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La Stampa Rassegna Stampa
10.03.2020 Fernando Gentilini paragona Israele e Iran: un esempio di disinformazione
Elogi ai due popoli, condannati allo stesso modo i governi

Testata: La Stampa
Data: 10 marzo 2020
Pagina: 27
Autore: Fernando Gentilini
Titolo: «Teheran e Gerusalemme le 'sorti' maligne si possono ribaltare»
 Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/03/2020, a pag.27, con il titolo "Teheran e Gerusalemme le 'sorti' maligne si possono ribaltare", il commento di Fernando Gentilini.

A destra: Dry Bones, di Yaakov Kirschen: lo sforzo congiunto di Israele e Stati Uniti per contenere la minaccia iraniana

Il pezzo di Fernando Gentilini è di totale disinformazione contro Israele. Nella prima parte dell'articolo viene rievocata la storia di Ester e di Purim, la festa ebraica che cade proprio nella data di oggi. La tesi di Gentilini è che dopo il 1979 "le relazioni tra Teheran e Gerusalemme si sono via via deteriorate, fino all'escalation attuale. Il che però non vuol dire che i proclami di guerra della Guida Suprema e del premier israeliano abbiano fatto breccia nel cuore della gente. Sotto sotto i due popoli si vogliono ancora bene, in nome di un'antica amicizia e di profonde affinità sociali e culturali". Fin qui una ipotesi accettabile. Ma mettere in contrapposizione le speranze e le esigenze dei due popoli - iraniano e israeliano - e "i proclami di guerra" dei governanti da entrambi gli Stati significa porre sullo stesso piano una dittatura teocratica in cui il dissenso viene perseguitato e una democrazia come Israele minacciata di distruzione nucleare. Gentilini ne trae un paragone. Una tesi che è poco definire ignobile.

Ecco l'articolo:

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Fernando Gentilini

I primi a tirare un sospiro di sollievo alla morte di Soleimani, il 3 gennaio scorso, sono stati gli israeliani. Era considerato il master of terror sciita, l'incarnazione della minaccia iraniana contro Israele. Eppure certe loro reazioni sono apparse persino misurate se paragonate a quelle di ottobre seguite alla morte di al Baghdadi, il master of terror sunnita. Come se tra Teheran e Gerusalemme, più forte dei venti di guerra, vi fosse un legame invisibile e potente, che resiste alle intemperie della Storia avendo a che fare anzitutto con il Mito. Ci aiuta a capire come stanno le cose la ricorrenza dei Purim, il 14 del mese di Adar, che quest'anno cade il 9 e 10 marzo, la più travolgente tra tutte le festività ebraiche. Purim significa «sorti», nel senso della sorte che da maligna può diventare benigna, e le sue origini, stando al Libro di Ester, risalgono all'antica Persia. Celebra l'impresa della regina ebrea Ester, che assieme al cugino Mordecai e con l'aiuto dell'Onnipotente, riuscì a dissuadere il suo sposo Assuero, re dei Persiani, dallo sterminare gli ebrei. I destini del popolo ebraico e di quello persiano si erano incrociati dopo l'entrata di Ciro il Grande a Babilonia. L'imperatore aveva deciso che gli ebrei esiliati potessero tornare a Gerusalemme, per rifondare il Tempio. Ma in molti preferirono restare, per stabilirsi con le loro famiglie a Susa e nelle province persiane. Il legame tra i due popoli nasce così, 2500 anni fa, e non si è mai reciso. Grazie a esso gli ebrei che oggi vivono nell'Iran degli ayatollah pregano in sinagoga e siedono in parlamento; e i sefarditi di origine persiana in Israele sono una delle comunità meglio integrate.

I duecentomila attuali sono tornati a ondate, a partire dal 1948. Dopo l'indipendenza l'Iran fu il secondo Paese musulmano a riconoscere lo Stato sionista (il primo fu la Turchia). Così Ben Gurion, che corteggiava i nemici dei suoi nemici, iniziò a immaginare che gli iraniani, assieme a turchi, etiopici, maroniti libanesi e curdi iracheni, potessero fare da contrappeso ai vicini arabi. È quel che successe con il ritorno dello Scià, dopo il colpo di Stato del 1953. Israeliani e iraniani, da allora, fronteggiarono uniti il movimento panarabo, di cui l'Egitto di Nasser era il paladino; e soprattutto fecero insieme da sponda agli americani, destinati a sostituirsi a inglesi e francesi nello scacchiere mediorientale dopo la crisi di Suez. Fu la rivoluzione khomeinista del 1979 a cambiare tutto, trasformando gli israeliani da alleati in nemici (la loro ambasciata a Teheran, da un giorno all'altro, divenne la sede dell'Olp!). Anche se durante il conflitto tra Iran e Iraq, con lo zampino di Gerusalemme, Teheran continuò in qualche modo a essere nelle grazie degli Stati Uniti di Ronald Reagan.

I rapporti tra il regime degli ayatollah e lo Stato sionista precipitarono alla fine della Guerra fredda, complici la scelta nucleare iraniana e l'attivismo delle Guardie della Rivoluzione nella regione mediorientale. E così, da semplice nemico, l'Iran divenne per Israele una minaccia esistenziale. Che poi fu una delle molle che spinse Rabin, all'inizio degli anni Novanta, a tentare la pace sul fronte palestinese. Da allora le relazioni tra Teheran e Gerusalemme si sono via via deteriorate, fino all'escalation attuale. Il che però non vuol dire che i proclami di guerra della Guida Suprema e del premier israeliano abbiano fatto breccia nel cuore della gente. Sotto sotto i due popoli si vogliono ancora bene, in nome di un'antica amicizia e di profonde affinità sociali e culturali. Basta guardare cinema e letteratura contemporanei, in Iran e in Israele, per rendersi conto del filo rosso che lega autori come Amos Gitai, Abbas Kiarostami, Ali Folman, Asghar Farhadi, Amos Oz, Azar Nafisi, Edgar Keret, Marjiane Satrapi... Le loro sono opere dei nostri tempi, opere senza confini. Figlie di un Medio Oriente illuminato che sta agli antipodi di quello bigotto e sanguinario dei notiziari. Insomma, se parliamo dei due Paesi reali, tra iraniani e israeliani ci sono infinite corrispondenze, e c'è soprattutto un'incredibile voglia di comunicare, come dimostrano le chat e le campagne pacifiste sui social. Anni fa fece scalpore quella di un grafico israeliano, Ronny Edry, che postando su Facebook foto con cuoricini colorati e slogan contro la guerra provocò valanghe di like sia in Israele sia in Iran. La verità è che le civiltà ebraica e persiana si sono sempre piaciute e rispettate, sono state amiche e alleate. Anche se di punto in bianco, dopo la rivoluzione del 1979, si sono ritrovate su fronti opposti. Ma la festa dei Purim, che come abbiamo visto è un inno alle «sorti» che cambiano, autorizza a pensare che prima o poi la situazione cambierà un'altra volta. E che un giorno iraniani e israeliani finiranno col ritrovarsi ancora dalla stessa parte della Storia.

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