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La Stampa Rassegna Stampa
27.03.2020 L'Iran mente sui dati. Le vittime per il virus sono 5 volte di più
Analisi di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 27 marzo 2020
Pagina: 12
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «'L'Iran mente sui dati. Le vittime per il virus sono 5 volte di più'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/03/2020, a pag.12, con il titolo "L'Iran mente sui dati. Le vittime per il virus sono 5 volte di più", la cronaca di Giordano Stabile.

Come bene riassume il catenaccio scelto dalla redazione della Stampa, "I dubbi di fonti vicine all'Oms sui numeri del regime. 'Contagio in altri 10 Stati per colpa degli ayatollah' ". Le menzogne della dittatura sciita non vengono meno neanche di fronte alla pandemia di Coronavirus.

Ecco l'articolo:

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Giordano Stabile

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In Iran le morti per coronavirus sono fino a cinque volte di più di quelle dichiarate e l'opacità nelle comunicazioni da parte del regime ha già causato il propagarsi dell'epidemia in almeno dieci altri Paesi, compreso il Canada e la Gran Bretagna. La denuncia arriva da fonti sanitarie vicine all'Oms a Ginevra. Secondo questi dati riservati, fino al 23 marzo i decessi legati al coronavirus erano 7493, contro i 1685 rilevati dal ministero della Salute iraniano, mentre le persone contagiate erano 52.310 invece che 21.638. Il conteggio alternativo si basa su notizie di intelligence all'interno del sistema sanitario locale, cioè medici e funzionari che hanno sotto mano la situazione reale. Le autorità hanno dapprima minimizzato i rischi, anche per non abbassare l'affluenza alle elezioni parlamentari del 21 febbraio. L'epidemia, con epicentro a Qom, forse in un seminario frequentato anche da ottocento studenti cinesi, era già in piena espansione. Poi gli ayatollah hanno frenato sulla chiusura dei grandi santuari sciiti, a partire da quello di Mashhad, altri veicoli dell'infezione per l'enorme numero di pellegrini, anche dei vicini Paesi arabi. I santuari sono fonte di prestigio internazionale e di reddito, con un giro d'affari di svariati miliardi. Infine sono arrivati i festeggiamenti per il capodanno persiano e soltanto ieri il governo del presidente Hassan Rohani si è deciso a proibire tutti gli spostamenti interni. Non c'è però ancora un serrata totale, come in Italia. Ieri i casi ufficiali sono saliti a 29.000 e le vittime a 2.234, ma come abbiamo visto andrebbero moltiplicate per cinque. Uno scenario da incubo. La discrepanza dei dati, oltre alle reticenze del regime, si spiega anche, precisano le fonti, con il complesso sistema burocratico delle diagnosi. In Iran la diagnosi richiede una doppia analisi dei tamponi, una condotta dai medici nei laboratori locali e una seconda al Pasteur Institute for Public Health and Infectious Diseases. In questo processo gran parte dei casi «sospetti» non viene confermata a livello nazionale e il numero totale è sottostimato. C'è poi la carenza di strumenti per effettuare i test. E i pochi disponibili sono veicolati soprattutto alla dirigenza della Repubblica islamica. Anche perché almeno una decina di alte figure religiose, politici, parlamentari sono già morti di coronavirus. Ma la scarsità di tamponi effettuati e la sottovalutazioni dei casi sospetti favorisce l'espandersi incontrollato dell'epidemia, tanto più che è emerso come i primi contagiati risalgono addirittura ai primi di gennaio, proprio a Qom, dove però l'Università di medicina non è stata in grado di diagnosticarli in maniera corretta e tempestiva. Le autorità, è la denuncia, «danno la priorità alle motivazioni politiche rispetto a quelle scientifiche e stanno ostacolando la risposta globale all'epidemia». Il presidente Rohani e il ministro degli Esteri Javad Zarif hanno puntato il dito contro le sanzioni Usa, che rendono difficile procurarsi sui mercati internazionali medicine, dispositivi di protezione personale e kit per i test. Ma la Repubblica islamica ha respinto le offerte di aiuto da parte degli Stati Uniti, per motivi politici, e per «dare l'impressione di avere la situazione sotto controllo». In questo modo però l'epidemia e i tassi di mortalità «sono destinati a crescere e a porre una minaccia anche ad altri Paesi».

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