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La Stampa Rassegna Stampa
12.02.2020 All'Onu le parole di odio di Abu Mazen, ma i suoi interlocutori sono sempre meno
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 12 febbraio 2020
Pagina: 19
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Onu, Abu Mazen: 'Il piano Trump non è una base per il negoziato'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/02/2020, a pag.19, con il titolo "Onu, Abu Mazen: 'Il piano Trump non è una base per il negoziato' ", la cronaca di Giordano Stabile.

Le parole di Abu Mazen all'Onu dimostrano ancora una volta la mancanza, presso la leadership araba palestinese, di qualsiasi volontà di compromesso e di volere uno Stato non nemico a fianco di Israele. Obiettivo di Abu Mazen è invece la demonizzazione di Israele, che andrebbe cancellato dalle mappe geografiche. Qualcuno informi Abu Mazen che gli stati arabi, in maggioranza, hanno accolto con interesse il 'piano Trump', i suoi interlocutori diminuiscono, a chi rivolgerà le sue lamentele la prossima volta?

Ecco l'articolo:

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Giordano Stabile


Abu Mazen

Uno Stato che non è uno Stato «ma un pezzo di gruviera», e che «rafforza il regime di apartheid». È il giudizio impietoso sul piano di pace americano del presidente palestinese Abu Mazen. Il raiss, ormai 85enne, non ha però chiuso le porte al dialogo e si è detto pronto a riprendere i negoziati «se troverà un partner in Israele», perché «la pace è ancora possibile». È cominciata così ieri, al Consiglio di sicurezza dell'Onu, la «intifada diplomatica» del leader palestinese, deciso ad arrivare a un voto di condanna dell'iniziativa di Trump all'Assemblea generale. Con un gesto nello stile di Benjamin Netanyahu, Abu Mazen ha anche mostrato la mappa allegata al piano americano: «Questo è quello che vorrebbero darci – ha rincarato -: è come un formaggio svizzero, cioè un territorio frammentato e pieno di buchi».
Abu Mazen ha ribadito che non può più accettare gli Usa come «unico mediatore» ma ha aperto a un nuovo negoziato «sotto gli auspici del Quartetto», il gruppo guidato dall'ex premier britannico Tony Blair che comprende Washington, anche se «sulla base dei riferimenti internazionali», cioè le risoluzioni dell'Onu che secondo i palestinesi garantiscono loro uno Stato nei confini del 1967. «Sono pronto a rimanere qui e a cominciare subito», ha concluso. Gli ha replicato l'ambasciatore israeliano al Palazzo di Vetro, Danny Danon, che si è detto disponibile a «negoziati diretti», anche se Abu Mazen «non è sincero» quando parla di pace e doveva venire «a Gerusalemme, non a New York» e assumere una «posizione da leader invece che lamentarsi».


La via diplomatica resta aperta 
Il discorso di Abu Mazen chiarisce comunque un punto importante. Il raiss non crede a una escalation sul terreno ma continua a privilegiare la via diplomatica. «Noi umili, quando vogliamo lamentarci, abbiamo soltanto due indirizzi – ha detto ai suoi -: Dio e le Nazioni Unite». La strategia dell'Intifada diplomatica non convince però neppure il suo stretto entourage. «Crede di poter suonare lo stesso spartito fino a consumare le corde – ha riassunto l'ex segretario generale dell'Olp Yasser Abed Rabbo – quando in gioco c'è il futuro del nostro popolo: andrà all'Onu, farà un altro discorso, ma chi lo terrà in considerazione?». Il raiss, a capo dell'Anp dal 2005 non ha altre carte da giocare. Una Intifada violenta avrebbe l'appoggio solo di Iran e forse Turchia, mentre i Paesi arabi sono ormai schierati con gli Usa. Sarebbe stroncata dalle forze di sicurezza israeliane. E forse finirebbe per travolgere quel poco di autogoverno che i palestinesi hanno ottenuto.

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