca però non aveva fatto seguire allo stop degli aerei, che rientrava nella sua retorica sovranista e anticinese, le misure di mitigazione interne che servivano a frenare l'epidemia, forse perché temeva di danneggiare l'economia mettendo a rischio la sua rielezione il 3 novembre. Dal primo caso negli Usa alla proclamazione dell'emergenza erano passati 52 giorni, in cui Trump aveva continuato sottovalutare il virus, ripetendo che era solo un'influenza, sarebbe passata presto, era sotto controllo. Lui adesso sostiene di averlo fatto per non diffondere il panico, ma chissà quante vite avrebbe risparmiato, se avesse avuto un atteggiamento più realista. Ora gli Usa sono il primo Paese per casi e il terzo per decessi, ieri record con 1.939. La curva però si è appiattita a New York e la stima delle vittime totali è scesa a 60.000. Quindi Trump prepara la riapertura, sperando di presentarsi alle elezioni come il presidente che ha salvato il Paese. Ma i critici lo accusano di cercare capri espiatori, come l'Oms, da incolpare se non riuscisse a risolvere la crisi prima del voto di novembre.

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